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DOPO DICIOTTO ANNI SCOPRE CHE LA MOGLIE È NATA UOMO: RESPINTA LA RICHIESTA DI ANNULLAMENTO DEL MATRIMONIO.

Con una recente sentenza del 12 luglio 2024 il Tribunale di Livorno si è trovato ad affrontare una questione interessante: se la rettificazione dell’attribuzione di sesso per persone con disforia di genere costituisca o meno un cambio di identità.
Nel caso specifico una coppia era stata sposata per diciotto anni senza avere figli, a causa dell’infertilità della donna, la quale la attribuiva all’asportazione dell’utero avvenuta in giovane età.
Dopo diciotto anni di matrimonio il marito, nel procedere all’ispezione ipotecaria e catastale dei beni immobili intestati alla moglie, scopriva come la stessa – prima di conoscerlo – fosse stata un uomo, e che dunque i riferiti problemi di infertilità erano in realtà riconducibili a detta circostanza.
Il marito avanzava richiesta di annullamento del matrimonio per errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge, sostenendo che non avrebbe contratto matrimonio se avesse saputo la verità sin dall’inizio.
Il Tribunale ha rigetto la domanda sul presupposto che la rettificazione del sesso non costituisce un errore fondamentale ex art. 122 c.c., in quanto non rappresenta un cambio di identità, bensì solo un adeguamento esteriore alla propria identità.
Ed invero, l’annullamento del matrimonio ai sensi dell’art. 122 c.c. può essere accolto solo laddove l’errore cada sull’identità complessiva della persona, e non solo sugli aspetti fisici.
Il marito nel caso suddetto si è unito in matrimonio con la persona che intendeva e riteneva sposare, la quale al momento dell’unione già risultava donna, sia anagraficamente che sotto l’aspetto fisico. Inoltre, la donna aveva già informato l’uomo della propria impossibilità di avere figli, tanto che le parti avevano deciso poi di percorrere la strada dell’adozione, mai conclusa.
Il caso discusso è sicuramente peculiare nella sua unicità, e lascia spazio a molteplici dubbi.

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L’ordine di protezione può vietare anche gli incontri fortuiti e le comunicazioni virtuali

Avv. Lorenzo Mariani 

Con decreto ex artt. 473 bis 14 e 69 cpc pronunciato il 25.11.2024 e pubblicato il 29.11.2024, decidendo su una domanda di ordini di protezione preliminare a un giudizio di regolamentazione dei minori, la Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma ha prima di tutto confermato un precedente ordine di protezione emesso inaudita altera parte, il quale prevedeva l’allontanamento del padre dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ricorrente e dai figli.      
Contestualmente, valutata una istruttoria piuttosto corposa (per un procedimento sommario) il provvedimento ha anche modificato e inasprito il precedente decreto, imponendo l’obbligo di “immediato allontanamento in caso di incontri fortuiti con estensione del divieto anche a comunicazioni virtuali, ad eccezioni di comunicazioni via mail relative ai figli minori”.

Si tratta di una disposizione molto dura, quasi assimilabile agli ordini di allontanamento che può disporre il giudice penale.

               
Inoltre, il decreto ha disposto che gli incontri padre-figli dovranno avvenire col supporto dei Servizi Sociali e ha fissato l’udienza per la prima comparizione nel giudizio di merito con gli adempimenti preliminari del caso.

Si tratta di una pronuncia interessante soprattutto in relazione alla riscrittura del rito di famiglia da parte della riforma Cartabia.

Infatti, sia l’ordine inaudita altera parte che quello successivo sono stati concessi nonostante l’avvenuto allontanamento spontaneo del resistente: circostanza che, fino alla riforma Cartabia, alcuna giurisprudenza considerava motivo di inammissibilità dell’ordine di protezione.

È degno di nota anche il fatto che il giudice assegnatario non abbia disposto un mantenimento per i minori sul presupposto che, quando disposto ex art. 473 bis 71 cpc in un procedimento di ordini di protezione, tale assegno deve basarsi sulla insussistenza di mezzi adeguati in capo alle persone conviventi per effetto dei provvedimenti interdittivi.

Dato che la ricorrente aveva chiesto al giudice di pronunciarsi anche ai sensi dell’art. 473 bis 15 cpc, che consente di anticipare in via cautelare i provvedimenti provvisori su affido, assegnazione della casa e mantenimento, è agevole pensare che il magistrato abbia emesso solo l’ordine di protezione e fissato una ordinaria udienza di merito per ragioni di opportunità temporale, ossia per evitare di dover rimettere l’intera decisione al collegio.        
Infatti, solo col recentissimo “correttivo Cartabia” del 26.11.2024 il giudice monocratico è ora competente sulla conferma o modifica del provvedimento ex art. 473 bis 15 cpc, mentre il provvedimento in esame è stato pronunciato il 25.11.2024.  Peraltro è dubbio che il primo provvedimento inaudita altera parte potesse qualificarsi come ex art. 473 bis 15 cpc.

Tribunale di Roma, Sez. I, 29.11.2024 (testo completo)

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L’ASPETTO EDUCATIVO E L’IMPORTANZA DEL RUGBY: IL NUOVO ULTIMO COMMA DELL’ART. 33 DELLA COSTITUZIONE

Con una recentissima pronuncia del 2024 – la n. 20790 – la Suprema Corte, nel distinguere ed individuare le tipologie di sport che possano essere ritenute pericolose, da quelle non pericolose, ha precisato ed evidenziato l’aspetto educativo intrinseco dello sport in generale, ed in particolare dell’attività del rugby.
Ed invero, sulla scorta del nuovo ultimo comma dell’art. 33 della Costituzione, secondo il quale “la Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell'attività sportiva in tutte le sue forme”, la Cassazione ne ha significato l’importanza.
In particolare, ciò che è doveroso evidenziare è il potere dello sport, e ciò che quest’ultimo possa insegnare ai ragazzi, in un percorso cruciale e significativo, come è quella relativo alla loro crescita personale.
Lo sport, ed in particolare il rugby, permette di far comprendere ai giovani l’importanza delle regole, della fiducia nei propri compagni, nonché il rispetto del prossimo, anche in quelle occasioni in cui quest’ultimo sia “avversario”.
Attraverso la metafora dello sport è possibile comunicare ai giovani d’oggi dei concetti fondamentali che li accompagneranno nella loro vita, attraverso un linguaggio leggero, che è quello del gioco.
Sebbene nel nostro ordinamento non possa ancora dirsi esistente un diritto allo sport, l’introduzione nella Carta Costituzionale di un comma che ne ammetta l’importanza, il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico, costituisce senza ombra di dubbio un passo in avanti nella realizzazione di un obiettivo più grande, ovvero quello di riconoscerlo come un vero e proprio diritto.

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Estinzione del PPT per mancata notifica dell'iscrizione a ruolo: è reclamabile al Collegio ex art. 630 c.3 cpc

Avv. Lorenzo Mariani

La Sentenza n. 18188 del 28.11.2024 del Tribunale di Roma ha chiarito che rientra nell'estinzione "tipica" per inattività delle parti, ex art. 630 cpc, la pronuncia di inefficacia del pignoramento presso terzi per asserita violazione dell'obbligo di notifica e deposito dell'avviso di iscrizione a ruolo in capo al creditore, ex art. 543 c.5 cpc.

Pertanto, in tal caso l'ordinanza del Giudice dell'Esecuzione deve essere impugnata con reclamo al Collegio ex art. 630 c. 3 cpc.

Ma proprio ai sensi dell'art. 630 cpc,  il mancato rispetto della norma sull'avviso di iscrizione a ruolo deve essere rilevato dal GE non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della violazione.

Considerato che l'articolo 543 c. 5 cpc prevede che notifica e deposito dell'avviso debbano avvenire "entro la data dell'udienza di comparizione indicata nell'atto di pignoramento", l'estinzione andrà pronunciata non oltre la prima udienza del procedimento, quale primo momento utile. L'ordinanza adottata in seguito a una seconda udienza dovrà ritenersi tardiva, in violazione dell'art. 630 cpc.

E infatti, il Tribunale ha accolto il reclamo  sul presupposto che:

"
Nella fattispecie concreta, l’inefficacia del pignoramento per mancata notifica dell’avviso di iscrizione a ruolo alla debitrice, in ragione della notificazione dello stesso avviso eseguita in Cancelleria, è stata rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione tardivamente, con l’ordinanza adottata in data 31.07.2024 a scioglimento della riserva assunta nella seconda udienza, tenuta in data 11.01.2024, anziché nella prima udienza tenuta in data 16.10.2023 o, comunque, con l’ordinanza emessa a scioglimento della stessa prima udienza. Per quanto sopra, dunque, il reclamo è da accogliere e l’ordinanza reclamata è da revocare."

La pronuncia contribuisce  a fare chiarezza sulle varie fattispecie di "chiusura anticipata" del processo esecutivo e sulla loro riconducibilità all'estinzione per inattività ex artt. 630 cpc o a cause diverse. Non è problema da poco, considerando che nel primo caso l'impugnazione deve avvenire tramite reclamo al Collegio ex art. 630 c. 3 cpc mentre in tutti gli altri casi dovrà esperirsi opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cpc come rimedio generale. 

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Identità non binarie - la Corte Costituzionale apre il diritto

In un caso posto di fronte alla Corte Costituzionale la ricorrente, registrata come femmina alla nascita, nel corso della pubertà, realizza di non appartenere al genere femminile e afferma di riconoscersi in un genere non-binario con prevalenza della componente maschile. Chiede, dunque, al tribunale la rettificazione dell'attribuzione di sesso in un genere non-binario. Il tribunale solleva una questione di legittimità costituzionale: se la rettificazione possa avvenire rispetto a un genere di elezione diverso da quelli maschile e femminile. Da un lato, vi è, dunque, il diritto all'identità di genere, ossia il diritto a vedersi riconosciuto un genere di elezione diverso da quello corrispondente al sesso attribuito alla nascita. Secondo la giurisprudenza costituzionale, questo diritto fa parte del diritto all'identità personale, rientrante a pieno titolo nell'ambito dei diritti fondamentali della persona. Inoltre, il diritto all'identità di genere solleva la questione della possibile esistenza di un genere terzo rispetto al binarismo sessuale. Dall'altro lato, vi è il diritto fondamentale alla salute: ogni persona ha il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, considerata come aspetto e fattore di svolgimento della personalità, che gli altri membri della collettività sono tenuti a riconoscere, per dovere di solidarietà sociale. La Corte costituzionale, con sentenza del 23 luglio 2024, n. 143, ha dichiarato la questione della possibilità di rettifica verso un genere terzo inammissibile, poiché la materia appartiene alla discrezionalità del legislatore, quale primo interprete della sensibilità sociale. Per la Corte, le implicazioni del superamento del binarismo dei sessi nella nostra legislazione sono tanto articolate e complesse da richiedere l'intervento del Vi è però un aspetto innovativo: la Corte ha chiarito che la percezione dell'individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile - da cui nasce l'esigenza di essere riconosciuto in una identità altra - genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l'ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 Cost.). Inoltre, nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 Cost. L'autonomia conferita dalla Corte all'art. 2, affermato come norma di rilevanza generale, rispetto agli artt. 3 e 32, che sembrano attivabili in caso di disparità di trattamento e di limitazione del diritto alla salute, sembra, quindi, sganciare il discorso sul genere non binario dal racconto medicalizzante che ha caratterizzato, finora, la nostra legislazione e prassi giudiziaria. (cfr. Corte Cost, sent. 23 luglio 2024, n. 143).

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Va sanzionata la madre ostativa ai rapporti tra padre e figlio, ma niente decadenza della responsabilità genitoriale

Lorenzo Mariani 

Cass. civ., Sez. I, Ord.19.11.2024, n. 29690

Per la Cassazione, è corretta La decisione della Corte d'Appello di revocare la decadenza della responsabilità genitoriale materna disposta dal Tribunale: va infatti considerato l'impatto di una misura così drastica sul benessere del minore, ragazzo adolescente che aveva sempre vissuto con la madre fin dai tre anni.

Corretto anche aver disposto in appello l'ascolto del bambino (invece escluso in primo grado) e aver considerato la sua totale opposizione a ogni incontro col padre, confermata anche dall'ultima CTU che aveva escluso l'efficacia di qualunque imposizione o invito a percorsi di recupero del rapporto col padre, al quale ormai non sarebbe rimasto che sperare in un riavvicinamento spontaneo col passare degli anni.

Ha invece errato la Corte di merito nel rigettare anche la domanda di sanzionare la madre ex artt. 709 ter e 614 bis cpc (nel testo pre-riforma Cartabia)  per aver da sempre ostacolato ogni rapporto tra figlio e padre.

Si tratta di misure quali l'ammonimento, il risarcimento del danno in favore del minore o dell'altro genitore, sanzioni amministrative o somme periodiche da versarsi per ogni giorni di ritardo.

Peraltro il rigetto era dovuto alla presunta assenza di "prescrizioni" a cui la madre dovesse attualmente attenersi.

Al contrario della corte d'Appello, gli ermellini ritengono  "comprovato, ed anzi coperto da un giudicato interno, un atteggiamento ostruzionistico della madre ed il condizionamento al corretto svolgimento delle modalità di vista del padre, nonché il disagio, le sofferenze ed i conflitti derivati al minore da tale atteggiamento".

Circostanza oltretutto riconosciuta proprio dalla Corte territoriale, che pur dando torto al padre aveva sottolineato "pervicaci comportamenti... (accertati, nei diversi gradi di merito, anche tramite 4 diverse CTU, sostanzialmente convergenti nelle risultanze)" consistiti "nell'ostacolare l'esecuzione dei diversi provvedimenti nel tempo adottati dal Tribunale per i minorenni e da questa Corte".

La pronuncia della Cassazione è molto interessante anche per gli operatori del diritto: con la profondità e la completezza di una monografia, affronta importanti questioni giuridiche come il diritto alla bigenitorialità, gli effetti sul minore della negazione dei una figura genitoriale, i criteri per disporre e valutare l'ascolto processuale del minore e gli strumenti contro le condotte ostative della bigenitorialità, nell'ordinamento pre e post riforma Cartabia.


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Coppie Omogenitoriali: Spettabilità del diritto alla corresponsione della pensione di reversibilità al coniuge ed al figlio di coppia dello stesso sesso

La questione giuridica trae origine da una complessa vicenda che vede coinvolta una coppia omogenitoriale ed un figlio nato a seguito di procreazione medicalmente assistita negli Stati Uniti.
Invero, a seguito dell’entrata in vigore della legge sulle unioni civili (L. n. 76/2016), in giurisprudenza ci si è trovati ad affrontare la seguente questione: è possibile o meno applicare retroattivamente la suddetta legge, e dunque riconoscere il diritto alla pensione di reversibilità anche in favore del coniuge superstite, deceduto prima dell’entrata in vigore della legge e del figlio della coppia, nato a seguito di Pma, il cui provvedimento di riconoscimento, quanto la trascrizione a margine dell’atto di nascita, sono intervenuti successivamente al decesso.
La vicenda giudiziale è stata alquanto altalenante, in cui quanto se il Giudice di prima istanza ha rigettato la domanda sull’assunto che non sussistevano i requisiti richiesti dalla legge per l’erogazione della pensione indiretta, il Giudice di seconda istanza ha riconosciuto il diritto all’erogazione della pensione di reversibilità sia a favore del coniuge che del figlio, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata. Ed invero, il diritto al trattamento pensionistico di reversibilità si ricorda essere oggetto di tutela della Carta Costituzionale e rientra tra i diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri di tutte le relazioni affettiva e di coppia. L’obiettivo di tale prestazione infatti è proprio quello di prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge o del genitore.
Pertanto, nell’attesa di una pronuncia della Suprema Corte, la quale allo stato attuale ha rimesso alla valutazione della Prima Presidente la decisione di sottoporre il caso in esame al vaglio delle Sezioni Unite, restano aperti i dubbi circa la possibilità di poter superare l’irretroattività della legge sulle unioni civili, essendo preminente il diritto costituzionalmente sancito al trattamento pensionistico di reversibilità.

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Rapporto di lavoro subordinato e convivenza more uxorio

L'attività lavorativa e di assistenza svolta in favore del convivente more uxorio costituisce una obbligazione naturale quando sia espressione dei vincoli di solidarietà ed affettività di fatto esistenti, alternativi a quelli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, quale il rapporto di lavoro subordinato. Non si può, però, escludere che talvolta essa trovi giustificazione proprio in quest'ultimo, del quale però deve fornirsi prova rigorosa.
La Suprema Corte con ordinanza 11.4.2024 n.9776, con riferimento ad una convivenza more uxorio, ha dichiarato la natura subordinata della prestazione lavorativa svolta da una donna nell'esercizio commerciale del convivente more uxorio, evidenziando come "l'accertamento dell'eterodirezione deve essere calato nello specifico contesto del rapporto sentimentale e di convivenza more uxorio, instauratosi ..., alla stregua del quale il concreto apprezzamento della natura subordinata del rapporto deve tenere conto che l'elemento della etero direzione si esprime in forma attenuata, senza necessità di una sua estrinsecazione in ordini specifici e dettagliati essendo sufficiente a sostanziare la natura subordinata del rapporto di lavoro il pieno e stabile inserimento ...nella organizzazione di lavoro ...e l'assenza in capo alla stessa di autonomia gestionale".

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Riequilibrio dello spostamento patrimoniale tra i coniugi

La Prima Sezione della Cassazione con ordinanza n. 18506, depositata l’8 luglio 2024, ha stabilito che in materia di determinazione dell'assegno di divorzio, il principio secondo cui ciascun ex coniuge è tenuto a provvedere al proprio mantenimento può essere derogato nel caso in cui il matrimonio abbia determinato uno spostamento patrimoniale tra i coniugi. Tale squilibrio deve essere rettificato mediante l'attribuzione di un assegno con funzione compensativa e perequativa (Ordinanza del 8 luglio 2024, n. 18506, Cass. Civ., sez. I,).

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Permessi e congedi anche ai genitori dello stesso sesso

Il sistema informatico di ricezione delle domande amministrative predisposto dall'Inps per alcune delle attività ex D. Lgs. n. 151/2001 comporta un’ingiustificata discriminazione a danno dei genitori dello stesso sesso, indicati come tali nei registri di stato civile, nella misura in cui non consente agli stessi di inserire i loro dati e di completare così l’iter informatico per l’accesso alle prestazioni (Ordinanza del 25 gennaio 2024 Trib. Bergamo, sez. Lavoro).

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Locazioni e condomini Annullato il sequestro probatorio di un impianto di videosorveglianza

La Cassazione penale, nella sentenza del 27 marzo 2024, n. 12744, ha annullato il sequestro probatorio di un impianto di videosorveglianza installato su una porta di casa, che riprendeva anche la porta del vicino. La sola presenza della telecamera non è sufficiente a configurare il reato di stalking condominiale. Per giustificare una misura cautelare, è necessario non solo sospettare la commissione del delitto ma anche fornire prove concrete che delineino una specifica ipotesi di reato, in linea con gli obiettivi della restrizione imposta.

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Locazione e condomini Chi è responsabile per le immissioni sonore provenienti da un’immobile condotto in locazione?

Il Tribunale di Messina, con sentenza dell’11 aprile 2024, n. 917, è da ritenersi esclusa la responsabilità del proprietario-locatore dell'immobile per i rumori intollerabili del conduttore ad eccezione dei casi in cui sussista un apporto causale del primo alla realizzazione del fatto dannoso o dei casi in cui il proprietario avrebbe potuto prefigurarsi che il conduttore avrebbe con ragionevole certezza recato danni a terzi, provocando immissioni intollerabili.

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Istanza cautelare nel rito di famiglia: no alla sospensione del titolo esecutivo, sì all'udienza di merito ravvicinata

Avv. Lorenzo Mariani 

Con decreto del 26.07.2024, la Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma ha rigettato la domanda cautelare inaudita altera parte ex art. 473 bis 15 cpc di sospendere l'efficacia esecutiva dell'accordo impugnato dal ricorrente, in quanto necessaria "se del caso, l 'attivazione di rimedi in sede esecutiva e/o di eventuale opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, sussistendone i presupposti di legge".
Il Giudice delegato ha però ritenuto opportuno trattare assieme la domanda di merito e quella cautelare ex art. 473 bis 15 cpc, considerato che quest'ultima, per come è formulata, è volta non solo a sospendere l'efficacia esecutiva dell'accordo ma anche a ottenerne la modifica.

Per questo, il Giudice ha fissato un'unica udienza al 31.10.2024, per la comparizione delle parti e la trattazione della domanda cautelare.


Si tratta di un interessante esempio di prassi applicativa degli strumenti offerti dalla riforma Cartabia.

E infatti, l'art. 473 bis 15 cpc consente di domandare, in un giudizio di diritto di famiglia, provvedimenti indifferibili senza contraddittorio in caso di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione dei provvedimenti. Il decreto di accoglimento o rigetto della domanda cautelare è poi oggetto di contraddittorio in una apposita udienza, in seguito alla quale il giudice conferma, revoca o modifica le statuizioni già prese.

Tale udienza sarebbe comunque antecedente a quella di cd. "prima comparizione delle parti", nella quale si discute solo del merito della causa e dalla quale decorrono a ritroso i termini per le memorie integrative ex art. 473 bis 17 cpc.

Nel caso in esame, una volta scrutinata e in parte rigettata la domanda cautelare, il Giudice ha fissato un'unica udienza per entrambi gli incombenti, sulla base della natura parzialmente "di merito" della domanda 473 bis 15 cpc.

A saltare all'occhio è sicuramente la prossimità della data in questione, considerando che, per le cause prive di domanda cautelare, il Tribunale capitolino può fissare la prima udienza a distanze decisamente maggiori.

Deve ritenersi che da questa udienza decorrano già i termini per le memorie integrative e che il conseguente provvedimento provvisorio e urgente ex art. 473 bis 22 cpc avrà anche la funzione di conferma o modifica della decisione cautelare già presa sulla sospensione dell'efficacia esecutiva. 


Trib. Roma, Sez. I, 26.07.2024 (testo)

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Rilevanza degli accordi “a latere”

Sebbene il giudice non possa intervenire direttamente nel accordo “a latere” operante inter partes, il quale è stato determinato mediante libera trattativa tra le parti, laddove non contiene espressa pattuizione contraria ed è strettamente correlato alle condizioni pattuite nel ricorso. In caso di divorzio congiunto, il giudice ai sensi dell'articolo 9L.898/1970 deve prendere in considerazione tale accordo al fine di esaminare le condizioni finanziarie nel  divorzio.
Sentenza 10 luglio 2024, n. 18843.

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È competente il giudice del divorzio sull'ordine di pagamento del terzo in forza del provvedimento di separazione

Avv. Lorenzo Mariani 


Con Decreto del 04.07.2024 il Tribunale di Roma, Sez. I, ha dichiarato inammissibile un ricorso cautelare ex art. 700 cpc avverso un ordine a terzi di corrispondere il mantenimento ex art. 473 bis 37 cpc, proposto dal genitore onerato.

Il Giudice ritiene non esperibile la tutela ex art. 700 cpc in materia famiglia, in quanto vi sono (anche in questo caso) rimedi impugnatori tipici. L'ordine di pagamento a terzi può infatti essere impugnato davanti al giudice del divorzio già instaurato.


La pronuncia è interessante perché dà una soluzione ma  suscita dei dubbi.

Se è pressoché pacifico che il ricorso ex art. 700 cpc non sia esperibile in diritto di famiglia, è anche vero che l'ordine di pagamento ex art. 473 bis 37 cpc, introdotto dalla riforma Cartabia, è una procedura stragiudiziale che non prevede una specifica impugnazione, a differenza ad esempio dell'opposizione all'ingiunzione ex art. 316 bis cc.

E infatti, nel caso di un inadempimento prolungato, per legittimare la richiesta a un terzo debitore di corrispondere  il mantenimento per il futuro occorre solo un titolo esecutivo e una una semplice diffida nei suoi confronti.
La norma contempla la competenza del giudice dell'esecuzione solo nel caso in cui il credito del terzo sia già soggetto a pignoramento, per cui dovrà tenersi conto della natura della prestazione economica.

Se, come afferma il Tribunale, è possibile contestare l'ordine ex art. 473 bis 37 cpc davanti al giudice del divorzio, allora sarebbe prima necessario introdurre un giudizio in questione, perciò escludendo la possibilità di impugnare solo l'ordine diretto di pagamento per motivi ad esso propri ed esclusivi, come l'inesistenza del titolo o dell'inadempimento o il mancato rispetto della procedura prevista dalla legge.

Anche la coincidenza tra il dettato dell'art. 700 cpc e dell'art. 473 bis 15 cpc non aiuta, perché quest'ultimo strumento cautelare, secondo la giurisprudenza maggioritaria, presuppone comunque la previa introduzione di un giudizio sulla crisi familiare.

Quid juris se ci si vuole semplicemente difendere da un ordine ex art. 473 bis 37 cpc ingiusto?
Per alcuna dottrina, non resterebbe che una azione di accertamento negativo, ma nel frattempo come tutelarsi da un danno irreparabile nelle more del tempo per far valere il proprio diritto? 

Trib. Roma, Sez. I, 04.07.2024 (testo completo)



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Sì alla dichiarazione di adottabilità in caso di inidoneità genitoriale

Una minore, sin dalla nascita, era stata affidata al servizio sociale del Comune a causa della evidente inidoneità genitoriale. Il padre, infatti, era sposato con un'altra donna e non era disponibile ad assumersi alcuna responsabilità nei confronti della figlia, mentre la madre soffriva di psicosi epilettica con gravi disturbi del comportamento, con conseguente riconoscimento di invalidità al 100%.

Dopo il procedimento di ablazione della responsabilità genitoriale, il Tribunale dichiarava lo stato di adottabilità della minore, sentenza successivamente confermata dalla Corte d'Appello. La madre ricorreva in Cassazione, invocando il diritto della bambina di crescere ed essere educata nella propria famiglia e lamentando la mancata attuazione di soluzioni alternative. Il ricorso veniva integralmente respinto. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. 1, con la sentenza del 17 giugno 2024, n. 16/16.

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Neutralizzazione del riscatto degli anni universitari non applicabile per il passaggio da un sistema ad un altro

Con la sentenza del 27 giugno 2024, n. 112, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale riguardanti l'art. 3 della Costituzione, in riferimento agli artt. 1, comma 13, della L. n. 335/1995 e 1, comma 707, della L. n. 190/2014. Queste disposizioni non prevedono il diritto del pensionato alla neutralizzazione del periodo di riscatto del corso di studi universitari, quando i 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, necessari per la liquidazione del trattamento pensionistico con il sistema retributivo, sono stati raggiunti solo grazie al suddetto riscatto. Inoltre, l'applicazione del sistema retributivo, anziché del sistema misto, che sarebbe stato applicato in assenza del riscatto, non comporta un depauperamento del trattamento pensionistico. La richiesta di neutralizzazione non può riguardare la contribuzione derivante dal riscatto, che è stata versata all'inizio dell'anzianità lavorativa e si colloca quindi fuori dal periodo di riferimento della retribuzione pensionabile secondo il sistema retributivo applicabile. Tale richiesta non può essere invocata per ottenere il passaggio da un sistema di calcolo ad un altro.


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Fallimento del Socio illimitatamente responsabile in società di persone che detiene una partecipazione in società di capitali

Nel caso in cui il socio fallito illimitatamente responsabile di una società di persone detenga una partecipazione in una società a responsabilità limitata, la relativa quota sarà acquisita all'attivo fallimentare da parte del curatore, il quale provvederà alla sua vendita in base all'art. 106 della legge fallimentare.
La vendita differisce a seconda che le quote siano o meno liberamente trasferibili in base allo statuto. Se vincolata, la cessione può essere disposta solo con il gradimento delle società o previa offerta in prelazione ai soci.
Nei casi di quote liberamente trasferibili trova applicazione l'art. 107 della legge fallimentare.
Nel caso di quote non liberamente trasferibili trova applicazione l'art. 106 il quale rinvia all'art. 2471 cc.
Quest'ultimo dispone che per la vendita della quota bisogna interpellare dapprima i soci detentori di quote e solamente in caso di mancato accordo tra socio e società si da luogo alla vendita all'incanto. Il prezzo di vendita della quota è dato da una stima.
Il combinato disposto dell'art. 82 e 107 della legge fallimentare impongono al curatore di nominare un esperto per la stima dei beni che non siano di modesto valore e che lo stimatore è nominato dal curatore.

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Un matrimonio breve porta a un mantenimento basso, anche se il Tribunale ha sottostimato la differenza di redditi tra coniugi

Avv. Lorenzo Mariani 

Corte Appello Roma, Sez. Famiglia, 10.06.2024

Inutile reclamare il provvedimento di separazione: la durata del matrimonio (inferiore a cinque anni) incide fortemente sulla quantificazione dell’assegno, sì da dover essere determinata in una misura contenuta, proporzionata al tempo di consolidamento delle aspettative di sostegno economico maturate in costanza di convivenza coniugale.

La riforma Cartabia non ha modificato le regole sulla rivedibilità dei provvedimenti temporanei emessi “in limine litis” solo in ipotesi di manifesta erroneità della decisione adottata dal Giudice monocratico,
dandosi prevalenza alla cognizione piena e agli approfondimenti istruttori propri del giudizio di merito.


Corte Appello Roma, Sez. Famiglia, 10.06.2024 (testo completo)

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La madre ha diritto al rimborso dell’università privata non prevista nell’assegno

Il diritto al rimborso dell'università privata decisa unilateralmente dalla madre potrebbe dipendere da diversi fattori, tra cui la natura dell'assegno e la legge vigente nella giurisdizione pertinente. Se l'assegno era destinato a coprire specifiche spese educative e l'università privata non era stata contemplata, potrebbe sorgere una disputa sulla natura discrezionale della decisione. Tuttavia, se la madre può dimostrare che la scelta era nel migliore interesse del figlio e non violava eventuali accordi o disposizioni legali preesistenti, potrebbe essere legittimata. 

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Niente ordine di protezione se c'è già il braccialetto elettronico

Tribunale di Roma, Sez. I, 14.05.2024

Rigettato l'ordine di protezione avverso l'ex convivente se, dagli atti depositati in giudizio dal PM, risulta che il convenuto sia stato nel frattempo raggiunto da misura cautelare ex artt. 282 bis e 282 ter cpp dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento alla persona offesa con applicazione del c.d. "braccialetto elettronico" e sia stato disposto il rinvio a giudizio immediato.

Testo completo 

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I nonni sono obbligati a mantenere i nipoti se non possono i genitori

Secondo il codice civile "Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio" prevede, all'art. 316 bis, in primo luogo, che i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Ciò riguarda, quindi, anche le coppie non sposate.
La norma, statuisce che, quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.
La legge, quindi, individua una responsabilità sussidiaria dei nonni, che hanno un dovere di mantenere i nipoti, ma solo nel caso di impossibilità economica dei genitori. 
La Suprema Corte ha specificato che, per ravvisare l'esistenza dell'obbligazione sussidiaria degli ascendenti, non basta l'inadempimento di un genitore, ma occorre che tale inadempimento sia dovuto a una mancanza di mezzi e non alla volontà del genitore di sottrarsi ai propri primari obblighi previsti dall'art. 316-bis, comma 1 del codice civile e, nel contempo, che l'altro genitore non possa far fronte per intero alle esigenze dei figli con le sue sostanze e le sue capacità reddituali.
La Corte di Cassazione, ha altresì specificato che l'obbligo gravante sugli ascendenti ex art. 316-bis c.c. investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori. 

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Inammissibile il reclamo della modifica delle condizioni di separazione se nel frattempo si è pronunciato il giudice del divorzio sulle stesse domande

Avv. Lorenzo Mariani 

La Corte di Appello di Roma, con decreto del 22.04.2024, ricorda che non è ammissibile il reclamo avverso il decreto definitivo di modifica delle condizioni di separazione se, nel frattempo, il giudice del divorzio ha già deciso con ordinanza presidenziale sulle medesime questioni.

Ciò è in analogia col principio per cui l’intervenuta sentenza di divorzio non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione e in quello di modifica delle condizioni di separazione dei coniugi, purché sussista ancora un interesse delle parti (ex multis, Cass. Sez. 1, sent. 28.2.2017).

Nel caso specifico, l’interesse al reclamo era venuto meno con l’ordinanza presidenziale di divorzio, tranne che per la diversa domanda di modifica del mantenimento, comunque rigettata nel merito dai giudici di secondo grado.  

La Corte ricorda, poi, che la notifica del decreto conclusivo del primo grado effettuata dal Curatore Speciale del minore deve ritenersi valida ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, in quanto il Curatore Speciale è rappresentante di una parte necessaria del giudizio; né le sue funzioni cessano con la conclusione del primo grado ma si estendono anche alle eventuali fasi di impugnazione, senza necessità di un nuovo provvedimento di nomina.

Corte di Appello di Roma, Sezione Famiglia, 22.04.2024 (testo completo)

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Incontri protetti: ammonimento per la madre che condiziona la figlia contro il padre e incarico al curatore speciale di cercare una collocazione extra-familiare

Avv. Lorenzo Mariani 

Con provvedimento del 27.03.2024, il Tribunale di Roma, nel decidere su incontri protetti, affido e collocazione di una minore, rilevato che per i Servizi Sociali la madre ha un atteggiamento caratterizzato da chiusura e diffidenza che condiziona negativamente il rapporto padre-figlia, ha ammonito la donna a tenere un comportamento collaborativo volto a favorire gli incontri protetti.


Rigettata la domanda di nominare un tutore da parte del curatore speciale, il Tribunale ha invece incaricato proprio quest'ultimo di esplorare possibili soluzioni di collocamento extra-familiare della minore.

Il giudice ha poi ordinato ai Servizi Sociali di continuare a organizzare gli incontri protetti e relazionare il Tribunale a fine mese.

È interessante l'esempio di attribuzione di poteri e compiti sostanziali al curatore speciale del minore, figura che di solito svolge funzioni di natura processuale.  

Trib. Roma, 27.03.2024 (testo) 

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I nonni sono obbligati a mantenere i nipoti se non possono i genitori

Secondo il codice civile "Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio" prevede, all'art. 316 bis, in primo luogo, che i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Ciò riguarda, quindi, anche le coppie non sposate.
La norma, statuisce che, quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.
La legge, quindi, individua una responsabilità sussidiaria dei nonni, che hanno un dovere di mantenere i nipoti, ma solo nel caso di impossibilità economica dei genitori. 
La Suprema Corte ha specificato che, per ravvisare l'esistenza dell'obbligazione sussidiaria degli ascendenti, non basta l'inadempimento di un genitore, ma occorre che tale inadempimento sia dovuto a una mancanza di mezzi e non alla volontà del genitore di sottrarsi ai propri primari obblighi previsti dall'art. 316-bis, comma 1 del codice civile e, nel contempo, che l'altro genitore non possa far fronte per intero alle esigenze dei figli con le sue sostanze e le sue capacità reddituali.
La Corte di Cassazione, ha altresì specificato che l'obbligo gravante sugli ascendenti ex art. 316-bis c.c. investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori.

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Versamento diretto di parte del mantenimento al figlio maggiorenne, anche se non l'ha chiesto

Avv. Lorenzo Mariani 

Con la Sentenza n. 9486 depositata il 19.03.2023, la Prima Sezione del Tribunale di Roma ha deciso riguardo un giudizio di divorzio stabilendo - tra le altre cose - un mantenimento per i figli della coppia, una maggiorenne e uno minorenne.

Il contributo complessivo è stato determinato in € 1.000,00 (€ 500,00 per ciascun figlio) da corrispondersi per una parte (€ 300,00) direttamente alla figlia maggiorenne e per i restanti € 700,00 alla madre.

Degna di nota la decisione di corrispondere personalmente alla figlia maggiorenne una porzione del suo mantenimento, in parziale accoglimento della domanda del padre.

Infatti, per la giurisprudenza largamente prevalente è necessario che sia il figlio maggiorenne a chiedere il versamento diretto, intervenendo nel procedimento con una vera e propria domanda giudiziale (Cass. 34100/2021).

In questo caso, la figlia non era intervenuta, né dalla sentenza risulta che abbia chiesto in altro modo l’assegno diretto, ad esempio venendo ascoltata in giudizio.


Trib. Roma, Sez. I, Sent. 19.03.2024 n. 4986 (testo completo)


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Se la minore esprime disagio è illegittimo imporle le visite al padre

L'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (In applicazione di detto principio, la Suprema Corte ha cassato la decisione impugnata, che aveva imposto ad una ragazza sedicenne le visite al padre, sebbene la minore avesse manifestato una condizione di disagio per il rifiuto frapposto dalla seconda moglie del genitore). 

Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. , ordinanza 12 marzo 2024, n. 6455.

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La Cassazione ammette anche nei procedimenti su domanda congiunta il cumulo di domande di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio

A dirimere il conflitto di posizioni creatosi nella giurisprudenza di merito, a seguito dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia, circa la possibilità di proporre cumulativamente i procedimenti di separazione e di divorzio, è intervenuta la Suprema Corte, la quale ha stabilito il principio di diritto secondo cui le parti possono proporre cumulativamente, non soltanto il procedimento di separazione giudiziale e quello di divorzio contenzioso, ma grazie ad un’interpretazione estensiva e sicuramente più liberale, dell’art. 473-bis.49 c.p.c., che i coniugi possano adesso proporre cumulativamente anche sia la domanda di separazione consensuale che quella congiunta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio


Cass. Civ., sez. I, ord. 16 ottobre 2023 n. 28727.

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Niente ordine di protezione se la vittima e l’unico testimone delle violenze non sono credibili per via dei loro comportamenti

Avv. Lorenzo Mariani 

Con provvedimento del 27.02.2024, in un giudizio sulla regolamentazione dell’affido di una bambina, il Tribunale di Roma ha rigettato una domanda di ordine di protezione formulata dalla madre contro l’ex compagno, ritenendola non sostenuta da sufficienti riscontri probatori.

A parere del Giudice, non sarebbero attendibili le sommarie informazioni testimoniali rilasciate da una amica della donna, durante le indagini nei confronti del resistente per il reato di maltrattamenti in famiglia. L’informatrice non ha assistito personalmente ai fatti, ma li ha appresi dalla vittima stessa.        

Inoltre, le parole dell’amica parrebbero comunque incoerenti per via del suo comportamento. Infatti, dopo aver dichiarato di aver soccorso la donna, l’informatrice si è resa a lei irreperibile bloccando il suo contatto telefonico, per ragioni che la ricorrente stessa ha dichiarato di ignorare al curatore speciale della figlia.

Non appaiono credibili nemmeno le allegazioni della ricorrente stessa di essere stata aggredita con calci e pugni dal resistente in plurime occasioni, fin dall’inizio della loro relazione.             
Sono infatti in radicale contrasto con il tenore delle lettere che la stessa ha indirizzato all’ex compagno all’indomani della nascita della bambina, quando la relazione si protraeva già da oltre un anno, in cui il resistente viene definito dalla ricorrente con aggettivi quali “gnagnoso” e “coccolone” che appaiono poco compatibili con la riferita condizione di soggezione psicologica e paura dettata da protratti maltrattamenti, percosse, ingiurie.

Rigettato l’ordine di protezione, il Giudice ha affidato la minore ai Servizi Sociali e assegnato la casa familiare alla madre (che nel frattempo era ospite con la figlia in una casa rifugio) disponendo incontri protetti tra la bambina e il padre.

Inoltre, ha disposto una CTU sulla idoneità genitoriale delle parti.

 

Trib. Roma, Sez. I, 27.02.2024 (testo completo)

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Decade dalla responsabilità genitoriale il padre imputato per tortura verso la sua nuova compagna

Avv. Lorenzo Mariani


Trib. Roma, Sez. I, 23.02.2024

Il Collegio ricorda che il giudice civile può legittimamente porre a base del proprio convincimento non solo le sentenze penali, ma anche i soli atti di indagine del PM se idonei ad offrire sufficienti elementi di giudizio non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie.

Le condotte per cui l'uomo è in custodia cautelare, assieme alla pregressa condanna per reati analoghi verso un'altra donna, sono prova del disturbo della personalità antisociale riscontrato dal CTU nel giudizio per la regolamentazione dei minori.

La violenza, il rifiuto di sottoporsi a test tossicologici, il trasferimento volontario in un'altra regione e i comportamenti inappropriati perfino durante gli incontri protetti, giustificano la decadenza dalla responsabilità genitoriale e il divieto di contatti coi figli. 


A carico dell'uomo vanno inoltre poste le spese legali, il compenso del CTU e quello del Curatore Speciale dei minori.

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E' reato non corrispondere l'assegno di mantenimento mensile al coniuge separato

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d'appello aveva confermato la condanna inflitta dal tribunale ad un uomo per il reato di cui all'art. 570-bis, c.p. per aver omesso di versare per quattro mesi l'assegno di mantenimento mensile alla moglie separata, nonché di contribuire al pagamento delle spese straordinarie per il figlio minore nella misura del 50%, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 17 gennaio 2024, n. 2098 - nel disattendere la tesi difensiva secondo cui la condotta del soggetto che viola solo gli obblighi di natura economica nei confronti del coniuge separato senza far mancare a questi i mezzi di sussistenza non potrebbe essere considerata attualmente reato - ha invece riaffermato il principio che il reato di cui all'art. 570-bis c.p. sia configurabile anche nel caso in cui l'omesso versamento abbia ad oggetto l'assegno previsto in favore del coniuge separato.

Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 17 gennaio 2024, n. 2098

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Responsabilità genitoriale sospesa al padre che svolge attività criminale in ambiente domestico

Ai fini della sospensione della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c. non occorre che la condotta del genitore abbia causato danno al figlio, poiché la norma mira ad evitare ogni possibile pregiudizio derivante dalla condotta (anche involontaria) del genitore, rilevando l'obiettiva attitudine di quest'ultima ad arrecare nocumento anche solo eventuale al minore, in presenza di una situazione di mero pericolo di danno.

Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. 1, ordinanza 19 gennaio 2024, n. 2021.

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Separazione senza figli: la moglie nuda proprietaria va allontanata da casa, che resta al marito usufruttuario. Ma non è un'assegnazione

Avv. Lorenzo Mariani 

Con Ordinanza del 16.01.2024 la Sezione I del Tribunale di Roma ha adottato provvedimenti temporanei e urgenti ex art. 473 bis 22 cpc in un giudizio di separazione tra un uomo, usufruttuario della casa coniugale, e la moglie nuda proprietaria in forza di donazione fattale dal marito stesso. 

Nella casa oggetto di donazione, la coppia aveva convissuto per anni assieme al figlio di lei, ora maggiorenne e studente.

Il Giudice ha ritenuto di non poter assegnare la casa a nessuno dei due coniugi, in assenza di figli della coppia.
"Al solo scopo di rendere effettiva la separazione", ha però disposto l’allontanamento dalla casa coniugale della moglie entro 60 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza, considerato il titolo del marito in qualità di usufruttuario e stante anche l’età avanzata del predetto. 
E infatti, il Giudice ha ritenuto che: "la signora può più agevolmente trasferirsi e reperire altra sistemazione abitativa".

Inoltre, il Giudice ha ritenuto inammissibile la domanda di revoca della donazione avanzata nel giudizio di separazione e, rigettate tutte le istanze istruttorie, ha onerato il marito di un mantenimento € 300,00 in favore della signora, con decorrenza dal suo allontanamento dalla casa coniugale. 
Il giudicante ha poi fissato udienza per la rimessione in giudizio e un'altra udienza per la trattazione della domanda di divorzio.


Tribunale di Roma, Sez. I, 16.01.2024 (testo integrale) 

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Pignora il conto corrente dove bonifica l’assegno per l’ex moglie: lei non può chiedere il versamento diretto al datore di lavoro dell’ex marito

Va invece revocato retroattivamente il mantenimento al figlio maggiorenne fuori corso che lavora e guadagna bene, anche se ha smesso di studiare per aiutare la madre. Ma ora dovrà rimborsare il padre?

Avv. Lorenzo Mariani


Trib. Roma, Sez. I, 16.12.2023

In un giudizio incidentale di modifica delle condizioni di divorzio, l’ex marito (difeso dal nostro Studio) chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne sul presupposto della intervenuta autosufficienza economica dello stesso, specificando che la revoca fosse disposta retroattivamente dal 2017 o dal 2020, con esplicita condanna dell’ex moglie a restituire quanto percepito indebitamente per il figlio.

A tal fine, depositava una comunicazione dell’Agenzia delle Entrate sui redditi del ragazzo dal 2020 al 2022.

Nello stesso procedimento, l’ex moglie rappresentava che l’uomo stava sottoponendo a pignoramento il conto corrente in cui bonificava il mantenimento per lei; pertanto, avanzava una domanda ex art. 156 c. 6 cc di versamento diretto dell’assegno divorzile da parte del datore di lavoro dell’ex marito.

Il giudice riteneva acquisibile e utilizzabile la comunicazione dell'Agenzia delle Entrate, nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio e procedeva ad ascoltare il figlio della coppia.

In tal modo il Tribunale apprendeva che il giovane, lavorando nel mondo dello spettacolo, negli ultimi anni aveva guadagnato un salario di € 700,00 settimanali, poi divenuti 800, oltre ad aver percepito la Naspi nei momenti di disoccupazione per € 1.200,00. Inoltre, aveva guadagnato 30.000 euro nell’anno 2022, a conferma di quanto comunicato dall’Agenzia delle Entrate.

Ancora, il giovane confermava di essere fuori corso all’Accademia delle Belle Arti (pagata interamente dal padre) e che aveva deciso di lavorare per aiutare economicamente la madre e mettere da parte il danaro necessario per terminare gli studi.

Il giudice ha così revocato il mantenimento per il figlio a far data dalla domanda di modifica dei provvedimenti presidenziali (novembre 2022), ritenuto che egli sia ormai definitivamente inserito nel mondo del lavoro ed economicamente autosufficiente, non potendo attribuirsi rilievo alcuno all’assunto che la decisione di svolgere un’attività lavorativa - del tutto confacente ai suoi aspirazioni e studi -  sia stata motivata dall’intento di supportare economicamente la madre e di continuare gli studi che, invero, avrebbe già dovuto terminare anni fa.

Allo stesso tempo, il giudicante ha però rigettato la domanda di condanna della madre a restituire quanto percepito a titolo di mantenimento per il figlio, “rilevata, in via preliminare, la inammissibilità nel presente giudizio di domande di natura restitutoria, siccome esulanti dal thema decidendum del divorzio, in cui è escluso il simultaneus processus tra domande soggette a riti diversi quali quelle restitutorie e/o di condanna al pagamento di somme di danaro, non rientranti tra le ipotesi di connessione qualificata di cui all’art. 40 cpc”.

Ancora, il giudicante ha rigettato la richiesta dell’ex moglie di versamento diretto dell’assegno di mantenimento da parte del datore di lavoro dell’uomo.           
Non è invero contestata la corresponsione da parte dell’obbligato della somma dovuta, ma soltanto la mancata possibilità di utilizzo di tale somma da parte della beneficiaria, in ragione del pignoramento anche degli importi corrispostile a titolo di mantenimento, questione esulante dal procedimento di divorzio e da far valere innanzi al diverso Giudice competente.

E infatti il pagamento diretto ex art. 156 c. 6 cc, nella formulazione anteriore alla riforma Cartabia, presuppone il rischio di futuri inadempimenti dell’onerato sulla base del suo attuale comportamento. Rendere indisponibile il mantenimento corrisposto – mediante un pignoramento del conto corrente – non equivale a non versare l’assegno in sé.

Ma ora il figlio (o la madre per lui) dovrà restituire il mantenimento al padre? L’esonero retroattivo dalla prestazione pecuniaria lascia intendere di sì: perché, altrimenti, riconoscere che il mantenimento non era più dovuto da una data passata se non è possibile riottenere le somme versate?            
La domanda di esplicita condanna alla restituzione, d’altronde, è stata rigettata solo per motivi di incompatibilità processuale col rito di famiglia.

Dunque, nulla esclude il diritto di introdurre un nuovo giudizio per veder riconoscere l’indebito oggettivo o l’ingiustificato arricchimento, come da giurisprudenza di Cassazione anche recente.  

Trib. Roma, Sez. I, 16.12.2023 (testo integrale)

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Morte per emotrasfusione infetta: il danno parentale è presunto e si applicano le tabelle di Roma

Avv. Lorenzo Mariani

Con sentenza n. 18098 dell’11.12.2023, la II Sezione del Tribunale di Roma ha riconosciuto un risarcimento di € 485.000,00, oltre interessi dal 2018, per il danno da perdita del rapporto parentale sofferto dai due ricorrenti difesi dal nostro Studio, figli di una donna deceduta nel 2006 a causa delle complicanze dell’epatite contratta anni prima dopo una emotrasfusione infetta.

Rigettate completamente le doglianze del Ministero della Salute convenuto.

E infatti, l’azione dei ricorrenti non è prescritta stanti le diffide inviate nel 2009, 2012 e 2015.

Ancora, il nesso causale tra malattia e morte della donna è sufficientemente provato dalla CTU svolta in un precedente giudizio che, quand'era ancora in vita, le aveva riconosciuto un risarcimento per danno da emotrasfusione con sentenza passata in giudicato.

Il danno-conseguenza, invece, sussiste anche in assenza di specifiche prove degli attori, in quanto deve ritenersi presunto dalla semplice circostanza della perdita della madre, mentre era onere del convenuto fornire specifici elementi contrari.

In ultimo, per la quantificazione del risarcimento non si applicano le tabelle di Milano ma quelle di Roma, in quanto basate su un sistema “a punti” richiesto dalla giurisprudenza di Cassazione più recente per il danno da perdita del rapporto parentale.


Trib. Roma, Sez. II, Sent. , 11.12.2023 n. 18098 (testo integrale)

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Decadenza della responsabilità genitoriale

La Corte di Appello di Milano, in merito all'impugnazione contro il Decreto del Tribunale per i Minorenni, ha accolto il ricorso della madre, vittima di violenza, decretando la decadenza del padre dalla responsabilità genitoriale. Si dispone l'affido del minore all'Ente competente e il collocamento presso la madre, con l'onere di presa in carico da parte della N.P.I. e del Centro antiviolenza. Si conferma la sospensione dei rapporti tra il padre e il minore, considerando il grave deficit della sua capacità genitoriale. Inoltre, viene imposto all'ex coniuge l'obbligo di contribuire al mantenimento del figlio, nonostante lo stato di disoccupazione, a meno che non dimostri una capacità lavorativa idonea. La Corte mantiene e amplia l'incarico ai Servizi Sociali, confermando la sospensione dei rapporti padre-figlio, considerando le condotte violente accertate e il manifestato deficit genitoriale. 


Cassazione Civile, sez.I, 19 Novembre 2021, n.35710

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I criteri per il riconoscimento dell’assegno divorzile tra il primo e il secondo grado

La Cassazione civile, con ordinanza del 3 novembre 2023, n. 30656, dopo aver ricostruito la propria giurisprudenza consolidata sui criteri per la corresponsione dell'assegno di divorzio, ha precisato, in relazione al caso in esame, che "se in primo grado sia stata formulata la domanda di assegno di divorzio in base al tenore di vita (perché all'epoca vigeva tale l'orientamento giurisprudenziale che vedeva nella corresponsione dell'assegno il rispetto proprio del criterio del tenore di vita), la riproposizione in Appello della medesima domanda, in funzione, questa volta, perequativo/compensativa che quindi tiene conto del recente orientamento della giurisprudenza rappresenta un quid minus rispetto al quid pluris precedentemente richiesto, e, di per sé, non può essere ritenuta inammissibile, poiché la parte chiede sempre il medesimo assegno e si deve tenere conto della variazione interpretativa che guida le ragioni giustificatrici della relativa attribuzione".

Cassazione civile, sez. I, ordinanza del 3 novembre 2023, n. 30656

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NO all’assegnazione della casa familiare a figli indipendenti economicamente

La revoca dell'assegnazione della casa familiare è provvedimento che ha come esclusivo presupposto l'accertamento del venir meno dell'interesse dei figli alla conservazione dell'habitat domestico in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e del conseguimento dell'autosufficienza economica o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario. In applicazione di tale principio la Suprema Corte ha confermato la decisione dei Giudici di merito che avevano rigetto la richiesta di assegnazione della casa familiare in favore dell'ex moglie, avendo il figlio convivente raggiunto la maggiore età.

Cassazione civile, sez. I, ordinanza 20 novembre 2023, n. 32151

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Il minore vittima di abusi sessuali non è soggetto a vincoli metodologici

Nel caso in cui sia necessaria l'audizione di un minore vittima di abusi sessuali, è importante sottolineare che il rispetto dei protocolli operativi stabiliti dalla Carta di Noto non rappresenta una restrizione metodologica vincolante per il giudice. La mancata aderenza a tali protocolli non comporta automaticamente l'inutilizzabilità della prova così ottenuta. Questi protocolli forniscono semplicemente linee guida mirate a garantire l'affidabilità delle dichiarazioni del minore. Inoltre, si concentrano sulla tutela della protezione psicologica del minore durante la conduzione dell'audizione, utilizzando anche strumenti tecnici e competenze specialistiche. L'obiettivo principale è prevenire la comparsa di fenomeni di vittimizzazione secondaria nei confronti della persona offesa.

Cassazione, III Sez., Pen., Ord. 24 ottobre 2023, n. 43225.

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Il valore della testimonianza del minore abusato

In tema di violenza sessuale nei confronti dei minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non determina l'inattendibilità della testimonianza della persona offesa non essendo tale accertamento indispensabile ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità. In tema di reati sessuali, la sola età adolescenziale del minore abusato non costituisce in re ipsa circostanza tale da escludere la capacità a deporre in assenza di patologie incidenti su tale capacità. 


Cassazione Penale, Sez. III, Sent., 7luglio 2020, n.20093.

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Adozione - sviluppi evolutivi grazie al mediatore culturale

La normativa sull'adozione di minore prevede il diritto prioritario del minore di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, quale tessuto connettivo della sua identità. Il giudice nell'accertare lo stato di adottabilità di un minore deve verificare: l'effettiva ed attuale possibilità di recupero dei genitori, sia con riferimento alle condizioni economico-abitative, senza però che l'attività lavorativa svolta e il reddito percepito assumano valenza discriminatoria, sia con  riferimento alle condizioni psichiche, queste ultime da valutare, se del caso, con una indagine peritale; estendere tale verifica anche al nucleo familiare; avvalersi di un mediatore culturale, non al fine di colmare deficit linguistici, ma di elidere la distanza tra modelli culturali familiari molto differenti, che, se non superata, osta ad un'adeguata valutazione della capacità genitoriale.

Corte di Cassazione, I Sez. Civ., Ord. 8 novembre 2023 n. 31057

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Inammissibile l'intervento del figlio indipendente economicamente nel giudizio di divorzio

Il provvedimento de quo viene emesso dal Tribunale di Pisa nell'ambito di un sub - procedimento aperto in un giudizio di divorzio nel quale, già pronunciata la sentenza sullo status, il padre chiede la revoca del contributo al mantenimento della figlia, maggiorenne, economicamente indipendente e residente in un'altra citta insieme al compagno. A fronte dell'istanza presentata dal ricorrente nei confronti della figlia, intestataria dell'assegno di mantenimento, il Giudice oppone la carenza di legittimazione della stessa all'intervento autonomo o ad adiuvandum. 


Tribunale di Pisa Ord. 4 ottobre 2023

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Test DNA rifiuto - comportamento indiziario

Con ordinanza n. 128444 la Cassazione civile del 12 ottobre 2023 in tema di accertamento giudiziale di paternità, decidendo sul ricorso proposto dal padre di una minorenne avverso la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Perugia, che aveva ritenuto accertata la presunta paternità in ragione del rifiuto reiterato opposto alla consulenza genetica disposta in via istruttoria dai giudici di merito, motivato dalla parte opponente per la necessità di acquisire in via preventiva la prova storica dell'esistenza di un rapporto sessuale o di una relazione con la madre del minore, ha dichiarato inammissibile il gravame proposto.

Cassazione civile, sez.1, ordinanza 12 ottobre 2023, n. 128444. 

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Doveri morali e sociali - Unioni di fatto

Le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale e assumono rilievo ai sensi dell'art 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, doveri che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale, sicché le attribuzioni finanziarie a favore del convivente "more uxsorio", effettuate nel corso del rapporto per far fronte alle esigenze della famiglia ( nella specie, versamenti di denaro sul conto corrente del convivente con quindici bonifici  per un importo complessivo di euro 74.000), configurano l'adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., a condizionare che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza, per la cui valutazione occorre tener conto di tutte le circostanze fattuali, oltre che dell'entità del patrimonio e delle condizioni sociali del "solvens".


Corte di Cassazione, Sez.1 -, Ordinanza n. 16864 del 13/06/2023 (Rv. 668005- 01)

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Nullità ecclesiastica delibazione

Dopo 10 anni dalla sentenza delle sezioni unite la direzione è la medesima per la delibazione, la convivenza come coniugi, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ''ordine pubblico italiano '', che osta alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico per vizio genetico del ''matrimonio-atto''.

Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 10 ottobre 2023, n. 28308. 

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Figlio all'estero NON esclude l'affidamento condiviso

All'affidamento condiviso può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievoli per l'interesse del minore, con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo in positivo sulla idoneità del genitore, ma anche in negativo nulla inidoneità educativa, ovvero manifesta carenza dell'altro genitore. 

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Delibazione riserva mentale

Con il provvedimento n. 15142 depositata il 30 maggio 2023, la Cassazione ha stabilito che in caso di delibazione di sentenza di nullità del matrimonio concordatario, il convincimento, espresso dal giudice di merito, sulla conoscenza o conoscibilità da parte del coniuge della riserva mentale unilaterale dell’altro costituisce apprezzamento di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità.

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STOP MANTENIMENTO FIGLI MAGGIORENNI !!!

Con l’ordinanza n. 16327 depositata l’8 giugno 2023, la Cassazione mantiene fermo il suo orientamento secondo cui il figlio maggiorenne “non può ostinarsi e indugiare nell’attesa di trovare il lavoro reputato consono alle sue aspettative, non essendogli consentito di fare abusivo affidamento sul supposto obbligo dei suoi genitori di adattarsi a svolgere qualsiasi attività pur di sostentarlo ad oltranza nella realizzazione (talvolta realistico) di desideri ed ambizioni personali”.

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Godimento esclusivo, da parte del coniuge legalmente separato, della casa coniugale acquistata in regime di comunione legale

In materia di comunione del diritto di proprietà, se per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non ne sia possibile, ai sensi dell'art. 1102 c.c., un godimento diretto con pari uso da parte dei comproprietari, essi possono deliberarne l'uso indiretto e, in mancanza di tale deliberazione, il comproprietario, che da solo ha goduto del bene, deve corrispondere agli altri partecipanti alla comunione i frutti civili con decorrenza dalla data in cui gli perviene la richiesta di uso turnario o comunque di partecipazione al godimento da parte degli altri comunisti. In applicazione del principio, la S.C. in data 18 Aprile 2023.  ha affermato che, in caso di separazione dei coniugi, l'indennità di occupazione della casa coniugale acquistata in regime di comunione legale non va corrisposta dalla data della separazione, ma da quella in cui il coniuge non occupante manifesti all'altro la richiesta di uso turnario o comunque la volontà di godimento dell'immobile.

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Assegno divorzile: funzione assistenziale e compensativa

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui la più recente giurisprudenza di legittimità attribuisce una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, in virtù dell'articolo 5, comma 6, della legge n. 898/1970, postula l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente nonché dell'impossibilità di procurarseli per ragioni di natura oggettiva. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 19 giugno 2023, n. 17505. 

Dopo la dichiarazione ufficiale di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i due coniugi, i giudici di merito riconobbero alla donna, sia in primo che in secondo grado, il diritto a percepire l’assegno divorzile. I giudici hanno rilevato che dal raffronto fra le due posizioni emergeva un significativo squilibrio economico sottolineando che la donna in ragione dell'età, del livello professionale e della condizione del mercato del lavoro non era in condizione di migliorare la propria condizione reddituale trovandosi poco al di sopra della soglia di povertà.

Ritenevano quindi, alla luce del fatto che il matrimonio aveva avuto una durata ventennale, allietato dalla nascita di un figlio, dovevano ritenersi sussistenti le condizioni per il riconoscimento di un assegno divorzile. L'uomo ha quindi proposto ricorso per cassazione, che tuttavia è stato rigettato.

In merito all'assegno divorzile, il collegio ha evidenziato che si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dall'istante l'assegno divorzile alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, come pure di quello personale di ognuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto. Il Collegio ha osservato che, nella specie, la corte distrettuale aveva analizzato le situazioni patrimoniali di ambedue gli ex coniugi, riscontrando un evidente squilibrio reddituale a vantaggio dell'uomo, rilevando l'incapacità dell'ex moglie di provvedere, in ragione dell'età e del suo livello di professionalità come pure delle attuali condizioni di mercato del lavoro, a migliorare la propria posizione reddituale.

Quindi aveva escluso che gli elementi raccolti in sede istruttoria consentissero di ritenere provato lo svolgimento di una attività lavorativa sommersa spiegando le ragioni poste a base del suo convincimento.

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Responsabilità genitoriale revocabile sulla base delle intercettazioni ambientali

La Corte di cassazione, con sentenza n. 23247 in data 31.07.2023 ha statuito la revocabilità della responsabilità genitoriale per condotte inadeguate dei genitori anche sulla base delle sole intercettazioni ambientali disposte nell'ambito del procedimento a carico degli stessi, aggiungendo che l'ascolto del minore non va disposto quando corre il rischio di una ulteriore vittimizzazione.

Il Pubblico Ministero aveva dichiarato la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori e la Corte di appello, in sede di reclamo, aveva confermato quanto statuito in precedenza a fronte delle svariate condotte lesive degli interessi dei figli (offese ed aggressioni continuative nei loro confronti; bestemmie, clima violento in cui i minori hanno vissuto).

Proposto ricorso in Cassazione, la Prima sezione civile l'ha respinto rimarcando per prima cosa che il provvedimento impugnato è stato emesso a tutela dell'incolumità dei minori per soddisfare l'impellente interesse di sottrarli alle gravi condotte violente ed aggressive dei ricorrenti. Ed aggiungendo che l'accertamento delle "suddette continuative condotte violente, aggressive e altamente diseducative, e dei relativi maltrattamenti nei confronti dei minori, seppure attraverso le intercettazioni ambientali effettuate nella fase delle indagini preliminari nel procedimento penale, nel quale sono state anche emesse misure cautelari nei confronti dei genitori, rende necessario, a tutela degli stessi minori, escludere il loro ascolto nel grado d'appello, che potrebbe costituire un pericolo di ulteriori traumi perché li potrebbe costringere a rivivere i gravi episodi vissuti (cd. "vittimizzazione secondaria")".

In definitiva per la Suprema corte vanno affermati due principi di diritto: in riferimento al primo, relativo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, la Cassazione ha sancito: "In tema di responsabilità genitoriale, continuative condotte violente, fisiche e verbali, e i relativi maltrattamenti nei confronti dei minori, legittimano la pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale, anche sulla base di accertamenti giudiziali e verifiche svolte sulla base del solo mezzo istruttorio delle intercettazioni ambientali, effettuate nell'ambito della fase delle indagini preliminari, nell'ambito del procedimento penale promosso nei confronti dei genitori indagati per le suddette condotte". Con riguardo al secondo: "In tema di ascolto del minore maltrattato, il giudice deve sempre operare un bilanciamento tra l'esigenza di ricostruzione del volere e del sentimento del minore, quale principio fondamentale applicabile anche nel procedimento relativo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, e quella della tutela del minore maltrattato, come persona fragile, nel caso in cui l'ascolto possa costituire pericolo di vittimizzazione secondaria per gli ulteriori traumi che il fanciullo che li abbia già vissuto possa essere costretto a riviverli".

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Assegno divorzile: presupposti che ne giustificano l'attribuzione

È ormai consolidato il principio secondo il quale “Al fine di accertare se sussistano i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione compensativo-perequativa del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali o reddituali, ferma l'irrilevanza del pregresso tenore di vita familiare, il giudice deve verificare: a) se tra gli ex coniugi, a seguito del divorzio, si sia determinato o aggravato uno squilibrio economico-patrimoniale prima inesistente (ovvero di minori proporzioni); b) se, in costanza di matrimonio, gli ex coniugi abbiano convenuto che uno di essi sacrificasse le proprie prospettive professionali per dedicarsi al soddisfacimento delle incombenze familiari; c) se, con onere probatorio a carico del richiedente, tali scelte abbiano inciso sulla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi determinando uno spostamento patrimoniale da riequilibrare; d) quale sia lo spostamento patrimoniale, e la conseguente esigenza di riequilibrio, causalmente rapportabile alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofmiliari.” (Cass. ord. n. 22738/2021- Rv. 662350-01). Si è quindi avuto modo di osservare che il riconoscimento dell'assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sé, che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull'esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, essendo invece necessaria un'indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l'assegno, di dedicarsi prevalentemente all'attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 29920 del 13/10/2022, Rv. 666043 - 01). L’insieme di tali principi porta ad escludere che ricorrano i presupposti per attribuire alla moglie un assegno divorzile, ogniqualvolta questo vada ad avere la sola funzione di realizzare una tendenziale equiparazione del livello di vita dei due coniugi.Assegno divorzile: presupposti che ne giustificano l'attribuzione

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Cassazione: carcere per chi stalkera la ex su WhatsApp

Una recente pronuncia della Cassazione ha statuito che integra il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. il soggetto che, a mezzo WhatsApp, invia messaggi alla ex contenenti insulti e minacce.

Questo quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 7821/2023.

Più specificatamente, in sede di appello vedeva confermata la responsabilità dell'imputato per il reato di atti persecutori aggravato dall'uso dei mezzi informatici e per il reato di diffamazione, in danno della ex e lo stesso viene condannato alla pena di 1 anno e 6 mesi di reclusione e al pagamento delle spese del processo.

Nonostante l'imputato abbia tentato di impugnare la decisione il ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Cassazione in virtù dei numerosi messaggi, molti dei quali contenenti insulti, della condotta della persona offesa, delle dichiarazioni dei testimoni e delle ammissioni dello stesso imputato.

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ascolto del minore, per collocamento in struttura

Nei giudizi relativi alla modifica delle statuizioni sull'affidamento o sul collocamento del minore, tenuto conto anche di fattori sopravvenuti quali la modifica della residenza, ove lo stesso sia prossimo alla soglia legale del discernimento e sia stata formulata istanza di rinnovo della audizione, il giudice di secondo grado deve procedere all’ascolto o fornire puntuale giustificazione argomentativa del rigetto della richiesta, non essendo di per sé sufficiente che il minore sia stato sentito nel precedente grado di giudizio. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 21 aprile 2023, n. 10788


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diritto ex coniuge a ricevere quota di incentivo alle dimissioni anticipate


Con sentenza n.5644/2009 il Tribunale di Milano pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario di due soggetti. 
l'ex moglie, con atto notificato, citava l'ex coniuge a comparire dinanzi al Tribunale di Milano, esponendo che il convenuto aveva, nel 2018, interrotto il rapporto lavorativo con una società per la quale aveva operato in qualità di dirigente nel periodo compreso tra gennaio 2001 e dicembre 2007 ovvero in costanza di matrimonio, e che il convenuto aveva percepito un'ingente somma a titolo di T.F.R., e un'ulteriore domma a titolo di " incentivo all'esodo". chiedeva quindi, tenuto conto che il vincolo matrimoniale si era protratto dal 1996 al 2009, condannarsi il convenuto a corrispondere ai sensi dell'art.12 bis della legge n.898/1970 il 40% di tutto quanto percepito.
Con sentenza n. 5680/2017 il Tribunale accoglieva in parte la domanda attorea e condannava il convenuto a corrispondere l'importo del 40% del solo T.F.R. , reputando il tribunale che non era dovuto all'attrice alcun importo percentuale con riferimento alle somme destinate dal convenuto ad un fondo di " previdenza complementare" nonchè con riferimento alle somme percepite a titolo- sostanzialmente risarcitorio- di " incentivo all'esodo". 
con sentenza n.4725/2019 la Corte di appello di Milano rigettava l'appello principale e compensava integralmente le spese del grado.
Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso per Cassazione sulla scorta di due motivi. 
Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell'art.360, comma 1 n.3, cod.proc.civ. la violazione e falsa applicazione dell'art.12 bis della legge n. 898/1970 anche in combinato disposto con gli artt. 2 e 29 Cost., sul presupposto chye la Corte di Milano, allorchè ha escluso dall'alveo del trattamento di fine rapporto il cosiddetto " incentivo all'esodo", ha impropriamente circoscritto la portata dell'art.12 bis cit.
Con il secondo motivo, la ricorrente principale duncia ai sensi dell'art.360, comma 1n.3, cod. proc. civ.la violazione  e la falsa applicazione dell'art.12 bis della legge n. 898/1970 anche in combinato disposto con gli artt. 17 e 19 T.U.I.R, deducendo che il testo unico delle imposte sui redditi ha equiparato il T.F.R. e " l'incentivo all'esodo", in quanto entrambi soggetti a tassazione separata e inoltre assolvano alla stressa funzione.
Per un verso, la Corte di legittimità ha affermato che in caso di divorzio,sono assoggettate le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente, atteso che dette somme non hanno natura liberale nè eccezionale ma costituiscono reddito di lavoro dipendente.
nello stesso solco esegetico, è stato affermato che le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente, non hanno natura nè liberale nè eccezionale, ma costituiscono redditi da lavoro dipendente assoggettati a tassazione separata ex art.16, comma 1 lett. a), del D:P:R: n. 917 del 1986.
per altro verso la Suprema Corte ha affermato, seppur in epoca meno recente, che la quota dell'indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12 bis della legge 1970 n.898, al coniuge titolare dell'assegno divorzile e non passato a nuove nozze, riguarda unicamente quella indennità che, maturando alla cessazione del rapporto di lavoro, è determinata in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; non spetta pertanto al coniuge divorziato una parte di altri eventuali importi erogati, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro dell'ex coniuge, ma ad altro titolo.


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I NONNI DEVONO MANTENERE I NIPOTI ?

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione del mantenimento dei nipoti da parte dei nonni. 

" Quando i genitori non hanno i mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli".
nella pratica però, sorgono diverse controversie.
il 16/05/2023 è stata pubblicata l'ordinanza n.13345/2023 della Cassazione, che torna a precisare i presupposti e i limiti dell'obbligo di mantenimento degli ascendenti.
Ebbene, secondo la Cassazione, l'obbligo ( eventuale ) dei nonni non va qualificato come " surroga" di quella che viene chiamata responsabilità sussidiaria: ciò significa che l'obbligo sorgerà solo nel caso in cui le esigenze complessive dei minori non vengano soddisfatte per intero da parte dei soggetti obbligati in via principale e cioè i genitori. 
Dunque la Cassazione giunge alle seguenti conclusioni:
- l'obbligo dei nonni di fornire ai genitori i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli va interpretato, innanzitutto, nel senso che l'obbligazione degli ascendenti è subordinata e quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori
- non si può chiedere un aiuto economico ai nonni per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di mantenerli.

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PRESUPPOSTI PER RINNOVARE CTU

Ai sensi dell’art. 8 della L. 24/2017 l'azione civile di risarcimento danni da responsabilità sanitaria
deve essere preceduta, a pena di improcedibilità, dal ricorso per consulenza tecnica preventiva di
cui all'art. 696 bis c.p.c. o, in alternativa, dal procedimento di mediazione ai sensi del D.lgs. n.
28/2010, è invece esclusa la necessità di procedere alla negoziazione assistita di cui all’art. 3 L.
162/20142.
Nel caso di specie, (Corte di appello di Roma, SEZIONE VI civile, 28.03.2023) inizialmente il
giudice non ha accettato la richiesta di rinnovazione della CTU. Dopo l’ATP Conciliativo, il giudice
aveva disposto il mutamento del rito da sommario di cognizione a ordinario, senza però rinnovare la
CTU, ma successivamente la Corte di Appello di Roma ha disposto la rinnovazione della
consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado.
Sicuramente per quanto concerne il caso di specie, raramente la corte di appello agisce con un
provvedimento di rinnovazione della Ctu, senza entrare dettagliatamente nel merito.
Più nello specifico l’appellata – vittoriosa in primo grado - sosteneva che fosse stata sottoposta ad
un intervento chirurgico, asserendo che la diagnosi di dimissione fosse diversa rispetto l’operazione
effettuata. Nel suo ricorso, in primo grado, la signora assumeva che i trattamenti medici cui si era
dovuta sottoporre fossero imputabili a una esecuzione dell’intervento chirurgico, non conforme alle
regole di prudenza, diligenza e perizia e senza previa consultazione disciplinare e in difetto di
accordo con la paziente, la quale non avrebbe rilasciato il consenso informato.
In udienza, il giudice nominava il CTU e si tentava una conciliazione tra le parti (ex art. 696 bis
c.p.c) che però aveva esito negativo.
Si può osservare, in via preliminare, che, nonostante l’art. 696 bis c.p.c. preveda testualmente che il
consulente “prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione
delle parti”, non sembra possa rimettersi ad una valutazione personale del consulente l'opportunità
di procedere con il tentativo di conciliazione. Il consulente deve tentare la conciliazione non avendo
nessun potere discrezionale in tal senso - eccettuati i casi di oggettiva impossibilità - dal momento
che la limitazione del diritto d'azione, connessa all'obbligo di ricorrere al procedimento ex art. 696
bis c.p.c., si giustifica proprio in ragione dello svolgimento e dell'auspicato esito positivo dello
stesso.
In definitiva la CTU, escludeva qualsivoglia responsabilità in capo al medico, ma comunque
condannava lo stesso e l’azienda sanitaria per aver effettuato un intervento invasivo non preferibile.
Per tale ragione il sanitario e la ASL richiesero di provvedere a rinnovare la Ctu, richiesta poi
reiterata in appello e accolta solo in quella sede.
Interessante, poi, il fatto che la Corte D’Appello abbia ritenuto di dover sospendere in prima
udienza ex art. 283 cpc l’efficacia esecutiva della sentenza sulla sola base dell’accoglimento della
domanda di rinnovazione (dunque del solo fumus della domanda cautelare).

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L'ASSENZA DI CONSUMAZIONE DEL AMTRIMONIO, NON PRECLUDE IL RICONOSCIMENTO DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO

L’assenza di consumazione del matrimonio, pur essendone causa di scioglimento, non preclude il riconoscimento dell’assegno di mantenimento. La Corte di Cassazione con la sentenza 3645/2023 ha evidenziato che, nonostante l’assenza di rapporti sessuali in costanza di matrimonio, il marito dovrà versare all’ex moglie l’assegno divorzile.

Ai fini del matrimonio la non consumazione dello stesso, infatti, non incide sulla validità giuridica del vincolo coniugale né sull’esistenza dello stesso, pertanto, non pregiudica il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio né l’applicabilità della normativa in tema di assegno di divorzio stante la natura assistenziale dello stesso.

Nel corso dell’istruttoria era emersa l’assenza di rapporti sessuali tra i coniugi e l’inizio di una nuova relazione da parte della moglie.
In relazione alle doglianze del marito, la Corte non ritiene fondate le censure. Non era stato dimostrato infatti, che la moglie e il terzo avessero un comune progetto di vita, ma solo che la prima provvedeva all’acquisto di beni alimentari per il mantenimento della nuova "famiglia".

Tali prove, per la Corte non sono sufficienti ad affermare l’esistenza di una relazione sentimentale stabile.
Il nuovo legame, infatti, deve essere accertato in modo rigoroso, così come indicato dall’art. 2729 del Codice Civile che richiede di procedere ad una complessiva valutazione degli elementi come la presenza di un conto corrente cointestato, lo stesso domicilio, l’esistenza di figli o la contribuzione economica in famiglia. L’onere probatorio relativo a questo aspetto, ricade su chi contesta il diritto all’assegno di mantenimento.

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DIRITTO PENSIONE REVERSIBILITA'

Cassazione civile, sez. I, ordinanza 18 aprile 2023, n.10291

L'intreccio di interessi patrimoniali eterogenei riconducibili al titolare dell'assegno pensionistico, al titolare dell'assegno divorzile, agli istituti o alle casse previdenziali, e anche all'eventuale altro coniuge superstite, consiglia il necessario accertamento giudiziale della titolarità o meno in capo all'ex coniuge dell'assegno divorzile, come requisito imprescindibile per la liquidazione dell'assegno pensionistico di reversibilità, senza che siano sufficienti meri accordi o intese tra le parti non sottoposte al vaglio giurisdizionale.


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AUTONOMIA SOSTANZIALE E PROCESSUALE TRA SEPARAZIONE E DIVORZIO

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, ordinanza 5 aprile 2023, n. 9345

In tema di regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi separati nella pendenza del giudizio divorzile, poiché l'assegno di divorzio traendo la sua fonte nel nuovo "status" delle parti ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della pronuncia di risoluzione del vincolo coniugale, i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a regolare i rapporti economici tra i coniugi fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, salvo che, pronunciata sullo scioglimento del vincolo sentenza non definitiva, il giudice ritenga con adeguata motivazione ed in relazione alle circostanze del caso concreto di anticipare la decorrenza dell'assegno alla data della domanda, ai sensi dell'art. 4, comma 13, della L. n. 898 del 1970L. 01/12/1970, n. 898, oppure che nella fase presidenziale o istruttoria del giudizio siano emessi provvedimenti provvisori temporanei ed urgenti, che si sostituiscano a quelli adottati nel giudizio di separazione. Il tutto in ragione dell'autonomia, sul piano sostanziale e processuale, dei procedimenti di separazione e di divorzio ma anche della necessità di assicurare sempre continuità all'erogazione del contributo in favore del coniuge economicamente più debole.

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EFFETTI DELLA SEPARAZIONE

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, ORDINANZA 13 APRILE 2023, N. 9839

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LA CORTE COSTITUZIONALE SUGLI EFFETTI DELLA SENTENZA DI RETTIFICAZIONE DI ATTRIBUZIONE DI SESSO SULL’UNIONE CIVILE PREESISTENTE

La L. n. 76/2016 all’art. 1, comma 27, ha previsto che alla rettificazione di sesso di uno dei coniugi, ove gli stessi abbiano manifestato volontà di mantenere in vita il vincolo di coppia, consegue automaticamente l’instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, nel pieno rispetto dell’orientamento della Corte costituzionale, di cui alla decisione 11 giugno 2014, n. 170, con la quale erano stati ritenuti incostituzionali gli artt. 2 e 4, L. 14 aprile 1982, n. 164, nella parte in cui non prevedevano che la sentenza di rettificazione di sesso di uno dei coniugi, avesse consentito, comunque, di mantenere in vita un rapporto di coppia su richiesta dei coniugi stessi. Al contrario, il comma 26 della stessa legge, dispone che nel caso di unione civile, la rettificazione di sesso di una delle parti determina lo scioglimento dell’unione civile, senza alcuna possibilità di una scelta diversa.

Ebbene nella vicenda in esame, sono state sollevate plurime questioni di legittimità costituzionale con riferimento a disposizioni centrali in ordine all’impossibilità di convertire l’unione civile in matrimonio in conseguenza della rettificazione di sesso di uno dei due componenti della coppia.

Nel giudizio principale l’attore, che necessitava di “adeguamento dell’identità fisica a quella psichica”, aveva chiesto anzitutto “l’autorizzazione all’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile in femminile” e, quindi la rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso e il nome, e l’ordine all’ufficiale dello stato civile di procedere alla iscrizione del suo matrimonio con il partner, con il quale aveva in passato contratto unione civile.  Il giudice a quo ha del tutto obliterato l’esame della domanda dell’attore.

Inoltre il Tribunale ha richiamato gli approdi raggiunti dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale, in virtù dei quali la lettura sinottica delle norme de qua non deve portare a ritenere l’intervento chirurgico pre-condizione necessaria della pronuncia di mutamento di sesso, ma solamente un possibile mezzo strumentale a un pieno benessere psicofisico (Corte cost. n. 221/2015; Cass n. 15138/2015).

Così operando, il giudice ha chiarito che l’attore non aveva effettuato alcun intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali ( ciò che costituiva  l’oggetto della domanda di autorizzazione), ma una terapia ormonale, chiedendo la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri di stato civile, dichiarando di aver acquisito l’identità di genere femminile attraverso un percorso psicologico comprovante la definitività e irreversibilità di tale orientamento, prescindendo dalle caratteristiche anatomiche degli organi sessuali.

Conseguentemente, il Collegio rimettente ha, quindi proceduto alla illustrazione dei propri dubbi di illegittimità costituzionale del plesso normativo evocato ed ha sollevato innanzi alla Corte Costituzionale le relative questioni in via del tutto ipotetica.

Ebbene il Tribunale ha osservato che “l’interdipendenza tra pronuncia di rettificazione e sorti dell’unione civile in precedenza contratta tra persone dello stesso sesso non forma oggetto di lacuna normativa” .

Difatti viene ricordato come l’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016 preveda espressamente che “la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Differentemente il successivo comma 27, nell’ipotesi inversa di rettificazione di sesso che interessa uno dei due coniugi uniti in matrimonio, stabilisce l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone di pari sesso, ove queste abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili.

Ebbene la Consulta, in tema di rettificazione di attribuzione di sesso, ha avuto modo di affermare che l’interpretazione costituzionalmente adeguata della legge n.164 del 1982 consente di escludere il requisito dell’intervento chirurgico di normoconformazione.

 

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La competenza sul mantenimento dei figli residenti all’estero è italiana

Con la sentenza n. 30903, depositata il 19 ottobre 2022, le Sezioni Unite civili hanno risolto in favore della Autorità giudiziaria italiana la questione di giurisdizione, rimessa dalla Cassazione, sulla domanda di determinazione degli obblighi di mantenimento del figlio residente all’estero in un giudizio di separazione, escludendo che per tali materie operi il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore (Cass. Civ., SS.UU., sent. 19 ottobre 2022, n. 30903).

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Art. 1227 c.c.: può essere attivato anche dalla condotta di chi dovrebbe sorvegliare il minore

Nel 2018, la Cassazione, con le ordinanze “gemelle” n. 248024812482 e 2483, stabilì una regola importante in tema di responsabilità da cose in custodia riguardante la condotta del danneggiato. Come noto, la prova liberatoria prevista dall’art. 2051 c.c. è il caso fortuito. Il fortuito può essere determinato, secondo queste ordinanze, che davano peraltro continuità a un indirizzo giurisprudenziale tutt’altro che minoritario, anche dalla condotta del danneggiato.

Infatti la condotta del danneggiato può avere incidenza causale sull'evento dannoso, valutabile ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno; fino al caso estremo, in cui la sua condotta può assurgere a causa esclusiva del danno.

Il caso in esame è proprio un caso estremo. Un bambino cade, malamente, a causa della presenza di una buca nel marciapiede che si trova vicino alla casa dei nonni, alla cui sorveglianza era stato affidato. I giudici di merito respingono la richiesta risarcitoria, e così anche la Cassazione (cfr. Cass. civ., sez. VI-3, ord. 11/11/2022, n. 33390): la caduta era avvenuta in un luogo ben noto al bambino, in ora serale ma ancora con ottima visibilità; lo stato di sconnessione del marciapiede era noto sia ai genitori che al minore, oltre che, ovviamente, ai nonni; gli effetti della caduta facevano capire che il bambino stesse correndo, il che avrebbe obbligato il nonno a un'adeguata sorveglianza.

In conclusione, il comportamento colposo di chi era tenuto alla sorveglianza era tale da interrompere il nesso di causalità tra la cosa e il danno. La conclusione è condivisibile: il minore, per definizione, è irresponsabile, in tutti i sensi. Pertanto non è possibile pretendere da un bambino una condotta avveduta e prudente, che non è semplicemente in grado di porre in essere. Ma se c’è un adulto che lo sorveglia, il discorso cambia: è costui che ha il compito di far tenere al piccolo una condotta adeguata. L’unica stranezza, se vogliamo, del ragionamento del giudice è che mischia elementi rilevanti per la condotta del bambino (la visibilità, la conoscenza dello stato dei luoghi da parte del bambino stesso) ad elementi propri della condotta del nonno (l’inadeguata sorveglianza e il mancato intervento per impedire che il nipote corresse sullo sconnesso). Il “combinato disposto” delle due condotte ha l’effetto di mandare esente il comune da responsabilità.

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ILLEGITIMO IL DECRETO DEL MINISTERO DELL'INTERNO 31 GENNAIO 2019

Il Tribunale di Roma ha stabilito che il decreto del Ministero dell’Interno del 31 gennaio 2019 in materia di carte di identità viola un “innumerevole elenco di principi e diritti di fonte costituzionale ed internazionale”, è viziato da un evidente eccesso di potere e pertanto che vada disapplicato (Trib. Roma, sez. XVIII civ., ord. 9 settembre 2022).


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violato l’art. 8 CEDU

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto all’unanimità la violazione da parte dell’Italia dell’art. 8 CEDU in danno di una madre e dei suoi due figli: nei confronti di questi ultimi, per essere venuta meno ai doveri di protezione e assistenza in occasione degli incontri con il padre, tossicodipendente e alcolizzato, accusato di maltrattamenti e minacce durante gli incontri stessi; nei confronti della madre, per aver assunto la decisione di sospendere la sua autorità genitoriale per l’opposizione mostrata agli incontri tra il padre e i bambini, in ragione di fatti di violenza domestica e della mancanza di sicurezza durante gli incontri. La Corte ha riconosciuto che gli incontri hanno turbato l’equilibrio psicologico dei bambini e sono stati disposti senza considerare il loro interesse superiore; quanto alla decisione di sospendere la responsabilità genitoriale della madre, la Corte ha ritenuto che le autorità nazionali non abbiano esaminato con cura la situazione della donna e le ragioni della sua opposizione agli incontri tra i bambini e il padre (Corte EDU, sez. I, 10 novembre 2022, n. 25426/20).

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RIDUZIONE ASSEGNO DIVORZILE E ONERE DELLA PROVA

Secondo quanto affermato da un’ordinanza del luglio scorso della Suprema Corte, ai fini della riduzione dell’assegno divorzile, il coniuge onerato deve dare prova che il beneficiario abbia concrete possibilità di lavorare. Non basta, quindi, l’ipotetica ed astratta possibilità lavorativa o di impiego del coniuge beneficiario dell’assegno, ma occorre dare la prova che il beneficiario abbia l’effettiva e concreta possibilità di esercitare un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini (Cass. Civ., sez. VI, ord. 20 luglio 2022, n. 22758).

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in vigore in Lombardia il regolamento delle attività di condhotel

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NESSO CASUALE PROVATO DAL PAZIENTE

In tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali (tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica, anteriormente alla 


L. n. 24 del 2017), è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del "più probabile che non", tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all'agente. È quanto si legge nell’ordinanza n. 5808 del 27 febbraio 2023 della Cassazione.

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ADOZIONE - RECISIONE CON LA FAMIGLIA DI ORIGINE

Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 05/01/2023, n. 230

Deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 2330 e 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, c. 3 L. n. 184 del 1983 nella parte in cui stabilisce che con l'adozione legittimante derivante dall'accertamento dello stato di abbandono e dalla dichiarazione di adottabilità cessano irreversibilmente i rapporti dell'adottato (e conseguentemente del minore adottabile per effetto della dichiarazione di adottabilità) con la famiglia di origine estesa ai parenti entro il quarto grado (art. 10 c.4 n. 184 del 1983), escludendo la valutazione in concreto del preminente interesse del minore a non reciderli secondo le modalità stabilite in via giudiziale.

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circolazione per " stato di necessità " e ritiro patente

Anche se pare tratta dalla trama di un film comico, questa situazione si è verificata sul serio. Un automobilista, a causa di una positività all’alcooltest, aveva subito la sanzione deritiro della patente. Qualche mese dopo, tuttavia, viene sorpreso alla guida di un autoveicolo.

La giustificazione addotta era di essersi dovuto mettere necessariamente alla guida del suo veicolo dopo essere stato contattato dalla madre della sua compagna, in stato di gravidanza e colta da improvvisi dolori al basso ventre, allo scopo di raggiungere la suddetta e accompagnarla al più vicino Pronto soccorso. Chiedeva, pertanto, il riconoscimento dello stato di necessità, almeno putativo, atteso che il ricorrente si era rappresentato una situazione di pericolo grave alla salute della donna e del nascituro, in ragione di precedenti minacce di aborto che avevano interessato la compagna.

La storia è accattivante, tuttavia la Corte Cass. civ., sez. VI-2, ord. 17/10/2022, n. 30426 rileva che: non era stata depositata alcuna documentazione idonea a dimostrare che il giorno in cui è stata commessa l'infrazione fosse effettivamente in atto la situazione di pericolo prospettata; la documentazione medica attestante le pregresse minacce di aborto risaliva a oltre un anno prima; non vi era alcuna prova di una nuova e concreta minaccia di aborto sussistente anche nel periodo successivo; non era nemmeno dimostrato, a quanto è dato capire, che la compagna del ricorrente fosse effettivamente incinta. Di conseguenza, la patente veniva definitivamente revocata.

Non siamo al livello di quei film comici, in cui la donna si siede vicino al guidatore con un cuscino sotto la camicia per simulare la gravidanza e ottenere la benevolenza della polizia, ma poco ci manca.

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IL CONDOMINIO NON PUO' OSTACOLARE I LAVORI. SUPERBONUS, BONUS FACCIATE E PONTEGGI.

In caso di esecuzione di lavori condominiali, che rientrato nell’agevolazione fiscale del superbonus e bonus facciate, il singolo condomino è obbligato a consentire l'accesso e il passaggio nella sua proprietà per l'esecuzione dei lavori deliberati all'unanimità dall'assemblea condominiale e, in particolare, il montaggio deponteggi sulla rampa carrabile di cui era proprietario. Nel caso di specie, nell’ambito di un equo contemperamento di esigenze, il giudice ha statuito che i ponteggi dovranno essere installati in maniera tale da consentire il passaggio del veicolo del condomino e per il tempo strettamente necessario all'esecuzione dei lavori di rifacimento della facciata laterale prospiciente la suddetta rampa così dnon arrecare un eccessivo e grave pregiudizio allo stesso (Tribunale di Firenze, ordinanza, 19 settembre 2022).

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LE RIPRESE CASALINGHE NON DEVONO INTERFERIRE CON IL VICINATO

Chi vuole posizionare un impianto di videosorveglianza domestico, può farlo liberamente ma il cono di ripresa  delle telecamere deve puntare esclusivamente sulle aree di stretta pertinenza e non devono interferire  con la vita privata di altri soggetti compresi i vicini di casa. Le riprese devono essere no rilegate all'abitazione evitando zone comuni, condominiali, parcheggi, strade pubbliche e vie, e devono anche evitare di riprendere finestre, giardini, terrazzi e porte di altre persone. Questo è quanto espresso dal Garante per la protezione dei dati personali con il parere n. 48950 rilasciato il 16 settembre 2022.

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LA CONVIVENZA STABILE E' SUSCETTIBILE DI COMPORTARE LA CESSAZIONE DELL'OBBLIGO DI CORRESPONSIONE DELL'ASSEGNDO DI MANTENIMENTO

Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 10/06/2022, n. 18862

La convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, è suscettibile di comportare la cessazione o l'interruzione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento che grava sull'altro, dovendosi presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi more uxorio siano messe in comune nell'interesse del nuovo nucleo familiare; resta salva, peraltro, la facoltà del coniuge richiedente l'assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce in senso migliorativo sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati.

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La componente compensativa dell'assegno divorzile deve essere dedotta dalla parte che faccia valere il diritto all'assegno

 Cass. Civ., Sez. VI - 1, ord., 8 febbraio 2023, n. 3776

Può venir meno, in conseguenza dell'instaurarsi di una stabile convivenza di fatto tra l'ex coniuge ed altra persona, il diritto alla componente assistenziale dell'assegno di divorzio, ma non anche necessariamente della componente compensativo-perequativa dello stesso, che potrà comportare il riconoscimento dell'assegno laddove alla mancanza di redditi adeguati si associ la prova dell'apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge.
La sussistenza della componente compensativa dell'assegno divorzile deve, tuttavia, essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all'assegno nonostante l'instaurazione di una stabile convivenza "more uxorio" con un terzo.

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La cremazione, se non autorizzata dai parenti, è atto lesivo del diritto di culto

Cass. Civ., Sez. III, Sent., 10 gennaio 2023, n.370

Condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti.

Nell'ambito dello svolgimento di siffatto accertamento è necessario non confondere il tenore di vita con la fruizione diretta di particolari beni.

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ILLEGITTIMO IL DECRETO DEL MINISTERO DELL'INTERNO DEL 31 GENNAIO 2019

illegittimo e va disapplicato il decreto del Ministero dell’Interno che obbliga alla dicitura “padre” e “madre” sulle carte di identità per i minorenni

Il Tribunale di Roma ha stabilito che il decreto del Ministero dell’Interno del 31 gennaio 2019 in materia di carte di identità viola un “innumerevole elenco di principi e diritti di fonte costituzionale ed internazionale”, è viziato da un evidente eccesso di potere e pertanto che vada disapplicato (Trib. Roma, sez. XVIII civ., ord. 9 settembre 2022).

Al decreto del Ministero dell'interno del 31 gennaio 2019, così come a quello del 23 dicembre 2015 da esso modificato, la legge assegnava la limitata funzione di definire le caratteristiche tecniche, le modalità di produzione, di emissione e di rilascio della carta d'identità elettronica. In nessun modo l'attribuzione di una tale limitata funzione può però legittimare l'imposizione di modalità di elaborazione del software dedicato all'emissione delle carte di identità, tali da incidere - mediante l'escamotage di una istruzione apparentemente tecnica - su aspetti coperti da norme di grado costituzionale primario, quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il diritto alla dignità umana. (Nella specie, il Tribunale imponeva al Ministero dell'Interno e per esso al Sindaco di Roma, quale Ufficiale di governo, di indicare - apportando al software e/o all'hardware predisposto per la richiesta, la compilazione, l'emissione e la stampa delle carte di identità elettroniche le modifiche che si rendessero all'uopo necessarie - le qualifiche "neutre" di "genitore" in corrispondenza dei nomi delle due ricorrenti, sulla C.I.E. della figlia minore.)

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No all’integrazione dell’assegno per la perdita dei benefit

Cass. civ., sez. I, ord., 13 gennaio 2023, n.952

Condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti.

Nell'ambito dello svolgimento di siffatto accertamento è necessario non confondere il tenore di vita con la fruizione diretta di particolari beni.

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REVOCA ASSEGNO SEPARAZIONE O DIVORZIO, QUANDO E' POSSIBILE RICHIEDERNE LA RESTUITUZIONE

Cass. civ., Sez. I, 11 gennaio 2023, n.4777

solo se l'assegno non era in origine dovuto. 

La restituzione non sarà possibile quando la revoca ( o la modifica ) avvenga in ragione di fatti sopravvenuti.

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IMPUGNABILITA' PROVVEDIMENTI DE POTESTATE PROVVISORI SOLO PER PROVVEDIMENTI CHE INCIDANO IN MODO TENDENZIALMENTE PERMENENTE SUI DIRITTI DEI SOGGETTI IMPLICATI E SULLA VITA DEL MINORE

sulla impugnabilità dei provvedimenti de potestate provvisori. Corte d'Appello di Milano, 9 febbraio 2023

nei casi in cui il provvedimento, lungi dal definire in giudizio, abbia natura strumentale, ovvero risulti finalizzato all'adozione di un futuro provvedimento definitivo, e sia deputato unicamente a neutralizzare, in vista di detta decisione, possibili situazioni pregiudizievoli, tali da vanificare o comprimere l'utilità e la proficuità della decisione finale, l'intervento del giudice di secondo grado deve ritenersi inammissibile, in quanto rischierebbe di travolgere e pregiudicare l'attività istruttoria tuttora in corso dinanzi al TribunaleAi fini di valutare l’ammissibilità del rimedio giurisdizionale avverso i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale, occorre verificare se gli stessi  abbiano o meno carattere decisorio, nel senso di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. L'impugnabilità è predicabile solo per quei provvedimenti che incidano in modo almeno tendenzialmente permanente sui diritti dei soggetti implicati e sulla vita del minore.


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MODELLO DI CONVENZIONE DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA IN MATERIA DI FAMIGLIA

Il Consiglio Nazionale Forense ha approvato nella seduta amministrativa del 24 febbraio 2023 i nuovi modelli, per la conclusione delle convenzioni di negoziazione assistita, come previsto dal comma 7-bis dell'art.2 del decreto legge 132 del 2014 per cui " Salvo diverso accordo, la convenzione di negoziazione assistita è conclusa mediante utilizzo del modello elaborato dal Consiglio nazionale forense in conformità alle disposizioni del presente capo".

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FAMIGLIA DI FATTO

FAMIGLIA DI FATTO E PROTEZIONE COMPLEMENTARE. TRIBUNALE DI BOLOGNA, 2 DICEMBRE 2022

Quanto alla nozione di vita familiare, la Corte Edu le ha conferito un significato più ampio di quello tradizionale, attribuendo agli stati contraenti la facoltà di differenziare, in relazione ai diversi modelli della stessa, le varie forme di tutela, ritenendo tra gli altri l'applicabilità dell'art.8 in presenza di un legame familiare anche solo di fatto, e che anche una vita familiare progettata non debba essere per ciò solo esclusa dal suo ambito di applicazione.

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L'USO DELLA VIOLENZA PER FINI EDUCATIVI NON E' MAI CONSENTITO

Cass. Pen., Sez. VI, sent. 12 dicembre 2022 n. 46924

Esula dal perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice dell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina in ambito scolastico qualunque forma di violenza fisica o psichica, ancorché sostenuta da "animus corrigendi".
L'elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall'agente, in quanto l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito.

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ASCOLTO DEL MINORE

Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 07/03/2023, n. 6802

In tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l'audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell'ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda. 

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ORIENTAMENTO SESSUALE

La giusta causa di licenziamento ex art. 2119 cod. civ. - posta a fondamento del provvedimento di destituzione, unitamente alla previsione regolamentare - integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici. La sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo "standards" conformi ai valori dell'ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione.

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IMPUGNAZIONE DELLA DONAZIONE FITTIZIA TRA CONIUGI

Durante il matrimonio, anche in regime di separazione dei beni, i coniugi possono decidere di spostare la titolarità di un bene al partner per sfuggire da eventuali creditori. Secondo quanto riportato all’interno del nostro ordinamento non vi sarebbe alcuna limitazione alla possibilità di effettuare una donazione al coniuge, con il semplice spostamento della titolarità del bene qualora la coppia abbia optato per il regime della separazione dei beni. In questo modo il bene viene rapidamente sottratto dalle mani del creditore che non potrebbe più soddisfarsi su di esso con il pignoramento. La disciplina in materia si presenta tale a partire dal 1973, anno di abrogazione dell’articolo 781 del Codice civile da parte della Corte Costituzionale, che vietava le donazioni tra i coniugi.
Ad oggi, quindi, i coniugi possono intestare i beni l’uno all’altro, sia che essi abbiano scelto la separazione dei beni che la comunione, e anche limitatamente ad alcuni beni determinati.
Si tratta di beni di cui il coniuge era proprietario prima del matrimonio, quindi non rientranti nella comunione, beni ricevuti dopo il matrimonio in donazione o testamento, beni personali per l’esercizio dell’attività lavorativa, risarcimenti del danno ricevuti o beni acquistati con il ricavato dalla vendita dei già menzionati beni.

Sul tema si pone, però, il problema del ricorso all’intestazione fittizia all’altro coniuge simulando la stipula di un contratto senza la realizzazione di alcun effetto, dal momento che il proprietario rimane a tutti gli effetti l’amministratore del bene.
Anche se la legge consente di compiere questo atto, tutela coloro che ne potrebbero essere danneggiati, quali creditori o figli di prime nozze, con la sua impugnazione nel termine massimo di dieci anni dalla stipula.

Nell’ipotesi in cui il coniuge donante abbia cambiato idea e voglia far valere l'azione di simulazione, revocando la donazione, ha l’onere di dimostrare con prova scritta l’avvenuto accordo.

I controinteressati, invece, possono fornire la prova con qualsiasi mezzo, appellandosi al modo in cui è stato gestito il bene e verificando che l’uso sia rimasto inalterato anche dopo la donazione.

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DANNO NON PATRIMONIALE

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE SEZ. VI, ORD. 16 NOVEMBRE 2022, N. 33797

il danno non patrimoniale, quando ricorrono le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, è risarcibile anche quando scaturisca da un inadempimento contrattuale ( Nel caso di specie la S.C. ha confermato la decisione d'appello che aveva ritenuto fondata la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale del successore testamentario nei confronti dell'associazione donataria evidenziando che la mancata realizzazione dello scopo filantropico perseguito dalla donante con la donazione di un immobile di pregio aveva arrecato a questa una delusione ed un patimento, pregiudizio concrettizatosi in sofferenze morali e psichiche, da qualificare in termini di danno morale soggettivo)

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SUCCESSIONE TESTAMENTARIA

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE SEZ. II, ORD. 2 DICEMBRE 2022, N. 35461

Se il de cuius ha fatto più donazioni o disposizioni testamentarie, in prima linea sono soggette a riduzione, fino a esaurimento dei beni che ne formano oggetto, le disposizioni testamentarie; successivamente si passa alle donazioni ( art. 555, comma 2, c.c.). Se le disposizioni testamentarie sono più di una la loro riduzione avviene proporzionalmente senza distinguere fra eredi e legatari ( art. 558 c.c. ). In caso di più donazioni queste non si riducono proporzionalmente, come le disposizioni testamentarie ( art. 558 c.c. ), ma cominciando dall'ultima e risalendo via via alle anteriori ( art 559). Le donazioni coeve, per le quali non sia possibile stabilire quale di esse sia anteriore rispetto alle altre, debbono essere ridotte in proporzione al loro valore, come le disposizioni testamentarie.

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REVOCA DEL TESTAMENTO PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI

In tema di revocazione del testamento per sopravvenienza dei figli, la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 687 c.c. ha un fondamento più propriamente oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare del disponente rispetto a quella esistente allorquando lo stesso aveva disposto dei suoi beni, con ciò intendendosi - appunto- non già la sopravvenienza di ulteriore prole o discendenza, ma bensì la sopravvenienza di una discendenza prima del tutto inesistente. ( c.c., art 687 )

In tal senso si richiamano gli orientamenti espressi dalla Cass. civ., 21 maggio 2019, n.13680.

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STIPULA DI ACCORDI PATRIMONIALI: VA RICONOSCIUTA L'APPLICABILITA' DELL'ESENZIONE FISCALE NELLA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI

Con ordinanza n. 26363 depositata il 7 settembre 2022, la Corte di Cassazione ha specificato che ove nell'ambito di una separazione personale sia stato concluso un accordo patrimoniale  tra il contribuente e la coniuge che prevede la cessione di quote societarie, astrattamente generatrice di plusvalenza assoggettabile a tassazione separata, va riconosciuta l'applicabilità dell'esenzione prevista dall'art. 19 della L. n. 74 del 1987, poiché essa si riferisce a tutti gli atti e a tutte convenzioni che i coniugi pongono in essere nell'intento di regolare, sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali  conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi  che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all'uno o all'altro coniuge (Cass. Civ., sez. VI – 5, ord. 7 settembre 2022, n. 26363).

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LIBERO IL DEBITORE CHE RESTITUISCA IL PRESTITO NELLE MANI DI UNO SOLO DEGLI EX CONIUGI

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la decisione n. 23819/2022, secondo cui la ricezione da parte di uno solo dei coniugi di una somma di denaro in restituzione di un prestito concesso con beni della comunione costituisce un atto liberatorio ex art. 180 c.c. poiché il pagamento è valido se effettuato anche al singolo componente della comunione legale (Cass. Civ., sez. III, sent. 1° agosto 2022, n. 23819).

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L'IMPORTANZA DELLA FUNZIONE COMPENSATIVA DELL'ASSEGNO DIVORZILE - Cass. Civ., Sez.VI-1, ord., 8 febbraio 2023, n. 3776

Può venir meno, in conseguenza dell'instaurarsi di una stabile convivenza di fatto tra l'ex coniuge ed altra persona, il diritto alla componente assistenziale dell'assegno di divorzio, ma non anche necessariamente della componente compensativo-perequativa dello stesso, che potrà comportare il riconoscimento dell'assegno laddove alla mancanza di redditi adeguati si associ la prova dell'apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge.
La sussistenza della componente compensativa dell'assegno divorzile deve, tuttavia, essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all'assegno nonostante l'instaurazione di una stabile convivenza "more uxorio" con un terzo.

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NOTAIO IN ALTERNATIVA AL GIUDICE TUTELARE

Tra i molteplici effetti della riforma Cartabia, i notai diventano primi attori nei procedimenti di volontaria giurisdizione, in base alla quale ci si potrà rivolgere anche al notaio, in quanto pubblico ufficiale, oltre che al giudice tutelare.

A detta di ciò, con la suddetta riforma, il notaio, in quanto pubblico ufficiale, può autorizzare la stipula degli atti pubblici e delle scritture private autenticate nei quali intervenga un minore, un inabilitato, un interdetto o un soggetto beneficiario della misura  dell’amministrazione di sostegno. Ciò può accadere per esempio nel vendere o acquistare un immobile, accettare una eredità oppure tutte quelle situazioni relative ad atti che hanno ad oggetto beni ereditari.

Nello svolgimento di queste attività il notaio può farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, “ senza formalità, presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione “ o nel caso di beni ereditari, “ presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto”

Con tale riforma, le parti potranno scegliere se rivolgersi direttamente all’autorità giudiziaria o al notaio per la stipula dell’atto che richiede un autorizzazione. In questo modo si assiste ad un sistema cd. a doppio binario, finalizzato a snellire i tempi della giustizia.  A favore della scelta notarile,  l’autorizzazione rilasciata dal notaio acquista efficacia dopo 20 giorni dalle comunicazioni al Tribunale e al Pubblico Ministero senza che sia stato proposto reclamo.

 

 

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Accesso difensivo ex L 241/90 alla documentazione patrimoniale, reddituale e finanziaria del coniuge

La recente Pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.19 del 25/09/2020, ha chiarito che in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio, l’accesso alla documentazione, reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’altro coniuge deve ritenersi oggettivamente utile al perseguimento del fine di tutela ai sensi degli articoli 22 ss. della legge 241 del 1990.

In tal senso gli art. 22 ss. della Legge n. 241/1990, permettono di richiedere documenti, dati e informazioni detenuti da una Pubblica Amministrazione riguardanti attività di pubblico interesse, purché il soggetto richiedente abbia un interesse diretto, concreto e attuale rispetto al documento stesso.

A tal proposito l’Adunanza Plenaria  è intervenuta, nel caso di specie, dopo che l’Agenzia delle Entrate ha negato alla ricorrente  la richiesta per l’accesso alla documentazione reddituale patrimoniale e finanziaria.

Ebbene l’Adunanza Plenaria ha affermato che le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti acquisiti dall’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, e inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria compreso anche l’archivio dei rapporti finanziari, costituiscono documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale difensivo ai sensi dell’articolo 22 e ss. della legge 241 del 1990.

Tuttavia, l’accesso agli atti è consentito solo a particolari condizioni.

Innanzitutto è necessaria un’esigenza di tutela concreta, ossia l’onere di dimostrare che il documento al quale si intende accedere è necessario e indispensabile.  Con particolare riferimento, all’art 24, comma 7, L. n. 241/1990, stabilisce che “ deve comunque essere garantito ai richidenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giudici”. Si evince che il principio di tutela prevalga rispetto a quello della riservatezza, sempre prendendo in considerazione e ponendo una particolare attenzione ai dati che possono essere sensibili, ossia dati personali idonei a rilevare lo stato di salute del soggetto interessato.

La L. n. 241/1990, ha inoltre evidenziato che non rileva la circostanza  che la questione dell’accesso agli atti sia stata sollevata anche in sede di giudizio civile.

Gli eventuali strumenti processuali azionati nel processo civile, ai fini dell’accesso degli atti, non incidono sull’ammissibilità di quelli contemplati dalla disicplina dell’accesso di cui alla L n. 241/1990 e tutelati per il tramite del processo amministrativo.

 

In materia di accesso agli atti amministrativi, l’ordinamento amministrativo ha infatti posto delle norme sostanziali, che assicurano, a determinate condizioni, l’accessibilità degli atti amministrativi, affidnado la tutela al giudice amministrativo, prevedendo il rito ad hoc di cui all’art. 116 c.p.a. ai sensi del quale “Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all'inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l'articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni.”

 

Peraltro, la recentissima pronuncia del Cons. Stato, Sez. II, Sent. 28.03.2023 n. 3160 ha specificato che la qualificazione del carattere difensivo dell’istanza di accesso, stante la concezione ampia del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., postula che il diritto all’accesso non possa essere ostacolato ogni qualvolta sussista la possibilità che dall’ostensione derivi una qualche utilità per la tutela di situazioni soggettive, dovendosi comunque verificare in astratto, e non in concreto, la potenziale utilità.

Sempre una recente sentenza del Consiglio di Stato ha chiarito che le finalità dell’accesso devono essere dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza si ostensione e suffragate con idonea documentazione, in modo da consentire all’Amministrazione il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta con la situazione finale controversa. (Cons. Stato Sez. VI, 12.01.2023, n. 413).

Deve dunque escludersi che sia sufficiente un generico riferimento a non meglio definite esigente probatorie e difensive (Cons. Stato, Ad. Plen., 18.03.2021 n. 4).

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Non c’è prova dello stalking se le vittime non hanno paura e denunciano dopo anni

Avv. Lorenzo Mariani

Con Sentenza n. 367 del 30.01.2023-13.02.2023, il Tribunale di Roma, sez. GUP, ha disposto il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste nei confronti di un uomo, imputato per atti persecutori continuati (ex art. 81 cpv e 612bis c. 1 e 2 cp) nei confronti dell’ex compagna e del suo attuale partner.

Entrambi avevano denunciato l’uomo sul finire del 2020, dopo che questi aveva depositato alcune foto nel giudizio civile di modifica della regolamentazione dei figli minori avuti con la querelante. Le parti offese consideravano quegli scatti, che ritraevano l’automobile del nuovo compagno di lei, come prova di un pedinamento. Inoltre, asserivano che già nel 2014 l’imputato avesse minacciato l’ex compagna di tenerla sotto controllo, di cacciarla dalla casa familiare e di sottrarle i figli perché non accettava la sua nuova relazione.

Il Giudice per l’Udienza Preliminare proscioglieva l’imputato, assistito dal nostro Studio, in quanto riteneva non provato nessuno degli elementi del reato di atti persecutori ex art. 612bis cp.

E infatti, il giudice ricordava che il reato in questione è integrato da condotte che abbiano ingenerato nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura o un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto oppure l’abbiano costretta ad alterare le proprie abitudini di vita.

Proprio i querelanti, escussi a sommarie informazioni testimoniali, avevano dichiarato di non temere per la propria vita e avevano semplicemente lamentato in modo apodittico delle “ripercussioni” o “pressioni” psicologiche, senza indicare esempi concreti. Durante l’ascolto, l’ex compagna dell’imputato aveva anche declinato l’offerta del supporto di uno psicologo.          
Ciò portava il Tribunale ad escludere un primo elemento essenziale del reato.

Ancora, il giudice riteneva contraddittorie e non provate le allegazioni sulle minacce verbali avvenute nel 2014.              
Soprattutto, non poteva non destare dubbi il fatto che le persone offese avessero denunciato l’uomo per fatti risalenti a sette anni prima e, in particolare, che la sua compagna avesse introdotto il giudizio di regolamentazione dei minori ormai da diversi anni senza mai fare menzione di tali condotte, per poi decidere di querelare solo a fine 2020.

La sentenza affronta molte questioni interessanti, come il concetto di “stalking giudiziario”, qui parimenti escluso, e la portata del criterio della “ragionevole previsione di condanna” previsto dal nuovo comma 3 dell’art. 425 cpp come modificato dalla cd. Riforma Cartabia, oltre a ricostruire approfonditamente la struttura del reato di atti persecutori ex art. 612bis cp. 

Trib. Roma, Sez. GUP, 30.01.2023-13.02.2023, n. 367 (testo integrale)

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Cassazione: «Se l'ex rifiuta un lavoro, addio all'assegno di mantenimento»

Secondo la recente sentenza della Cassazione n. 2684/2023, rifiutare una proposta lavorativa seria e stabile in assenza di una valida giustificazione potrebbe compromettere per l’ex coniuge la possibilità di ottenere l’assegno di divorzio. La motivazione risiede nella violazione, che in tal modo si andrebbe a realizzare, dei «doveri postconiugali», che prevedono i principi di «autodeterminazione e autoresponsabilità» di entrambi i componenti della ex coppia, imponendo agli stessi di rendersi autonomi e autosufficienti rispetto all’ex coniuge.

Nello specifico, la sentenza riguarda una ex coppia di Ancona: l’assegno divorzile inizialmente previsto era di 48mila euro annui. L’ex marito aveva chiesto una revoca del mantenimento, sottolineando non solo che la donna avesse da tempo una nuova relazione stabile, ma anche che avesse rifiutato una proposta lavorativa seria - che prevedeva un reddito da 32mila euro annui - oltre alla possibilità di una polizza assicurativa a suo nome per ottenere una pensione integrativa. Per i giudici d’appello, però, la stabilità della nuova relazione non sarebbe stata adeguatamente dimostrata, mentre l’offerta lavorativa è stata considerata «strumentale» a ottenere una riduzione, oppure la revoca, dell’assegno di mantenimento, visto che l’accordo di divorzio prevedeva la possibilità di ricalcolare l’importo se la donna avesse trovato un impiego part-time con uno stipendio mensile superiore ai mille euro.

La Cassazione ha invece dato ragione all’ex marito, annullando la sentenza di secondo grado. Non per quanto riguarda la nuova relazione della donna però, che infatti non è stata considerata un motivo fondato di ricorso statuendo che «In tema di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge economicamente più debole, questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e se impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno, in funzione esclusivamente compensativa».

È stato invece ritenuto «fondato» il motivo di ricorso che riguarda il rifiuto dell’offerta lavorativa ricevuta dalla donna, insieme alla polizza assicurativa. Considerate la serietà dell’offerta e la congruità dell’impiego rispetto alla formazione della donna, la Corte ha ritenuto che la ex moglie, rifiutando la proposta, avrebbe violato «i doveri postconiugali». Una nuova modifica ai principi che regolano gli assegni di divorzio, che interviene a poca distanza dall’altra recente sentenza secondo cui l’assegno di mantenimento dopo il divorzio può essere revocato a chi effettua «spese voluttuarie». Oppure a chi invece di lavorare si dedica allo svago, fa acquisti non necessari, e non si impegna nel cercare un’occupazione.

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La Cassazione: «I bambini non devono essere costretti a vedere i nonni»

La Cassazione civile, sez. I, con la sentenza n. 288131/2023 statuisce che il diritto dei nonni a frequentare i nipoti minorenni «non può prevalere sull’interesse dei bambini che manifestano contrarietà a tale relazione». Nonni e zii devono appianare i contrasti e le tensioni con i genitori del minore se vogliono esercitare il loro diritto, non incondizionato, a vedere i nipoti. Non sono infatti i minori a doversi sacrificare per il tornaconto degli ascendenti, in nome di un ipotetico pregiudizio che potrebbe derivare dall’assenza di queste figure nella loro crescita. Partendo da questi presupposti, la Cassazione, accoglie il ricorso di una coppia di genitori, teso ad evitare gli incontri, non graditi dai loro figli minori con i nonni e uno zio paterno, visti gli attriti che avevano addirittura portato un giudice a prescrivere alla nonna paterna l’assistenza di uno psichiatra a causa dell’elevata conflittualità (provvedimento poi revocato). La Suprema corte fa come principio cardine per dirimere la controversia quello dell’interesse superiore del minore, che prevale sia sull’interesse dei genitori che di altri familiari.

Per la Suprema corte infatti, è fuor di dubbio che ciascun minore ha un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con i propri familiari. Relazioni che, normalmente, funzionano secondo linee armoniche e spontanee. Ci sono però i casi particolari in cui il risultato di rapporti, d’abitudine tranquilli, generano «situazioni limite che esigono l’intervento giudiziale, quando non sia sufficiente il buon senso a far superare le frizioni».

Secondo la Cassazione non ci può essere infatti alcuna «imposizione "manu militari" di una relazione sgradita e non voluta» soprattutto se si tratta di ragazzi capaci «di discernimento» o che abbiano compiuto 12 anni. Il giudice evidenzia infatti che l’articolo 317-bis del Codice civile, nel riconoscere agli ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, non ha un carattere incondizionato «ma ne subordina l’esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente di mira l‘ “esclusivo interesse del minore”». L’obiettivo è dunque la «realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell’ambito del quale possa trovare spazio anche un’attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote». Un fine che può essere realizzato solo grazie alla buona volontà degli adulti.

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Disaccordo tra genitori su scelte di rilevante importanza per i figli: educazione, residenza e salute

Numerose pronunce della Cassazione hanno per oggetto la problematica situazione del contrasto tra coniugi separati su scelte educative e/o di vita importanti relative ai figli minori.

Al riguardo è possibile richiamare l’ordinanza n.21553/2021 con cui la Cassazione, in relazione ad un contrasto dei genitori sorto relativamente alla scelta della scuola, se laica o confessionale, da far frequentare ai propri figli, statuisce che “il contrasto tra genitori (in questo caso separati) va risolto avendo come criterio guida il preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata anche quando questo comporti la limitazione, a volte temporanea, di ideali, valori, principi dei genitori pure essi meritevoli di tutela costituzionale.”

Di questo principio la giurisprudenza fa sapiente applicazione anche al di fuori della casistica connessa alla scelta del tipo di scuola da far frequentare ai propri figli. Quest’ultimo acquista rilievo anche nelle questioni relative alle scelte in materia di tutela di salute.

In particolare, la pandemia e la relativa scelta se sottoporre o meno i minori al vaccino anti-Covid, ha generato profondi contrasti all’interno delle famiglie. Una tra le più significative pronunce al riguardo autorizza un padre divorziato “a prestare, senza necessità del consenso materno, l’assenso affinché la figlia possa ricevere vaccinazioni obbligatorie e non, ed effettuare tamponi antigenici e/o molecolari al bisogno”. La lunga e articolata argomentazione della pronuncia in esame, mette in grande evidenza come di fatto la Corte di merito abbia seguito il principio della necessaria priorità dell’interesse del minore aldilà delle convinzioni personali dei genitori.

Infine, occorre richiamare un ultimo caso relativo alla scelta della residenza del minore. Nel caso di genitori separati il problema che si pone è se il genitore collocatario del minore possa autonomamente decidere di cambiare residenza, incidendo inevitabilmente questa sua scelta sulle modalità di esercizio del diritto di visita dell’altro genitore, nonché sulla vita di relazione del minore. Anche in questo caso la corte dava applicazione del principio sopra menzionato statuendo che di fronte a scelte insindacabili, in quanto corrispondenti ad un diritto costituzionalmente garantito, in ordine alla propria residenza compiute da parte dei coniugi separati che però non comportano la perdita dell’idoneità ad essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse dei minori il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori. Il giudice è quindi tenuto a definire la controversia guardando al preminente interesse dei minori ad una crescita sana e ad uno sviluppo armonico della personalità, che si traduce in primis nel mantenere adeguati e costanti rapporti con entrambi i genitori.

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CTU contabile per la madre sospettata di sperperare il mantenimento della figlia

Avv. Lorenzo Mariani 

Il Tribunale di Roma, Sez. I, con Decreto del 10.01.2023, in un procedimento di divorzio giudiziale, ha disposto una CTU contabile sulla situazione patrimoniale e reddituale della resistente, in seguito alle doglianze del ricorrente per cui la donna dissiperebbe l’ingente mantenimento mensile da lui corrisposto per la figlia minore della coppia.

Infatti, l’uomo – difeso dal nostro Studio - allegava che la signora stesse mettendo in pericolo le esigenze della minore: ad esempio aveva rischiato una procedura di sfratto per mancata corresponsione dei canoni di locazione dell’immobile in cui aveva dimorato con la bambina.  
Inoltre, dall’esame dei conti correnti intestati alla resistente, emergeva in modo inequivoco l’utilizzo dell’assegno di mantenimento per la figlia per finalità personali della donna.    
Quest’ultima, peraltro, nonostante l’elevato importo delle somme messe a sua disposizione, si era ripetutamente esposta ad elevato rischio di insolvenza, con annessa segnalazione alla Centrale Rischi e ulteriori costi per interessi e spese legali.

Per tale motivo, oltre all’espletamento di una CTU contabile, l’uomo chiedeva di: “ assumere, ex art. 333 cc, i provvedimenti più idonei per tutelare [la minore] dalle condotte pregiudizievoli della madre, anche con nomina di un curatore speciale con poteri ad acta, stanti gli indebitamenti, lo sperpero delle risorse economiche destinate alla minore, il rifiuto costante della madre di addivenire a un accordo sulla gestione delle stesse, nonché stanti le carenze genitoriali della signora dimostrato dall’andamento scolastico di [minore] nonché la pretesa della signora di decidere unilateralmente sulla vita e le attività di [minore] nonostante la motivata opposizione del padre, come dimostra la vicenda dell’equitazione (…)       
nominare un curatore speciale per la minore, anche con poteri ad acta idonei a intervenire nella gestione delle risorse economiche e in ogni altra questione relativa alla stessa.             
Disporre, ex art. 709 ter c. 2 n. 2 cpc e in via equitativa, un risarcimento a carico della sig.ra [resistente] e in favore di [minore] o, in subordine:             
 - disporre in via equitativa risarcimento ex art. 709 ter c. 2 n. 3 cpc a carico della sig.ra [resistente] e in favore del sig. [ricorrente] con condanna ex art. 614 bis cpc per ogni giorno di inosservanza dei provvedimenti.”

La signora negava invece di avere mai posto in essere comportamenti pregiudizievoli nei confronti della figlia, evidenziando di essersi limitata a non pagare il canone di locazione dell’immobile in cui dimorava con lei quando già aveva preso in locazione un altro appartamento. La donna precisava poi che le somme destinate alla minore (inizialmente contenute al solo importo di € 800,00) erano state destinate interamente alla stessa e che il ricorrente non poteva sindacare le scelte di investimento che la resistente aveva fatto in relazione al proprio assegno di mantenimento.

Il giudice, tenuto conto preliminarmente dell’alta conflittualità tra i genitori anche su questioni di natura educativa, sportiva e sanitaria, nominava un curatore speciale nell’interesse della minore e al fine di garantire l’attuazione dei provvedimenti dettati dal Tribunale.    
Inoltre, disponeva indagini da parte dei Servizi Sociali, così da verificare le condizioni di vita individuali, familiari e sociali della figlia.

Infine, disponeva CTU contabile sulla signora, onde verificare la natura e la qualità delle entrate di pertinenza della stessa e l’utilizzo delle somme a vario titolo incamerate, per i provvedimenti di competenza del Tribunale quanto alla corretta quantificazione dell’assegno di mantenimento per la resistente e per la figlia minore oltre che per ogni altro provvedimento di competenza del giudice in tema di affido della minore.

In particolare, il decreto:

2. DISPONE procedersi a C.T.U. contabile nei confronti della sig.ra [resistente] ai fini della verifica della capacità reddituale, patrimoniale e finanziaria della stessa - in relazione al periodo che va dall’1/01/2019 sino all’attualità – in particolare quanto all’attività dalla stessa svolta, al suo patrimonio e alle entrate a vario titolo alla stessa riconducibili, onde verificarne la natura e la qualità nonché l’utilizzo delle somme da quest’ultima incamerate, specificando, ove possibile, in quale misura e per quali finalità l’assegno versato dal ricorrente per la figlia minore risulti destinato ad esigenze di mantenimento della figlia minore, ordinario o straordinario (tenendo conto del Protocollo di Intesa del Tribunale di Roma del 2014);

3. DELEGA a tal fine il C.T.U. a richiedere informazioni e acquisire documenti presso tutti gli enti pubblici e/o privati e precisamente: Registro delle Imprese, Agenzia delle Entrate e relative  Direzioni Provinciali e Regionali, ACI/PRA, ENAC, Istituti di Credito, Finanziari e Assicurativi, presso i quali la resistente detiene e/o ha detenuto rapporti finanziari con invito a produrre un elenco dettagliato degli stessi e tutti i relativi documenti, nonché alle Società presso le quali la stessa detiene e/o hanno detenuto partecipazioni e/o ricoperto incarichi societari, sia direttamente che per interposta persona fisica e/o giuridica, con invito a produrre le scritture contabili e/o i documenti necessari per la risposta al quesito;

4. AUTORIZZA il C.T.U. a richiedere direttamente alla Guardia di Finanza territorialmente competente ogni altra informazione relativa alla situazione reddituale e patrimoniale della resistente che si renda necessaria ai fini dell’espletamento del proprio incarico; “

Il giudice fissava poi l’udienza di valutazione della CTU in modalità cartolare, ex art. 127 ter cpc, e riservava all’esito la decisione sulle altre domande del ricorrente.

 

Il provvedimento è successivo a quello del 15.12.2021, presente sul nostro sito, con il quale il giudice aveva concesso al ricorrente di accedere alle banche dati degli istituti di credito di cui era cliente l’ex moglie, dopo che l’uomo aveva rappresentato al magistrato delle irregolarità sulla gestione del mantenimento per la figlia, emerse da un’indagine dell’Agenzia delle Entrate.

In quell’occasione, il magistrato aveva anche ammonito ex art. 709 ter cpc la resistente a impiegare il mantenimento della figlia per  le esigenze della stessa.

Tribunale di Roma, Sez. I, 10.01.2023 (testo integrale)

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Sostituzione nella mediazione obbligatoria: per il Tribunale di Roma non è necessaria la procura notarile

Tribunale di Roma, Sez. XVIII, Sent. 02.01.2023, n.62.

"Non è fondata l’eccezione della convenuta di improcedibilità della domanda per mancata comparizione personale dell’attore al procedimento di mediazione, in quanto questi ha conferito procura speciale al suo difensore; il potere della parte di sostituire a sé stesso un terzo soggetto per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale, con la conseguenza che solo in assenza di tale procura il giudice potrà dichiarare l’improcedibilità del giudizio per non avveramento della condizione prevista nell’art. 5 d.lgs. n. 28/2010."

Per il Tribunale di Roma, quindi, solo l'assenza fisica della procura speciale a sostituire in mediazione comporta la pronuncia di improcedibilità della causa, a nulla rilevando altre circostanze come la mancanza di autenticazione notarile.


L'arresto si inserisce in un ampio contrasto giurisprudenziale sul tema, che vede contrapposti due orientamenti: 

Alcune pronunce di merito hanno ritenuto valida la procura a sostituire in mediazione anche se priva di autenticazione notarile, purché sostanziale e diversa dalla semplice procura alle liti (Tribunale di Torino n. 120/2021; Tribunale di Milano n. 5665/2019, Tribunale di Salerno 14 maggio 2020, Tribunale di Perugia 25.03.2021);

Altre hanno invece dichiarato l'improcedibilità della domanda per la mancanza di tale attestazione (Trib. Roma, 18.05.2022; Trib. Genova, 393/2022)

Entrambi gli indirizzi, paradossalmente, muovono da una sentenza della Cassazione (la n. 8473/19)  la quale ha specificato che il difensore può sostituire la parte in mediazione con procura sostanziale diversa dalla semplice procura alle liti. Proprio per tale motivo, la procura non potrebbe essere autenticata dal difensore stesso.

Di per sé,  la richiamata pronuncia di legittimità non afferma che la procura speciale debba essere autenticata da un notaio o  altro pubblico ufficiale.

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Stepchild adoption e maternità surrogata

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sent. n. 38162 depositata in data 30.12.2022 ha statuito che i bambini nati all'estero con maternità surrogata potranno essere riconosciuti in Italia come figli di entrambi i genitori con l'adozione in casi particolari, che richiede il consenso del Giudice. 

Con questa storica sentenza, che farà giurisprudenza, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite sancisce "l'obbligo" per i figli nati con la surrogazione di essere sempre riconosciuti. E ciò però non avverrà con la trascrizione automatica all'anagrafe bensì attraverso l'apertura di un procedimento dinanzi al Tribunale competente per dimostrare l'esistenza di un legame di filiazione tra il minore ed il secondo padre, e cioè quello che non ha legami di sangue. 
Tale decisione è maturata all'interno di un progetto di riforme dal momento che già nel 2021 la Corte di Cassazione aveva chiesto al parlamento di approvare una legge per riconoscere i figli delle coppie gay, oltre che sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani. 
Altro riconoscimento sancito da tale sentenza è la non punibilità delle coppie italiane che fanno ricorso alla maternità surrogata all'estero.
Inoltre, è così sancito il divieto di trascrizione automatica all'anagrafe (che già alcuni comuni italiani stavano attuando); si potrà quindi "riconoscere" un solo genitore mentre l'altro dovrà necessariamente procedere con l'adozione, alla quale però il genitore biologico non potrà opporsi. 
In chiusura, la Corte ha specificato che tale limitazione non è dovuta per ragioni di orientamento sessuale ma che anzi, è un'ulteriore forma di tutela nei confronti delle donne rispetto a possibili abusi della maternità surrogata. 

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Alienazione di alloggi di edilizia agevolata: il termine quinquennale decorre dall’effettiva assegnazione del cespite dal de cuius e non dall’atto pubblico che la formalizza

Avv. Lorenzo Mariani 

Cass. Civ. Sez. II, Sent., 28.12.2022 n.37895

È causalmente valida la scrittura privata con cui l'alienante di un immobile di edilizia agevolata si obbliga a corrispondere i relativi contributi consortili all’acquirente. Tale pattuizione è indipendente dal fatto che quest’ultimo possegga o meno i requisiti soggettivi: il nuovo proprietario sta infatti chiedendo non una contribuzione dallo Stato, ma le somme in possesso dell’alienante. Con la compravendita, queste hanno perso il vincolo di destinazione a beneficio del legittimato alla sovvenzione e, pertanto, ben potrebbero essere impiegate dall’acquirente per fini diversi da quelli previsti dallo Stato.

Non è nulla la compravendita di un alloggio di edilizia agevolata avvenuto prima del quinquennio (ex art. 20 L. 179/1992) dal formale atto di intestazione all’alienante, ma ben oltre cinque anni dalla effettiva assegnazione e consegna dell’immobile per successione dal defunto padre.          
Il predetto termine opera dalla assegnazione effettiva del cespite, non dal formale atto pubblico di trascrizione del precedente acquisto.

Così ha deciso la Suprema Corte di Cassazione, con Sent. n. 27895/2022, riconoscendo le ragioni della acquirente dell’immobile, difesa dall'Avv. Vincenzo Mauro dello Studio M&A.

L’arresto affronta anche interessanti questioni di diritto processuale.

Si tratta infatti del culmine di una complessa e lunga vicenda che ha riguardato due decreti ingiuntivi, azionati dalla nostra assistita, avverso la precedente proprietaria di un alloggio di edilizia agevolata, al fine di ottenere le somme corrispondenti a contributi consortili maturati rispettivamente dal 2000 al 2006 e dal 2007 al 2011.
Entrambi i decreti ingiuntivi si fondavano sulla scrittura privata con cui l’alienante si obbligava a versare all’acquirente i suddetti contributi.        
In sede di opposizione, la precedente proprietaria sosteneva che la scrittura privata fosse nulla perché contraria alle norme imperative, al pari dell’alienazione perché avvenuta appena 10 giorni dopo il formale atto pubblico con cui l’alienante aveva trascritto l’assegnazione dell’immobile in suo favore per successione dal defunto padre.

Il primo decreto ingiuntivo veniva prima confermato dal Tribunale poi annullato dalla Corte d’Appello, che accoglieva le argomentazioni dell’opponente.

Al contrario, il secondo decreto ingiuntivo veniva confermato in entrambi i gradi di giudizio.

L’acquirente ricorreva per Cassazione contro la sentenza di Corte d’Appello che aveva accolto l’opposizione, sulla base di due motivi:

1)      violazione o falsa applicazione, sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell'art. 20 della legge n. 179/1992, in riferimento agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. per avere la Corte territoriale dichiarato la nullità dell'atto di vendita del 22 marzo 2000 e della correlata scrittura privata, senza considerare, ai fini del computo del periodo quinquennale per l'alienazione degli alloggi di edilizia economica e popolare, che l’alienante era assegnataria dell'appartamento sin dall'anno 1987, come da verbale di assegnazione e consegna di alloggio dell'8 maggio 1987, poi formalizzato con l'atto pubblico del 10 marzo 2000.;

2)      nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.,  per vizio logico della motivazione, in relazione alla contraddittorietà e alla mera apparenza del supporto argomentativo attinente ad una quaestio facti, per avere la Corte distrettuale escluso che l'acquirente avesse dimostrato di essere in possesso dei requisiti soggettivi per poter beneficiare dei contributi consortili, allorché, invece, la qualità di socio della acquirente e l'iscrizione nel libro soci della Cooperativa sarebbero risultate documentalmente.

La Suprema Corte ha ritenuto fondati entrambi i motivi, anche e soprattutto per via del giudicato formatosi sulle medesime questioni di fatto e di diritto con la sentenza di Corte d’Appello che aveva rigettato l’opposizione al secondo decreto ingiuntivo.

Prima di tutto, la corte ricorda che:        
nel giudizio di cassazione, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, come nel caso di specie.
Si tratta, invero, di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione.                
Tale garanzia di stabilità, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d'altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris, alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso.            
La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l'impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, come nella fattispecie, fino all'udienza di discussione prima dell'inizio della relazione; solo qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall'art. 378 c.p.c. per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall'art. 384, terzo comma, c.p.c., nel testo modificato dal d.lgs. n. 40/2006, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 12754 del 21/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 1534 del 22/01/2018; Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010; Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006).”

E che:

qualora in due giudizi tra le stesse parti siano fatti valere due crediti fondati sul medesimo rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto, in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, e ciò anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 27013 del 14/09/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 11314 del 10/05/2018; Sez. 6-5, Ordinanza n. 5478 del 05/03/2013; Sez. 5, Sentenza n. 10280 del 04/08/2000; Sez. 3, Sentenza n. 3795 del 16/04/1999)”.

Per tali motivi, la Suprema Corte hanno accolto il ricorso e rinviato alla Corte d’Appello in differente composizione.

Cass. Civ., Sez. II, Sent., 28.12.2022 n. 37895 (testo integrale)

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Se la ex spende più di quanto guadagna, niente assegno divorzile.

Va confermata la decisione dei Giudici di merito che hanno escluso l’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge che era risultato in grado di sostenere oneri di spesa per le esigenze di vita quotidiane eccedenti le disponibilità del sussidio di disoccupazione.

(Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 04/11/2022) 15/12/2022, n. 36802)

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria - Presidente -

Dott. TRICOMI Laura - Consigliere -

Dott. CAIAZZO Rosario - Consigliere -

Dott. CAPRIOLI Maura - rel. Consigliere -

Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15391/2020 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in MARINO VIA DELLE MOLETTE 40/B, presso lo studio dell'avvocato CHIAPPA DANIELA, (CHPDNL68L51H501X) che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PAPIO MARCO, 15, presso lo studio dell'avvocato ANSELMI FRANCESCA (NSLFNC75C61H501S) che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO ROMA n. 6068/2019 depositata il 11/10/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/11/2022 dal Consigliere MAURA CAPRIOLI.

Svolgimento del processo

Ritenuto che:

La Corte di appello di Roma, con sentenza nr 6068/2019, accoglieva l'appello proposto da B.B. nei riguardi di A.A. rigettando la domanda di assegno divorzile proposta dall'ex moglie.

Il giudice del gravame, richiamati i più recenti approdi di questa Corte in tema di presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, riteneva, alla luce delle risultanze di causa, che non fosse stato provato alcunché in ordine al suo apporto alla vita familiare.

Osservava che in sede di separazione i coniugi si erano riconosciuti reciproca indipendenza economica avendo regolato gli ulteriori rapporti economici fra di loro. In questo quadro la Corte di distrettuale rilevava che la richiesta dell'attribuzione dell'assegno divorzile giustificata dall'avvenuto licenziamento della richiedente nel corso del giudizio di primo grado non poteva avere effetti automatici sulla capacità di lavoro e reddituale che le aveva consentito di fruire di una entrata annua di Euro 22.000,00.

Il giudice del gravame riteneva che l'appellata non avesse assolto all'obbligo di dimostrare di essersi attivata nella ricerca di altra attività lavorativa con la mera produzione di qualche e-mail senza alcun riscontro.

Evidenziava che la situazione denunciata dalla A.A. relativamente alla inadeguatezza dei mezzi non poteva considerarsi attendibile non avendo la medesima ritenuto di chiarire come potesse provvedere al pagamento del canone di locazione di Euro 500,00 mensili, al rimborso della rata di finanziamento di circa 368,00 mensili, a mantenere l'autovettura e a corrispondere le spese per l'utilizzo di una carta di credito di circa Euro 400,00/500,00 mensili oltre a spese sanitarie per Euro 5.067,00 annui. Sottolineava che tali elementi lasciavano fondatamente ritenere la sussistenza di fonti non dichiarate che consentivano alla A.A. di far fronte agli oneri eccedenti le disponibilità dovute al sussidio di disoccupazione.

La Corte distrettuale osservava che il mancato deposito dell'accordo raggiunto in sede di licenziamento e della documentazione relativa al tfr, malgrado fossero stati più volte sollecitati, confermava l'inaffidabilità delle condizioni dichiarate dall'appellata la quale era venuta meno al dovere di lealtà processuale cui sono tenuti i coniugi nei giudizi di separazione e divorzio valutabile ex art. 116 c.p.c., comma 2.

Avverso tale sentenza A.A. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso B.B..

Motivi della decisione

Considerato che:

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 116, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si sostiene che la Corte di appello avrebbe fondato il suo convincimento relativamente alla presenza delle fonti di reddito non dichiarate dalla ricorrente unicamente su di una presunzione semplice derivante dall'omessa produzione in giudizio di due documenti: la transazione stipulata in sede di licenziamento ed il trattamento di fine rapporto.

Si lamenta, in particolare, che il giudice di merito non avrebbe dato il giusto rilievo alle prove documentate in atti attestanti la mancanza di "mezzi adeguati" quali il procedimento di demansionamento e la conseguente decurtazione della retribuzione mensile, la lettera di licenziamento, la dichiarazioni sostitutiva di un atto notorio e le comunicazioni di accredito di Banco posta attestanti la percezione dell'indennità di disoccupazione, il contratto di locazione e le ricevute di pagamento del canone oltre alle dichiarazione dei redditi.

Si rileva inoltre che la Corte distrettuale si sarebbe limitata a sanzionare la richiedente per la mancata esibizione della documentazione su precisata che comunque non avrebbe mai potuto attestare l'autosufficienza economica.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970art. 5, comma 6, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole in particolare che la Corte non avrebbe indicato quali prove l'odierna ricorrente avrebbe dovuto produrre ai fini di dimostrare la fondatezza della propria domanda di assegno divorzile.

Si afferma inoltre che la decisione impugnata non avrebbe tenuto conto delle condizioni oggettive di impossibilità di reperire una occupazione quali l'età, il livello di specializzazione e la crisi economica nonché la differenza fra le due posizioni reddituali né valutato il contributo dato dalla richiedente alla carriera dell'ex coniuge. Il primo motivo è inammissibile in ragione della illegittimità della pretesa della odierna ricorrente di ridiscutere il modo attraverso il quale il giudice di appello ha valutato i mezzi di prova complessivamente acquisiti al giudizio, trattandosi di una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, non consentita in questa sede di legittimità.

La Corte di appello, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, ai fini dell'adeguatezza dei mezzi di sussistenza e della capacità lavorativa, ha considerato non solo le dichiarazioni dei redditi delle parti ma anche gli oneri di spese di cui era gravata la richiedente pervenendo alla conclusione della esistenza di fonti non dichiarate eccedenti le disponibilità del sussidio di disoccupazione.

Conclusione questa rafforzata, sempre secondo la insindacabile valutazione dei fatti compiuta dalla Corte d'Appello, dal mancato deposito dell'accordo transattivo raggiunto con il datore di lavoro e del documento attestante la percezione del tfr da parte dell'odierna ricorrente al termine del rapporto, valutati dal giudice del merito unitamente agli altri elementi presuntivi e posti a base del suo convincimento ex art. 116 c.p.c.. Del pari inammissibile perché fondata su una valutazione dei fatti alternativa a quella risultante dall'accertamento compiuto dal giudice del merito, è la censura relativa alla mancanza di autosufficienza economica cui dovrebbe pervenirsi anche sulla base delle risultanze istruttorie valorizzate dal giudice del merito.

Le valutazioni, censurate come ipotetiche non scalfiscono il quadro probatorio, insindacabilmente valutato dalla Corte d'Appello fondato sulla capacità di spesa attuale e sulla mancanza colpevole di un quadro effettivo della consistenza economico patrimoniale e reddituale della parte ricorrente.

Il secondo motivo nella parte in cui critica la mancata valorizzazione di condizioni oggettive (l'impossibilità di reperire una nuova occupazione a causa dell'età e della mancanza di una specializzazione, della differenza fra le posizioni reddituali e il contributo dato dalla moglie alla carriera del marito) è parimenti inammissibile.

La decisione della Corte di Roma si basa su un accertamento in fatto, fondato su una valutazione delle risultanze istruttorie adeguatamente motivata e, conseguentemente, non suscettibile di riesame in sede di legittimità.

Con la censura in esame, in sostanza, la ricorrente contrappone alla ricostruzione proposta dalla Corte distrettuale, una lettura alternativa del fatto e delle prove, senza considerare il duplice principio, che merita di essere ribadito, per cui:

1) il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790); 2) "L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).

La Corte di appello, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha vagliato le affermazioni della richiedente tenendo conto del materiale probatorio acquisito in causa sottolineando per quanto riguarda il profilo compensativo che non era stato dimostrato il contributo che la richiedente aveva dato alla carriera professionale del marito.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese della fase di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in favore della controricorrente come da dispositivo.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento della somma di Euro 2500,00 per compensi oltre 200,00 per esborsi oltre accessori di legge in favore della parte controricorrente;

si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2022

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Assegno divorzile: Non sindacabili in Cassazione censure sul merito del giudizio.

La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111 comma 6 Cost. 

In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 2697 c.c. si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall'art. 116 c.p.c. 

Nel quantificare l'assegno di divorzio, il giudice non è tenuto prendere in considerazione tutti, e contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall'art. 5 della l. n. 898 del 1970, ma può anche prescindere da alcuni di essi, dando adeguata giustificazione delle sue valutazioni, con una scelta discrezionale non sindacabile in sede di legittimità.

(Cass. Civ. Sez. I, ord. 14 dicembre 2022 n. 36559)

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Domanda di determinazione degli obblighi di mantenimento del figlio residente all’estero: la competenza è italiana.

Con la sentenza n. 30903 , depositata il 19 ottobre 2022, le Sezioni Unite civili hanno risolto in favore della Autorità giudiziaria italiana la questione di giurisdizione, rimessa dalla Cassazione, sulla domanda di determinazione degli obblighi di mantenimento del figlio residente all’estero in un giudizio di separazione, escludendo che per tali materie operi il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore.

Il principio di prossimità trova applicazione in materia di obbligazioni alimentari, dal momento che l'art. 3, lett. b), del Regolamento CE n. 4/2009, attribuendo la competenza a pronunciarsi in ordine alle stesse all'autorità giurisdizionale del luogo in cui il creditore risiede abitualmente, consente d'individuare la predetta autorità in quella del luogo di residenza del minore, quando la domanda abbia ad oggetto il mantenimento dello stesso; in tale materia, tuttavia, tale competenza non è esclusiva, essendo prevista in alternativa rispetto a quella dell'autorità giurisdizionale del luogo in cui risiede abitualmente il convenuto (lett. a), o a quella della autorità giurisdizionale competente secondo la legge del foro a conoscere di un'azione relativa alla responsabilità genitoriale, quando la domanda relativa all'obbligazione alimentare sia accessoria a detta azione, salvo che tale competenza sia fondata unicamente sulla cittadinanza di una delle parti (lett. c).

(Cass. civ., Sez. Unite, 19/10/2022, n. 30903)

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Assegno di divorzio: dovuto anche se l’ex convive con un altro.

L’instaurazione, da parte dell’ex coniuge, di una stabile convivenza di fatto giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio o sulla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa.

(Cass. civ., Sez. VI - 1, Ord., (data ud. 11/10/2022) 08/11/2022, n. 32847)

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La violazione degli obblighi di assistenza familiare sussiste anche nell'ipotesi di versamento parziale.

In tema di reati contro la famiglia, il delitto previsto dall'art. 570 bis cod. pen.  si configura anche in presenza di un inadempimento parziale dell'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile, non essendo riconosciuto all'obbligato un potere di adeguamento dell'assegno in revisione della determinazione fattane dal giudice. La responsabilità penale può escludersi solo se l'obbligato fornisca la prova rigorosa della sua assoluta impossibilità di adempiere.

(Cass. Pen., Sez. VI, sent. 11 novembre 2022 n. 43032)

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Assegno divorzile: indispensabile la valutazione dell'apporto alla vita familiare fornito coniuge economicamente più debole.

In conformità ai principi affermati dalle Sezioni Unite, la valutazione della sproporzione delle condizioni economiche, reddituali e patrimoniali dei due ex coniugi non può essere scissa dalla valutazione dell'apporto alla vita familiare da parte del coniuge economicamente più debole, anche successivamente alla separazione; mentre, per altro verso, la valutazione della sua situazione patrimoniale non può prescindere dalla redditività secondo un parametro di effettività che deve necessariamente investire anche la valutazione delle potenzialità reddituali effettive del patrimonio ivi compresa quella della sua liquidabilità.

Infatti il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della L., n. 898 del 1970, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

(Cass. civ., Sez. VI - 1, Ord., (data ud. 01/07/2022) 22/09/2022, n. 27753)

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Nullità degli accordi dei coniugi separati in vista del divorzio.

La Corte di legittimità, con la sentenza del 26 aprile 2021, n. 11012, ord., ha stabilito la nullità degli accordi conclusi dai coniugi in sede di separazione e destinati a disciplinare i rapporti economici per il futuro divorzio. 

Pertanto, in tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito - credito portata da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell'uno e a favore dell'altro da versarsi "vita natural durante", il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull'an dell'assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell'accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) "in occasione" della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perchè giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il diritto all'assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare).

(Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 26/04/2021, n. 11012)

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Minore con due mamme: sì alla dicitura “genitore” sulla carta di identità.

É illegittimo e va disapplicato per eccesso di potere il decreto del Ministero dell’interno che, nel disciplinare le modalità di produzione, emissione e rilascio della carta di identità elettronica, non consente di indicare con la qualifica neutra di “genitore” la madre naturale e la madre adottiva di una minore, figlia di una coppia “same-sex”.

(Tribunale di Roma, ordinanza 9 settembre 2022)

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Furto di corrente elettrica: non applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Secondo la Cassazione, sentenza 26 ottobre 2022, n. 40396, non è applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto alla condotta di approvvigionamento di corrente elettrica a mezzo di manomissione del contatore dei consumi ed allaccio abusivo alla rete in quanto in questo caso risulta integrato il reato di furto pluriaggravato, la cui pena edittale impedisce l’applicazione dell’ art. 131-bis c.p. 

(Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 19/09/2022) 26/10/2022, n. 40396)

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Stato di necessità di chi guida nonostante la sospensione della patente: onere della prova.

Secondo la Cassazione civile, ordinanza 17 ottobre 2022, n. 30426, è legittima la revoca della patente di guida a chi, sorpreso a circolare nonostante la sospensione della stessa per positività all'alcoltest, ha invocato l'applicazione dello stato di necessità - costituito dallo stato di gravidanza della compagna colta da improvvisi dolori al basso ventre - senza, tuttavia, fornire alcun elemento probatorio di riscontro.

Lo stato di necessità di chi guida nonostante la sospensione della patente va dunque provato.

(Cass. civ., Sez. VI - 2, Ord., (data ud. 22/09/2022) 17/10/2022, n. 30426)

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Figli costretti a incontri col padre violento: condannata l’Italia

Pronunciandosi su un caso “italiano” in cui si discuteva della legittimità dei provvedimenti adottati dal tribunale dei minorenni riguardanti lo svolgimento di incontri di due minori con il loro padre, separato dalla loro mamma, che si era dimostrato particolarmente violento, la Corte EDU, Sez. I, 10 novembre 2022 (n. 25426/20), ha ritenuto, all’unanimità, violato l’ art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare). Il caso era stato originato dalla denuncia dei ricorrenti (la madre ed i suoi due figli) secondo cui lo Stato italiano era venuto meno al dovere di proteggerli e assisterli durante gli incontri tra i due minori ed il padre, tossicodipendente e alcolista accusato di maltrattamenti e comportamenti minacciosi durante gli incontri.

Il caso, deciso il 10 novembre 2022, traeva origine dal ricorso (n. 25426/20) contro l’Italia, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell' articolo 34 della Convenzione e.d.u., da tre cittadini italiani (una madre e i suoi due figli) residenti in Italia. 

Nel 2014 la ricorrente aveva lasciato l’abitazione familiare insieme ai figli a causa delle violenze subite da G.C., un soggetto tossicodipendente e alcolizzato. Il giorno seguente aveva presentato una denuncia penale, rifugiandosi in un centro per vittime di violenza, che aveva informato l’ufficio del pubblico ministero dello stato di emergenza in cui si trovavano i ricorrenti. Nello stesso anno, il pubblico ministero aveva ritenuto che la situazione di violenza a cui erano esposti i bambini era sufficientemente grave da giustificare una provvedimento urgente che sospendesse la responsabilità genitoriale di G.C. e gli consentisse di incontrarli in un ambiente sicuro. Il pubblico ministero aveva quindi disposto l'apertura di un procedimento. 

Nel 2015 il Tribunale per i minorenni aveva rilevato che G.C. non vedeva i suoi figli da luglio 2014, rilasciandogli il permesso di incontrarli una volta alla settimana in un ambiente “rigorosamente protetto” nei locali dei Servizi sociali della Capitale, alla presenza di uno psicologo. Quegli incontri non si erano mai tenuti a causa della mancanza di risorse e il tribunale era stato informato di conseguenza. Il tribunale aveva quindi disposto che gli incontri si svolgessero alla presenza di uno psicologo nel centro di accoglienza in cui si trovava la madre. Tuttavia, il centro di accoglienza comunicava di non disporre di personale specializzato e di sufficienti risorse finanziarie tali da consentire lo svolgimento in quel luogo degli incontri padre-figlio. 

Nel frattempo, la madre ed i suoi figli si erano trasferiti con i genitori di lei, accettando la donna di portare con sé i bambini settimanalmente per consentire lo svolgimento di incontri in condizioni di sicurezza in un altro comune, distante una sessantina di chilometri da casa sua. Il comune tuttavia aveva informato il Tribunale per i minorenni di non disporre di un luogo idoneo per consentire lo svolgimento degli incontri in un ambiente “rigorosamente protetto”. Gli incontri si erano quindi svolti senza alcuna misura di protezione, sicché i bambini erano stati costretti ad assistere al comportamento sprezzante del padre nei confronti della loro madre. 

Gli incontri successivi erano stati quindi organizzati alla presenza di un assistente sociale piuttosto che di uno psicologo. Si erano svolti in vari luoghi del comune, compresa la biblioteca sita nella piazza principale, in una sala del municipio e nella piazza del mercato cittadino. A più riprese i servizi sociali avevano informato il Tribunale per i minorenni che il padre si era comportato in modo inappropriato con i figli, facendo osservazioni sprezzanti e offensive nei loro confronti all’indirizzo della madre. 

Alla fine del 2015, la madre, che nel frattempo aveva trovato lavoro in un negozio, aveva informato i servizi sociali di non aver potuto percorrere 120 chilometri per portare i suoi figli agli incontri programmati durante le vacanze di fine anno ed aveva chiesto che gli incontri fossero organizzati in un ambiente sicuro. 

A maggio 2016, essendo stato informato dal comune che la madre non aveva assicurato la presenza dei minori a due incontri con il padre previsti per gennaio 2016, il Tribunale per i minorenni aveva deciso di sospendere la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Il tribunale aveva a tal proposito osservato che la madre si era opposta agli incontri. Nel 2016, 2017 e 2018 gli incontri avevano continuato a svolgersi nonostante alcune segnalazioni e comunicazioni al Tribunale per i minorenni da parte dei servizi sociali e del tutore dei minori, circa la minaccia per la sicurezza dei bambini rappresentata dal comportamento aggressivo del padre. 

Ad aprile 2018 i servizi sociali avevano sospeso gli incontri in attesa della decisione del Tribunale per i minorenni. Successivamente, nel novembre 2018, il Tribunale – che era stato inoltre informato nel marzo 2018 che l’uomo non aveva frequentato il centro di cura dalle tossicodipendenze dal 25 ottobre 2017 – aveva confermato la sospensione degli incontri tra i bambini ed il padre. 

Nel 2019 i servizi sociali avevano informato il Tribunale per i minorenni che l’uomo stava scontando una pena detentiva di sei anni per reati in materia di stupefacenti commessi tra il 1994 e il 2018. 

Successivamente, con decisione del 15 maggio 2019, il Tribunale per i minorenni aveva ripristinato la potestà genitoriale della madre e privato invece il padre della responsabilità genitoriale. 

A dicembre 2019, la Corte d’Appello di Roma aveva confermato tale decisione, osservando come il padre, attraverso il suo comportamento aggressivo, distruttivo e sprezzante durante gli incontri con i bambini, era venuto meno al suo dovere di garantire la salute ed il sereno sviluppo dei minori. La Corte d'Appello aveva anche osservato che uno dei minori necessitava di trattamento psicologico specializzato. Secondo le più recenti informazioni a disposizione della Corte EDU, infine, il procedimento penale avviato contro l’uomo per maltratta-menti risulta pendente dal 2016.

Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi, sull'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) e sull' articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), i ricorrenti sostenevano di essere stati vittime di violenze domestiche. Sostenevano che gli incontri con il padre dei bambini non avevano avuto luogo in un ambiente “rigorosamente tutelato” come disposto dal Tribunale per i minorenni e che le mancanze da parte delle autorità li avevano esposti a ulteriori violenze. Ai sensi degli stessi articoli, la madre, prima ricorrente, lamentava di essere stata qualificata come “genitore non collaborativo” e di essersi vista sospesa di conseguenza la responsabilità genitoriale, per il solo motivo di aver cercato di proteggere i suoi figli, evidenziando il rischio per la loro incolumità. Aveva quindi sostenuto di essere stata sottoposta a vittimizzazione secondaria. Il ricorso veniva depositato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo il 19 giugno 2020.

La Corte di Strasburgo ha ritenuto che le questioni sollevate nella causa dovevano essere esaminate esclusivamente ai sensi dell’art. 8 della Convenzione. Per quanto riguarda i minori, la Corte ha rilevato che, nonostante le segnalazioni ricevute, tribunale per i minorenni non era intervenuto per sospendere i contatti fino a novembre 2018. Per tutto questo tempo i bambini erano stati costretti ad incontrare il padre in un ambiente in-stabile che non favoriva il loro sereno sviluppo, nonostante il tribunale fosse stato avvertito che l’uomo non stava più seguendo il suo programma terapeutico-riabilitativo come tossicodipendente, e che il procedimento penale a suo carico per maltrattamenti era ancora pendente. 

Il tribunale per i minorenni, che era stato anche informato che i bambini avevano bisogno di supporto psicologico, non sembrava quindi aver tenuto conto del loro benessere, soprattutto per quanto riguardava gli incontri, in cui i minori erano stati esposti ad assistere come testimoni alle violenze commesse contro la madre e anche alla violenza che avevano sofferto diretta-mente a causa del comportamento aggressivo del padre. La Corte EDU non ha compreso il motivo per cui il Tribunale per i minorenni, che già nel 2015 aveva ricevuto segnalazioni che negli anni tali atteggiamenti erano stati reiterati, aveva deciso di continuare a disporre gli incontri, nonostante il benessere dei bambini e la loro sicurezza non fossero assicurate. Il tribunale non aveva in nessuna fase valutato il rischio a cui erano esposti i minori, e non aveva bilanciato gli interessi in conflitto. 

In particolare, non era emerso dalla motivazione delle sue decisioni che fossero state svolte considerazioni relative alla necessaria prevalenza del superiore interesse dei minori sull'interesse del loro padre a mantenere i contatti ed a continuare gli incontri. Secondo la Corte di Strasburgo, gli incontri tenutisi dal 2015, che inizialmente si erano svolti in condizioni non conformi alla decisione del Tribunale per i minorenni e, successivamente, in modo non conforme tale da garantire un ambiente protettivo per i bambini, avevano sconvolto il loro stato psicologico ed il loro equilibrio emotivo. Questo fatto era stato segnalato dai servizi sociali, che avevano ripetutamente informato le autorità, sottolineando la necessità che i bambini ricevessero supporto psicologico. 

La Corte EDU ha anche preso atto della sentenza della Corte d'Appello di Roma secondo cui l’uomo, attraverso il suo comportamento aggressivo, distruttivo e sprezzante durante gli incontri, era venuto meno al suo dovere di garantire che i bambini avessero un sviluppo sano e sereno. Di conseguenza, ha ritenuto che i bambini fossero stati costretti dal 2015 a incontrare il padre in condizioni che non assicuravano un ambiente protettivo e che, nonostante gli sforzi delle autorità in tal senso di mantenere il contatto tra loro ed il padre, il loro migliore interesse a non essere costretti a incontrarsi con lui in tali condizioni era stato disatteso. Si era quindi verificata una violazione dell' art. 8 della Convenzione EDU nei confronti di entrambi i figli. 

Per quanto riguarda la madre, la Corte ha ritenuto che le decisioni dei tribunali italiani che ne avevano sospeso la responsabilità genitoriale non avevano tenuto conto delle difficoltà riguardanti gli incontri e le condizioni di precarietà evidenziate in più occasioni dai vari soggetti coinvolti. Non si era tenuto conto della situazione di violenza vissuta dalla donna e dai figli, né del procedimento penale pendente nei confronti del padre per maltrattamenti.

 Anche la Corte ha rilevato che nel suo rapporto sull'Italia, il GREVIO aveva sottolineato che la sicurezza del genitore non violento e quella dei minori devono essere un fattore centrale quando si decide sull'interesse superiore del bambino in relazione alle modalità di custodia e di visita. Il GREVIO aveva anche osservato che i tribunali nazionali non tenevano conto dell'articolo 31 della Convenzione di Istanbul. La Corte ha condiviso le preoccupazioni del GREVIO in merito alla sussistenza di una pratica diffusa da parte dei tribunali civili per cui le donne che evocano il problema della violenza domestica come motivo per non partecipare agli incontri tra i propri figli e il loro ex partner e non accettano l'affidamento condiviso o i diritti di visita, vengono considera-te genitori “non collaborativi” e quindi come “madri inadatte”, meritevoli di sanzioni. 

Secondo la Corte, i tribunali nazionali non avevano esaminato la situazione della madre con cura ed avevano deciso di sospenderne la responsabilità genitoriale sulla base della sua presunta contrarietà agli incontri e alla genitorialità condivisa con il padre, senza tener conto di tutti gli elementi rilevanti nel caso di specie. Pertanto, la Corte EDU ha ritenuto che il Tribunale per i minorenni e la Corte d'Appello non avevano fornito motivi adeguati e sufficienti per giustificare la loro decisione di sospendere la responsabilità genitoriale della madre tra maggio 2016 e maggio 2019. 

Si è pertanto accertata la violazione dell'articolo 8 della Convenzione anche nei confronti della madre dei due minori. La Corte di Strasburgo, infine, ha condannato l'Italia a corrispondere a titolo di equa soddisfazione ex art. 41 CEDU, congiuntamente ai figli della prima ricorrente, la somma di 7.000 euro a titolo di di danno morale. Ritenendo, invece, che l'accertamento di una violazione costituisse di per sé un sufficiente e giusto risarcimento del danno subito dalla madre, prima ricorrente, non ha liquidato alla donna alcuna somma.

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Ripetibilità delle somme versate a titolo di assegno.

Con sentenza n. 32914 pubblicata in data 8/11/2022, le Sezioni Unite della Cassazione hanno sancito il principio secondo il quale l’assegno di separazione e/o divorzio versato all’ex coniuge può essere ripetibile “ab initio” qualora non vi siano i presupposti per ottenere il diritto al mantenimento, quali lo “stato di bisogno” o l’addebito. 

Gli Ermellini hanno affermato che non prevedendo l’ordinamento “una disposizione che sul piano sostanziale, sancisca l’irripetibilità dell’assegno, propriamente alimentare, provvisoriamente disposto a favore dell’alimentando” e neanche in ordine ai contributi economici disposti con i provvedimenti presidenziali, “non si tratterebbe di sancire l’obbligo di restituzione di quanto percepito a titolo strettamente alimentare, ma di restituire somme di denaro sulla base di un supposto ed inesistente diritto al mantenimento”. La questione prende le mosse da un ricorso presentato da una donna che era stata condannata dalla Corte di Appello di Roma alla restituzione delle somme percepite dall’ex marito. La Corte, infatti, nel decidere su un assegno di mantenimento e divorzile aveva stabilito che “sin dalla richiesta di modifica delle condizioni della separazione non sussistevano i presupposti per il riconoscimento di un contributo al mantenimento”, revocando, in tal modo, i provvedimenti provvisori adottati in primo grado e condannando la ex moglie alla restituzione delle somme già percepite. 

La condannata alla restituzione si rivolgeva, quindi, alla Suprema Corte proponendo ricorso anche sulla base della falsa applicazione degli artt. 156 e 445 c.c. “stante la natura alimentare dell’assegno di mantenimento”. In definitiva, le Sezioni Unite su sollecitazione della Prima Sezione civile della Cassazione hanno chiarito che, ferma restando “una valutazione personalizzata” da parte del giudice di merito e considerata, altresì, “la situazione personale e sociale del coniuge debole, le ragionevoli aspettative di tenore di vita ingenerate dal rapporto matrimoniale ovvero di non autosufficienza economica”, occorre distinguere se opera o meno la “conditio indebiti”, ossia la regola generale della piena ripetibilità delle prestazioni economiche già effettuate ove si accerti l’insussistenza “ab origine” dei presupposti per l’assegno di mantenimento o divorzile, ovvero se la prestazione è da ritenersi irripetibile, laddove sia intervenuta una rivalutazione o rimodulazione al ribasso -purché sempre in relazione a somme di modesta entità- alla luce del principio di solidarietà post-familiare in quanto presuntivamente consumate per le esigenze del soggetto più debole economicamente. Al di fuori di questa seconda ipotesi, in presenza di una modifica con effetto ex tunc dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della “ripetibilità”. Si tratta, dunque, di un principio forte che cambia radicalmente l’orientamento giurisprudenziale che già da qualche anno si andava affermando nelle varie Corti di merito.

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Responsabilità medica: il danneggiato deve provare la causalità materiale e giuridica.

In tema di responsabilità medica, al creditore non basta allegare l’inadempimento della prestazione professionale, ma occorre anche che egli dimostri il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e l’aggravamento della propria condizione patologica o l’insorgenza di nuove patologie oltre al nesso di causalità giuridica.

(Cass. civ., Sez. III, 09/11/2022, n. 32971)

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Costituisce molestia anche l’invio di messaggi WhatsApp sgraditi.

Costituisce molestia o disturbo alle persone anche l'invio di messaggi tramite WhatsApp, in quanto, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 660 c.p., rileva il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario e non la possibilità per quest'ultimo di interrompere o prevenire l'azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l'utenza non gradita.

Il reato di molestia o disturbo alle persone di cui all’ art. 660 c.p. tutela la tranquillità pubblica per l'incidenza che il suo turbamento ha sull'ordine pubblico a causa dell’astratta possibilità di reazione. L'interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa. La tutela penale è accordata anche contro la volontà delle persone molestate o disturbate: ciò che viene in rilievo è la tutela della tranquillità pubblica per i potenziali riflessi sull'ordine pubblico di quei comportamenti idonei a suscitare nel destinatario reazioni violente o moti di ribellione. L'elemento materiale del reato è costituito dall'interferenza non accettata nella vita privata altrui, che altera fastidiosamente o in modo inopportuno, immediato o mediato, lo stato psichico di una persona ( Cass. pen., Sez. I, n. 19718 del 24/3/2005). L’atto è qualificabile come molesto non soltanto se risulta sgradito a chi lo riceve, ma se è ispirato da biasimevole motivo ovvero riveste il carattere della petulanza, cioè consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente ( Cass. pen. sez. I, n. 6064 del 06/12/2017, dep. 2018). Il reato di molestia, inoltre, non ha natura necessariamente abituale, non richiedendo necessariamente la reiterazione dei comportamenti intrusivi e sgraditi nella vita altrui.

L'elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l'eventuale convinzione dell'agente di operare per un fine non biasimevole o, addirittura, per la soddisfazione di un proprio diritto ( Cass. pen. sez. I, n. 50381 del 07/06/2018; Cass. pen. sez. I, n. 33267 del 11/06/2013).

l reato può essere commesso anche mediante l'invio di Sms e messaggi WhatsApp. Ciò che rileva ai fini della sua sussistenza è il carattere invasivo della comunicazione non vocale, rappresentato dalla percezione immediata da parte del destinatario dell'avvertimento acustico che indica l'arrivo del messaggio e la percezione immediata e diretta del suo contenuto o di parte di esso attraverso l'anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco del telefono cellulare, che valgono a realizzare una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente ( Cass. pen. sez. I, n. 37974 del 18/03/2021). Il carattere invasivo della messaggistica telematica, inoltre, non può essere escluso per il fatto che il destinatario di messaggi non desiderati, inviati da un determinato utente sgradito, possa evitarne agevolmente la ricezione, senza compromettere in alcun modo la propria libertà di comunicazione, semplicemente escludendo o bloccando il contatto indesiderato ( Cass. pen. sez. I, n. 24670 del 07/06/2012). Il reato di cui all' art. 660 c.p. mira a tutelare, non già la libertà di comunicazione del destinatario dell'atto molesto, ma il turbamento della tranquillità pubblica. Ciò che rileva ai fini della sua sussistenza è l'invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest'ultimo di interrompere l'azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale ( Cass. pen. sez. I, n. 37974 del 18/03/2021).

(Cass. pen., Sez. I, Sent., (data ud. 24/05/2022) 20/09/2022, n. 34821)

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Procedibile d’ufficio il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il tribunale aveva prosciolto un imputato dal reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio ( art. 570-bis c.p. ) per mancanza di querela, la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 23 giugno 2022, n. 24235 ha affermato il principio secondo cui in difetto di nuove disposizioni di legge sul tema della procedibilità, deve essere confermato il regime di perseguibilità di ufficio previsto per le ipotesi di reato ora punite dall' art. 570-bis c.p.

essendo indubbio il carattere solo formale dell'abrogazione dei reati previsti dall' art. 12- sexies della L. n. 898/1970 e dall' art. 3 della L. n. 54/2006, senza cioè abolizione delle relative ipotesi criminose, perché riprese dal nuovo art. 570- bis c.p., ne deriva per la S.C. che risulta immutato anche il regime di procedibilità di ufficio. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità il reato previsto dalla norma censurata è infatti sempre stato ritenuto perseguibile d'ufficio. Tale soluzione interpretativa - avallata anche dalle sezioni unite della Corte di cassazione ( Cass. pen. sez. Unite, n. 23866 del 31/01/2013, P., CED Cass. 255270 - 01) - si fondava sul rilievo che il richiamo all' art. 570 c.p., operato dall' art. 12- sexies della L. n. 898/1970, nonché dall' art. 3 della L. n. 54/2006 che, a sua volta, rinviava al citato art. 12- sexies, L. n. 898/1970, fosse finalizzato unicamente a determinare il trattamento sanzionatorio e non potesse, dunque, reputarsi comprensivo del regime di perseguibilità a querela previsto dalla norma richiamata. Le stesse considerazioni, secondo la Cassazione, conservano tuttora piena validità per quanto sopra detto sulla natura meramente formale dell'operazione di trasposizione del reato in esame nella nuova norma codicistica, essendo peraltro stata esclusa la voluntas legis di incidere sul regime di procedibilità.

(Cass. pen., Sez. VI, Sent., (data ud. 23/03/2022) 23/06/2022, n. 24235)

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Post diffamatorio su Facebook riconducibile al titolare del profilo.

Per la Corte di Cassazione, in ipotesi di pubblicazione su un profilo Facebook di un testo lesivo dell’altrui reputazione, la diffamazione è di regola attribuibile al titolare del profilo. 

In assenza di qualsiasi prova, fornita dalla difesa, in ordine all’asserito furto di identità digitale, i messaggi diffamatori sono attribuibili al titolare del profilo Facebook su cui risultano pubblicati (in tal senso anche Cass. sez. V, 21 ottobre 2021, n. 4239, in cui è stata ritenuta accertata la riferibilità dei messaggi al titolare del profilo Facebook sulla scorta dei seguenti elementi: il movente, l'argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, nonché la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del suo nickname, e ciò anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall'indirizzo IP dell'utenza telefonica intestata all'imputato medesimo).

(Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 23/09/2022) 20/10/2022, n. 39805)

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Revisione dell'assegno divorzile: presupposti.

In tema di presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, giova rilevare che il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti costituente il presupposto necessario per pervenire alla revisione dell'assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, attiene agli elementi di fatto e non può essere integrato da una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, la cui funzione è ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regula iuris e non creativa della stessa.

Secondo la Corte di Cassazione …il giudicato, ai sensi dell’ art. 2909 cod. civ., fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi ed aventi causa entro i limiti oggettivi che sono segnati dai suoi elementi costituitivi, come tali rilevanti per l’identificazione dell’azione giudiziaria sulla quale il giudicato si fonda, costituiti dal titolo della stessa azione (causa petendi) e dal bene della vita che ne forma oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato (petitum immediato); entro tali limiti, l’autorità del giudicato copre il dedotto e il deducibile…anche le questioni non dedotte in giudizio che costituiscano, tuttavia, un presupposto logico essenziale ed indefettibile della decisione stessa…”, fatte salve esclusivamente le cosiddette sopravvenienze, ovverosia le nuove situazioni di fatto incidenti sui rapporti fra i coniugi dotate di efficacia tale da alterare l’assetto di cui al provvedimento divorzile. In tema di revisione, dunque, l’intervento giudiziale è finalizzato a ripristinare l’equilibrio venuto meno in ragione della modifica o dell’alterazione delle situazioni di fatto poste alla base delle condizioni di divorzio stabilite dal provvedimento giudiziale.

(Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 15/06/2022, n. 19302)

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Il figlio assume i cognomi di entrambi i genitori (salvo diverso accordo al momento del riconoscimento).

Nell'ambito della questione di legittimità costituzionale sollevata dell'art. 262, primo comma, secondo periodo, c.c., la norma sull'attribuzione del cognome del padre è il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, il riflesso di una disparità di trattamento che, concepita in seno alla famiglia fondata sul matrimonio, si è proiettata anche sull'attribuzione del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio, ove contemporaneamente riconosciuto. Si tratta di un automatismo che non trova alcuna giustificazione nell'art. 3 Cost., sul quale si fonda il rapporto fra i genitori, uniti nel perseguire l'interesse del figlio. La declaratoria di illegittimità costituzionale della norma relativa all'attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio discende in via consequenziale dalla illegittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma, secondo periodo, c.c., in ragione della loro sostanziale identità di contenuto. 

Con la sentenza n. 131 del 2022 il Giudice Costituzionale ha dichiarato quindi l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, dell’ art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto, rimettendo all’intervento del giudice la determinazione dell’ordine dei cognomi in caso di disaccordo tra le parti e rinviando al legislatore per delimitare la moltiplicazione dei cognomi nei passaggi tra più generazioni e per garantire l’identità dei cognomi tra fratelli e sorelle.

(Corte cost., 31/05/2022, n. 131)

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Assegno divorzile anche per il mantenimento alla dimora familiare.

Il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l'impossibilità dell'ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi; l'assegno divorzile deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l'assegno ha l'onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo in tal caso assorbito l'eventuale obbligo assistenziale.

La sentenza in parola presenta un ulteriore elemento di interesse riguardante come siffatto squilibrio patrimoniale si possa manifestare anche in ambiti correlati al riconoscimento dell’assegno divorzile, vale a dire al mantenimento della dimora coniugale ove si svolgeva la vita familiare. Per la Cassazione le spese per il mantenimento alla dimora familiare non può non ripercuotersi sia sull’entità dell’assegno di mantenimento dei figli (da determinare sulla base del criterio del tendenziale mantenimento del tenore di vita acquisito e del cambiamento delle esigenze legate alla loro crescita); sia sull’assegno divorzile nella misura che verrà accertata dal giudice.

(Cass. civ., Sez. VI - 1, Ordinanza, 23/09/2022, n. 27948)

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Reiterate violenze fisiche e morali inflitte al coniuge: addebito automatico.

Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale. Il loro accertamento esonera altresì il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.

(Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 11/03/2022) 24/10/2022, n. 31351)

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Limiti al mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti.

La Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 29264 del 7 ottobre 2022 si occupa nuovamente del diritto al mantenimento in favore del figlio maggiorenne non autosufficiente di genitori divorziati e dei relativi presupposti e limiti.

Secondo la Corte le considerazioni di ordine sociologico, a proposito delle condizioni nel mercato del lavoro del meridione d'Italia, non possono giustificare la persistenza di un obbligo di mantenimento da parte del genitore sottoposto ad amministrazione di sostegno per disabilità, ma sarebbero semmai indicative della necessità del figlio di far ricorso agli strumenti di sostegno sociale, in aggiunta alla dedotta condizione di persona non stabilmente occupata in un'attività di lavoro. Pertanto, un atteggiamento inerziale da questo punto di vista non può essere riversato sulla persistenza di un diritto al mantenimento di durata indeterminata.

(Cassazione civile ordinanza n.29264 2022)

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Cause aventi ad oggetto rapporti obbligatori sorti tra parti legate da un rapporto affettivo venuto meno: competenza territoriale.

Con l'ordinanza n. 24716/2022 la Corte di Cassazione, nell'ambito di un ricorso per regolamento di competenza, fa chiarezza in merito ai rapporti tra art. 18 c.p.c e artt. 20 e 38 c.p.c allorché il giudizio verta su rapporti obbligatori sorti tra le parti legate da un rapporto affettivo, poi venuto meno. In particolare va considerato il luogo in cui è sorta l’obbligazione dedotta in giudizio, non rilevando in alcun modo che l'obbligazione “avente origine nei rapporti di tipo familiare e di coppia”, può assumere discrimine giuridicamente rilevante.

(Cassazione civile ordinanza n.24716/2022)

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Per ridurre l'assegno divorzile occorre dimostrare l'effettiva possibilità di lavorare.

L'ipotetica ed astratta possibilità lavorativa o di impiego, da parte del coniuge beneficiario di assegno di divorzio, non incide sulla determinazione dell'assegno stesso, salvo che il coniuge onerato non fornisca la prova che il beneficiario abbia l'effettiva e concreta possibilità di esercitare un'attività lavorativa confacente alle proprie attitudini. L'accertamento della relativa capacità lavorativa deve essere compiuto non nella sfera dell'ipoteticità o dell'astrattezza, bensì in quella dell'effettività e della concretezza, dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso concreto in rapporto ad ogni fattore economico-sociale, individuale, ambientale, territoriale.

(Cass. civ., Sez. VI - 1, Ordinanza, 20/07/2022, n. 22758)

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Separazione e figli residenti all’estero: la competenza a decidere sulla domanda di determinazione degli obblighi di mantenimento del figlio residente all’estero.

Con sentenza n. 30903 del 19 ottobre 2022 la Cassazione civile, SS.UU., decidendo su una questione di giurisdizione in tema di obblighi di mantenimento della prole residente all’estero, nell’ambito del giudizio di separazione o divorzio, ha riconosciuto la giurisdizione della Autorità giudiziaria Italiana, ai sensi dell’ art. 37 della legge n. 218 del 1995, sulla domanda di determinazione delle modalità con cui il genitore, che sia cittadino italiano ed abbia la residenza in Italia, deve contribuire al mantenimento del figlio residente all’estero (nella specie, in Russia), non estendendosi a tali controversie il criterio determinativo cogente della residenza abituale del minore, previsto dagli artt. 8, par. 1, del Regolamento CE n. 2201 del 2003 e 3 del Regolamento CE n. 4 del 2009, nonché dalla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, oggi sostituita dalla Convenzione del 19 ottobre 1996, resa esecutiva con la legge n. 101 del 2015, riguardanti la protezione dei minori, che inerisce l’esercizio della responsabilità genitoriale e trova fondamento nel superiore e preminente interesse dei figli minori non residenti abitualmente in Italia a che i provvedimenti che li riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo della loro residenza effettiva (cd. criterio di prossimità), nonché nell'esigenza di realizzare la concentrazione di tutte le azioni giudiziarie ad esso relative.

Secondo le Sezioni Unite civili della Corte, l’elemento discretivo è costituito dall’oggetto delle domande formulate: ove attinenti agli aspetti personali del rapporto tra il ricorrente e il figlio, le questioni devono essere devolute all'autorità giudiziaria straniera; ove, invece, abbiano ad oggetto la determinazione delle modalità di contribuzione da parte del primo al al mantenimento del secondo, deve essere riconosciuto la loro devoluzione al giudice italiano. Ovviamente, nel caso di “obbligazioni alimentari”, che spettano alla giurisdizione del giudice italiano ex art. 37 della legge n. 218 del 1995, deve sussistere la condizione del domicilio o residenza in Italia del genitore convenuto o del soggetto autorizzato a stare per suo conto in giudizio, ovvero, in alternativa, che uno dei genitori o il figlio sia cittadino italiano o risiede in Italia.

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Assegno di mantenimento: redditi occultati al fisco e le indagini della polizia tributaria.

Nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi, il potere di disporre indagini della polizia tributaria, derivante dall'applicazione analogica dell'art. 5, comma 9, l. n. 898 del 1970, costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell'onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all'incompletezza o all'inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell'assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini.

(Cassazione civile ordinanza n.22616 2022)

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La convivenza more uxorio fa venir meno il diritto dell'ex al mantenimento.

La convivenza stabile e continuativa con altra persona deve ragionevolmente assumersi come fattore la cui prova è a carico del coniuge che si oppone all'attribuzione dell'assegno, trattandosi di un fatto potenzialmente impeditivo o estintivo del diritto azionato, che fa presumere la cessazione o l'interruzione dell'obbligo di mantenimento, salva la facoltà del coniuge richiedente l'assegno di allegare e dimostrare, anche in via presuntiva, che quella convivenza non influisca in melius sulle proprie condizioni economiche, restando i suoi redditi complessivamente inadeguati a fargli conservare tendenzialmente il tenore di vita coniugale.

(Cass. civ., Sez. VI - 1, Ordinanza, 12/10/2022, n. 29865)

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La separazione dei coniugi come causa di illecito endofamiliare: risarcimento del danno non patrimoniale a favore dei figli adottivi.

La separazione dei coniugi, in particolare nell'ipotesi in cui si verifichi con modalità traumatiche, può configurare un illecito endofamiliare, con conseguente risarcimento del danno non patrimoniale a favore dei figli adottivi, per il possibile riacutizzarsi nei minori del trauma dell'abbandono, determinando in essi nell'immediato una profonda sofferenza e ponendo a grave rischio il loro futuro equilibrato sviluppo.

(Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 02/04/2021, n. 9188)

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Quantificazione del danno endofamiliare da privazione del rapporto genitoriale.

La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole, a causa del disinteresse mostrato nei confronti dei figli per lunghi anni, integra gli estremi dell'illecito civile, cagionando la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e dà luogo ad un'autonoma azione dei medesimi figli volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c. In particolare, è un comportamento rilevatore di responsabilità genitoriale l'avere deprivato i figli della figura genitoriale paterna, che costituisce un fondamentale punto di riferimento soprattutto nella fase della crescita, e idoneo ad integrare un fatto generatore di responsabilità aquiliana. La voce di pregiudizio in esame sfugge a precise quantificazioni in moneta e, pertanto, si impone la liquidazione in via equitativa ex art. 1226 cod. civ.. In merito alla quantificazione in concreto, in caso di danno endofamiliare da privazione del rapporto genitoriale, può essere applica, come riferimento liquidatorio, la voce ad hoc prevista dalle tabelle giurisprudenziali adottate dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ("perdita del genitore").

(Tribunale Milano, Sez. IX, 23/07/2014)

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Sul diritto alla provvigione del mediatore.

Il mediatore ha diritto alla provvigione tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice nel senso che è stato il mediatore che pretende il compenso ad aver messo in relazione le parti poi addivenute all’accordo: non si richiede, infatti, che tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, purché la "messa in relazione" delle parti abbia costituito l'antecedente indispensabile per pervenire, anche attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto. Non è neppure necessario che il mediatore sia intervenuto nelle diverse fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, purché possa ritenersi che senza quella "messa in contatto" il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata. In tal senso non costituiscono indici significativi dell'assenza di causalità adeguata gli elementi di fatto del prezzo diverso, della distanza nel tempo della stipula del contratto, dell'intervento di un nuovo mediatore, né in alcun modo è rilevante la mancanza di prova di una formale comunicazione dell'offerta o il perdurare della sua efficacia al tempo di conclusione della compravendita.

(Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 05/04/2022) 15/09/2022, n. 27185)

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L'incidenza economica dell'assegnazione della casa familiare nella quantificazione dell'assegno di mantenimento.

In materia di quantificazione dell'assegno di mantenimento a seguito della separazione dei coniugi, deve attribuirsi rilievo anche all'assegnazione della casa familiare che, pur essendo finalizzata alla tutela della prole e del suo interesse a permanere nell'ambiente domestico, indubbiamente costituisce un'utilità suscettibile di apprezzamento economico, come del resto espressamente precisato dall' art. 337 sexies c.c., e tale principio trova applicazione anche qualora il coniuge separato assegnatario dell'immobile ne sia comproprietario, perché il suo godimento del bene non trova fondamento nella comproprietà del bene, ma nel provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell'altro coniuge di disporre della propria quota dell'immobile e si traduce in un pregiudizio economico, anch'esso valutabile ai fini della quantificazione dell'assegno dovuto.

(Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 11/03/2022) 21/09/2022, n. 27599)

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Spetta a chi chiede l'addebito della separazione all'altro coniuge provare l'infedeltà e il nesso causale con la fine della relazione.

Grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà.

(Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 11/03/2022) 22/09/2022, n. 27771)

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Niente risarcimento se il cane morde il veterinario imprudente, anche in presenza del padrone

Avv. Lorenzo Mariani 

Con Sentenza n. 13136 del 08.09.2022 il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di risarcimento ex art. 2052 cc da parte di una veterinaria, che aveva convenuto in giudizio il padrone di un grosso cane di razza Corso, da cui era stata morsa sul labbro poco prima di operarlo agli occhi.

A detta dell’attrice, il cane l’avrebbe aggredita mentre stava venendo sedato, in presenza del padrone che lo teneva al guinzaglio.

Il proprietario del cane, e la compagnia assicurativa chiamata in causa, sostenevano invece che in primo luogo la responsabilità ex art. 2052 fosse traslata dal proprietario alla danneggiata che ne aveva la custodia; in secondo luogo, che comunque la responsabilità dovesse ritenersi esclusa per caso fortuito consistente nel comportamento della danneggiata, la quale non aveva controllato la predisposizione e la attuazione del piano anestesiologico e, soprattutto, si era più volte avvicinata imprudentemente al volto del cane, privo di museruola.

In seguito all’espletamento dell’interrogatorio formale e dell’ascolto della anestesista quale testimone, la causa veniva trattenuta in decisione con termine per note ex art. 190 cpc.

Nel rigettare la domanda, il giudice ha ripercorso brevemente i principi fondanti la responsabilità oggettiva ex art. 2052 cc:

Poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore ("salvo che provi il caso fortuito") che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del fortuito deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.

Spetta dunque all'attore provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento dannoso secundum o contra naturam, comprendendosi in tale concetto qualsiasi atto o moto dell'animale quod sensu caret, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa o di aver usato la comune diligenza e prudenza nella custodia dell'animale, bensì l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.”

“Ora, per assurgere a fattore esterno idoneo a cagionare il danno, l'evento deve avere i caratteri della imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità, ovvero della condotta colposa, specifica o generica”

“La prova liberatoria del proprietario o di chi ha in custodia l’animale, in ogni caso, non può limitarsi alla mera allegazione di una violazione di norme di condotta imputabile al danneggiato, essendo necessario che fornisca in concreto la prova dell'interruzione del nesso causale con l'evento.

In tal senso, deve ritenersi che la posizione di garanzia che grava sul detentore del cane "copre" anche i comportamenti imprudenti altrui.”

 

Proprio sulla base dei predetti requisiti, il giudice riteneva provato il caso fortuito quale colpa esclusiva della veterinaria danneggiata.

E infatti, al momento del sinistro il cane era fuori dal controllo del padrone, poiché era già stato sedato ed affidato alle cure della veterinaria.

Il sinistro è da attribuirsi al comportamento colposo dell'attrice, che si è avvicinata al suo muso privo di protezioni, senza curarsi dell’eventualità che l’animale potesse reagire d’impulso.

Pertanto, in questo caso la posizione di garanzia del padrone, seppur presente al momento del sinistro, non ha “coperto” il comportamento della danneggiata, vista la disattenzione con cui ha gestito il proprio paziente.


Trib. Roma, Sez. XIII, Sent., 08.09.2022, n.  13136 (testo completo)

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Non fa vedere i figli al padre perché ha ingaggiato un investigatore: per il Tribunale di Roma non è reato

In data 29.08.2022, il Gip presso il Tribunale di Roma ha disposto l'archiviazione di un procedimento a carico di una madre indagata ex art 338 cp (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento dei giudice) poiché non avrebbe ottemperato alle disposizioni del Tribunale civile sulla frequentazione dei figli minori col padre.

Il Gip ha ritenuto che non fosse rinvenibile alcuna fattispecie di reato poiché l’inottemperanza non sarebbe stata dovuta alla volontà di non dare corso al provvedimento quanto piuttosto a una reazione, seppur esagerata, dell'indagata alla presenza del personale investigativo incaricato dall'ex marito in sede di richiesta di esercitare il diritto di visita ai minori.

Per il Gip, di conseguenza, tale situazione deve trovare tutela in sede civile attraverso provvedimenti che garantiscano una migliore tutela dei bambini, stante la conflittualità tra i genitori.


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Assegno divorzio: è necessario accertare il sacrificio di prospettive reddituali e professionali.

La funzione riequilibratrice dell'assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale. La differenza reddituale tra gli ex coniugi non legittima di per sé sola il riconoscimento dell'assegno divorzile, dovendo accertarsi dal giudice del merito se quella sperequazione sia conseguenza di scelte naturate durante la vita matrimoniale dalla coppia nella distribuzione dei ruoli, in esito alla quale il coniuge richiedente, economicamente più debole, rinunciando anche a proprie aspettative di crescita professionale, abbia contribuito alla formazione del patrimonio familiare e di quello dell'altro coniuge, avuto riguardo alla durata del matrimonio e ad all'età dell'avente diritto.

(Tribunale Castrovillari, sent. 17 giugno 2022, n. 139)

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Il TAR Puglia sospende cautelarmente la bocciatura di una bambina di sette anni: può avere effetti traumatici

TAR Puglia, Sez. Unite, ord. 28.07.2022 n. 347

Accolta l’istanza cautelare avverso la bocciatura di una bambina di sette anni.

Per il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, la perdita di un anno scolastico a quell’età, oltretutto in difetto di adeguata motivazione, costituisce ex se un grave danno, anche alla luce dell’esclusivo interesse della minore.

Infatti, si tratta di un’esperienza traumatica che potrebbe danneggiare l’autostima della bambina e compromettere il rapporto di fiducia nei confronti dell’Istituzione scolastica oltre al fatto che, in conseguenza della bocciatura, la minore verrebbe allontanata dalla classe nella quale si stava integrando. 

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No all'esimente dello "stato d'ira" per chi diffama l'ex coniuge su Facebook per via di contrasti e rancori costanti

Cass. Pen., Sez. V., Sent., 24 giugno 2022, n. 24614

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non è necessaro l"animus iniurandi vel diffamandi", ma è sufficiente il dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale, ossia che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive,  in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere.

Inoltre, ai fini della riconoscibilità dell’esimente prevista dall’art. 599, c. 2, cp, deve  ritenersi che un mero stato di contrasti e/o rancore tra le parti non integri una situazione per la quale possa ritenersi che il "fatto ingiusto" asseritamente patito dall'agente, determini improvvisamente il c.d. "stato d'ira", ciò in quanto nel delitto di diffamazione, ancorché non rilevi la proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui, occorre, tuttavia, che sussista un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante ed il fatto provocato, non essendo sufficiente un legame di mera occasionalità.

Per queste ragioni, la Cassazione ha escluso l'esimente dello stato d'ira ex art. 599 comma 2 cp nei confronti di un uomo reo di aver offeso l'onore e la reputazione dell'ex moglie, pubblicando frasi offensive nei confronti di quest'ultima sul social network Facebook.

Per la difesa dell'imputato, la sua reazione era maturata in un clima caratterizzato da costanti minacce e vessazioni da parte dell'ex moglie (che ostacolava la frequentazione tra l'uomo e i figli) e della famiglia della stessa, che avevano provocato un persistente stato d'ira nel reo.

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Inammissibili le critiche alla CTU medica se non sono state già formulate in appello

Cass. Civ. Sent. 18.07.2022, n. 22532

È inammissibile un ricorso in Cassazione avverso una decisione di appello che abbia recepito una CTU asseritamente errata sul piano tecnico-scientifico, se nel giudizio di merito il ricorrente non ha sollevato le medesime critiche alla consulenza e non ne ha nemmeno trascritto i passaggi salienti nel ricorso per cassazione. 

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La Cassazione sui poteri del giudice minorile nei giudizi de potestate

Cass. Civ., Sez. I, ord. 3.8.2022 n. 24118
In materia di provvedimenti sulla responsabilità genitoriale, il giudice non può fondare la propria decisione solo sulla dichiarazione del minore resa nel corso dell’audizione giudiziale. 
Diversi sono, infatti, i poteri e i doveri del giudicante minorile, rispetto a quelli esercitati nel diritto civile: essi sono tanto più intensi quanto più incisivo è l’oggetto dell’accertamento che deve essere eseguito in relazione sulla valutazione prognostica del preminente interesse del minor pregiudizio per i minori.

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Separazione: i genitori devono proteggere il figlio dall’esposizione al conflitto in atto tra loro.

Per la Corte di Cassazione è stigmatizzabile il comportamento di entrambi i genitori che non solo non hanno protetto la prole dall'esposizione al conflitto in atto tra di loro, ma hanno anche in più riprese tentato di coinvolgerla cercando di attivare meccanismi antagonisti di fedeltà e di distanziamento del tutto pregiudizievoli per il benessere del minore.

(Cass. Civ., sez. VI - 1, ord. 1° giugno 2022, n. 17892).

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Determinazione dell’assegno di mantenimento: le indagini della polizia tributaria come strumento per accertare il tenore di vita della famiglia.

In tema di separazione giudiziale dei coniugi, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza dei coniugi a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo pertanto rilievo anche i redditi occultati al fisco, all'accertamento dei quali l'ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria. Nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi, il potere di disporre indagini della polizia tributaria, derivante dall'applicazione analogica della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell'onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all'incompletezza o all'inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell'assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini.

(Cass. Civ., Sez. I, Ord., 19 luglio 2022, n. 22616)

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Ridotto l’assegno alla ex che non ha sacrificato le aspettative.

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endo-coniugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

(Cass. civ., Sez. VI - 1, Ordinanza, 24/06/2022, n. 20471)

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Negoziabilità del cognome dopo la decisione della Corte Costituzionale.

Nell'ambito della questione di legittimità costituzionale sollevata dell'art. 262, primo comma, secondo periodo, c.c., la norma sull'attribuzione del cognome del padre è il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, il riflesso di una disparità di trattamento che, concepita in seno alla famiglia fondata sul matrimonio, si è proiettata anche sull'attribuzione del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio, ove contemporaneamente riconosciuto. Si tratta di un automatismo che non trova alcuna giustificazione nell'art. 3 Cost., sul quale si fonda il rapporto fra i genitori, uniti nel perseguire l'interesse del figlio. La declaratoria di illegittimità costituzionale della norma relativa all'attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio discende in via consequenziale dalla illegittimità costituzionale dell'art. 262, primo comma, secondo periodo, c.c., in ragione della loro sostanziale identità di contenuto. Difatti, la norma sull'attribuzione del cognome ai figli nati nel matrimonio è costituzionalmente illegittima, nella parte in cui prevede l'attribuzione del cognome del padre al figlio, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell'ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l'accordo, alla nascita, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto.

Di conseguenza l’accordo tra i due genitori è imprescindibile per poter attribuire al figlio il cognome di uno soltanto dei genitori. In mancanza di questo accordo devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori, nell’ordine dagli stessi deciso, e qualora questo ulteriore accordo manchi è necessario l’intervento del giudice.

(Corte cost., 31/05/2022, n. 131)

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Guida sotto l’effetto di droghe, patteggiamento e sospensione della patente di guida.

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il tribunale aveva applicato la pena prevista per il reato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, senza irrogare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, la Corte di Cassazione penale, Sez. IV, con la sentenza 4 luglio 2022, n. 25340 ha affermato il principio secondo cui in sede di patteggiamento, l’omissione derivante dalla mancata applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, in quanto non oggetto dell’accordo tra le parti, dev'essere emendata in quanto tale sanzione consegue obbligatoriamente all’accertamento del reato in esame, e, avendo contenuto discrezionale in quanto ricompresa in un “range” normativamente definito (tra uno e due anni), dev’essere stabilita dal giudice di merito e non può essere applicata direttamente dalla Suprema Corte in sede di annullamento con rinvio della sentenza medesima.

(Cass. pen., Sez. IV, 01/06/2022, n. 25340)

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Non è discriminatorio imporre al padre di astenersi dal coinvolgere la figlia nelle sue attività religiose.

Per la Corte europea dei diritti umani, non vi è alcuna discriminazione, basata sulla religione, nelle decisioni nazionali che abbiano esclusivamente lo scopo di risolvere la controversia tra coniugi, puntando soprattutto sull'interesse del minore a crescere in un ambiente aperto e sereno e conciliando, per quanto possibile, i diritti ed il credo religioso di entrambi i genitori. (Nella specie, il fatto che la Corte nazionale avesse ordinato al padre di astenersi dal coinvolgere attivamente la figlia nelle sue attività religiose non può essere considerato come una differenza di trattamento tra lui e la madre basata sulla religione, in quanto questa misura aveva solo una minima influenza sulle pratiche religiose del padre e aveva il solo scopo di risolvere il conflitto derivante dall'opposizione dei principi educativi dei due, sotto il punto di vista della salvaguardia dell' interesse del minore).

(Corte europea diritti dell'uomo, Sez. I, 19/05/2022, n. 54032/18)

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Prima di dichiarare il minore adottabile occorre verificare l'effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali.

In tema di adozione di minori d'età, sussiste la situazione d'abbandono non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell'adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l'irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri.

(Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 06/06/2022, n. 18157)

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Separazione: l'assegno di mantenimento va rapportato ai redditi necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

In tema di determinazione del "quantum" dell'assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. 
I "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale.

(Cass. Civ., Sez. VI - 1, ord., 28 giugno 2022, n. 20764)

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Revoca assegno divorzile esclusa per fatti non sopravvenuti alla pronuncia della sentenza.

In tema di revoca dell’assegno divorzile, l’attività lavorativa pacificamente già in essere all’epoca della pronuncia della sentenza di divorzio non può reputarsi un fatto nuovo sopravvenuto. Ciò in applicazione del principio secondo cui, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata rebus sic stantibus, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

(Cass. Civ., Sez. I, Ord., 15 giugno 2022, n. 19302)

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Niente ordini di protezione contro il coniuge non più convivente, anche se ha agito in giudizio per rientrare in casa

Lorenzo Mariani 

Con ordinanza del 30.06.2022, la Sezione I del Tribunale di Roma ha deciso su un ricorso per ordini di protezione contro gli abusi familiari ex art. 342 bis cc presentato da una donna avverso il marito.

 

Secondo la ricorrente, l'uomo aveva avuto atteggiamenti via via sempre più aggressivi verso di lei e i figli - nati da un precedente matrimonio - per i quali era stato oltretutto denunciato. Adduceva che il resistente si era allontanato dalla casa coniugale per poi presentare ricorso per la reintegrazione nel possesso ex art. 1168 cc al fine di rientrarvi. L’accoglimento di tale domanda giudiziale, quindi, avrebbe comportato il ritorno dell'uomo in casa, stante anche il fatto che le autorità penali non avevano disposto alcuna misura cautelare nei suoi confronti.

 

Il marito, costituitosi, negava di aver mai tenuto i comportamenti violenti contestatigli, dichiarava di non avere alcuna intenzione di tornare a convivere con la donna, rappresentava che la signora aveva sporto denuncia-querela solo in seguito all'allontanamento, che entrambi avevano depositato ricorso per la separazione giudiziale e che egli aveva agito ex art. 1168 cc solo per rientrare in possesso dei suoi effetti personali, rimasti nella casa coniugale e mai restituiti dalla signora, la quale aveva sostituito la serratura di casa in sua assenza.


Dopo due udienze e la sopravvenuta vittoria del marito nel giudizio di reintegra nel possesso, il giudice ha rigettato il ricorso per difetto del requisito di attuale convivenza.

 

Con l’occasione, il giudicante analizza vari aspetti della tutela ex artt. 342 bis e ter cc, anche in relazione alle misure cautelari di natura penale e al giudizio di separazione tra coniugi.

 

In breve, secondo il ragionamento del giudice:

 

- la finalità della tutela apprestata è quella di impedire, proprio con l’interruzione della convivenza, il protrarsi o l’insorgere di situazione di pericolo per l’integrità fisica o morale del soggetto pregiudicato all’interno del nucleo familiare. Infatti, l'allontanamento del familiare pericoloso, assieme all'ammonimento, rappresenta il contenuto minimo dell'ordine di protezione, ai sensi dell'art. 342 ter cc.

 

- Per tale ragione, in assenza del predetto requisito, la possibile estensione della tutela nei confronti di ogni “altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente” sarebbe illogica, non trovando altrimenti spiegazione la scelta di perseguire familiari aliunde residenti, magari anche a centinaia chilometri di distanza dalla parte lesa, rispetto a terzi, privi di qualsivoglia rapporto di parentela, responsabili di condotte ugualmente pregiudizievoli.

 

- la tutela civilistica contro gli abusi familiari è complementare, anche se non necessariamente successiva, a quella cautelare in sede penale, la quale non richiede il requisito della attuale convivenza. Pertanto, avendo la signora denunciato il marito, potrà trovare protezione in tale sede ove ve ne siano i presupposti.

 

- Il requisito della convivenza (inteso come “perdurante coabitazione”) sussiste anche quando sia stato il familiare in pericolo ad allontanarsi per via del timore di subire violenza fisica dal congiunto, mantenendo, tuttavia, nell'abitazione familiare il centro degli interessi materiali ed affettivi. 

Nel caso di specie, era stato il marito ad allontanarsi, mentre la moglie era rimasta nella casa familiare, così come era incontestato che la donna avesse cambiato la serratura di casa e l'uomo, una volta ottenuta la reintegra nel possesso, non avesse preteso di continuare a convivere con la donna ma avesse solo recuperato i propri effetti personali.

 

- Stante la pendenza di un giudizio di separazione, le reciproche pretese delle parti - tra cui le allegazioni di violenza della donna - potranno trovare tutela in tale sede una volta provate.

 

La pronuncia in parola conferma quindi l’orientamento, in tema di tutela ex art. 342 bis e ter cc contro gli abusi familiari, che vede la convivenza attuale come un requisito imprescindibile, anche in ragione del suo carattere complementare rispetto alla tutela penale.

 

Sono invece rintracciabili arresti di segno contrario, che valorizzano il rischio di ritorno del familiare in casa con conseguente pericolo per l’incolumità del ricorrente. Si veda Tribunale Perugia, sez. I, 7.8.2020 e Tribunale Napoli, 19 dicembre 2007.


Tribunale di Roma, Sez. I, 30.06.2022 (testo completo)


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Stati Uniti: la Corte Suprema ha de-federalizzato il diritto all'aborto.

La decisione della Corte Suprema Dobbs v. Jackson Women's Health Organization ha fatto discutere in tutto il mondo per aver negato valenza costituzionale federale al diritto di abortire quale espressione della privacy e dell’autodeterminazione della singola donna. Va chiarito innanzitutto che il diritto di abortire non è stato “abolito”, ma “restituito” nelle mani della legislazione statale, invece che in quelle della disciplina federale. In poche parole ciascuno Stato dell’Unione deciderà per sé, e questo significa che la disciplina non sarà più uguale in tutti gli Stati. Di fatto è stata ripristinata la situazione precedente al caso Roe v. Wade.

Per i 185 anni successivi all’adozione della Costituzione, infatti, ciascuno Stato poteva regolarsi secondo le intenzioni dei suoi cittadini. Nel 1973 la Corte Suprema adottò Roe v. Wade, che è stata ora considerata dalla Corte Suprema come erronea, poiché nella Costituzione e nel Bill of Righs non si fa alcuna menzione dell’aborto. 

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Relazione extraconiugale intrattenuta con la moglie del fratello della donante: è ingiuria grave.

Per la Cassazione, l'adulterio maturato all'interno del nucleo familiare ristretto dei due coniugi e sviluppato nella cornice di un comune ambiente lavorativo vale a connotare in termini di gravità l'offesa all'onore patita dal coniuge tradito, tanto da giustificare, ai sensi dell' art. 801 c.c., la revocazione delle donazioni indirette.

(Cassazione civile, sez. III, ordinanza 20 giugno 2022, n. 19816)

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Cassazione: delibabilità della sentenza di nullità ecclesiastica anche in caso di convivenza ultratriennale. Attendendo il giudizio di rinvio della Corte di Appello

La Corte di Cassazione, Sez. I, con Ordinanza n. 17910 del 01.06.2022, ha rinviato la causa alla Corte di Appello di Firenze, la quale - sulla base del principio della convivenza ultratriennale - aveva negato la delibazione di una sentenza di nullità ecclesiastica per incapacità della moglie di procreare, tenuta dolosamente nascosta dalla donna all'uomo.


Gli Ermellini hanno infatti affermato che la convivenza ultratriennale come coniugi, pur costituendo ostacolo di ordine pubblico, non osta alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica nel caso in cui l'ipotesi di nullità sia presente anche nell’ordinamento italiano, senza termini di decadenza o possibilità di sanatoria. 

Nel caso in esame, il Tribunale ecclesiastico aveva pronunciato la nullità per una fattispecie coincidente con la previsione di cui all’art. 122 cc., ossia l'errore essenziale sulle qualità personali, per il quale non è previsto il termine dei tre anni di convivenza ma il diverso termine di un anno dalla scoperta dell'errore.

Si attende ora l'esito del giudizio di rinvio. 

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Colpito dalle porte scorrevoli del supermercato: la responsabilità è extracontrattuale.

La Corte di Cassazione (ordinanza 19 maggio 2022, n. 16224) conclude una lunghissima vicenda processuale, che trae origine da un infortunio occorso nel 1999 al cliente di un supermercato. Lo scorrere del tempo non è un fattore di poco conto, così come il titolo della responsabilità, perché la materia del contendere è la prescrizione o meno del diritto del danneggiato ad ottenere il risarcimento. La conclusione è che si tratti di responsabilità extracontrattuale per i motivi che seguono.

Nell'esecuzione dell'obbligo di consegna della cosa venduta all'interno del supermercato, l'eventuale pericolo di pregiudizio dell'incolumità fisica del compratore non è occasionato dalle modalità di adempimento delle obbligazioni del venditore ma piuttosto dalla potenzialità dannosa delle cose che si trovano all'interno del locale, sicché il rischio di danno, non essendo legato all'attuazione dell'obbligo contrattuale, concerne allo stesso modo e con le medesime probabilità di accadimento tanto la persona che abbia provveduto all'acquisto, e sia parte di un contratto di vendita con l'eventuale responsabile, quanto la persona che non vi abbia provveduto ma che comunque si trovi all'interno dei locali. In tal caso, l'eventuale concretizzazione di questo rischio in un evento di danno, ascrivibile non alla mancata osservanza della dovuta diligenza adempitiva da parte del venditore ma all'esplicazione della predetta potenzialità dannosa delle cose che si trovano nel supermercato, può essere riguardato esclusivamente quale fatto generatore di responsabilità extracontrattuale a carico del custode delle cose medesime.

(Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 19/05/2022, n. 16224)

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La ex laureata e in grado di lavorare non ha diritto all’assegno di divorzio.

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. In particolare, si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l'assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U., 11/07/2018, n. 18287; Cass., 23/01/2019, n. 1882).

L'assegno divorzile deve assicurare all'ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita - assistenziale, perequativa e compensativa -, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri, mediante complessiva ponderazione dell'intera storia coniugale e della prognosi futura, ponendosi lo squilibrio reddituale come pre-condizione fattuale dell'ulteriore accertamento del nesso causale tra detto squilibrio e il ruolo endofamiliare svolto dal richiedente, che abbia comportato il sacrificio delle sue aspettative professionali, a ciò essendo volta la finalità compensativo-perequativa, mentre la funzione assistenziale è destinata a valere là dove la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli garantisca l'autosufficienza.

(Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 30/03/2022, n. 10232)

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Il credito relativo al mantenimento dei figli non è compensabile.

Il credito relativo al mantenimento dei figli (anche maggiorenni, se ancora non economicamente indipendenti) ed il credito a titolo di mantenimento del coniuge hanno struttura e natura diverse e, proprio per la loro diversità ontologica, soggiacciono a regimi giuridici differenti. 

In forza del combinato disposto degli artt. 315-bis e 433 c.c., il credito relativo al mantenimento dei figli, in quanto riferito a soggetti carenti di autonomia economica, come tali titolari di un diritto di sostentamento, presuppone uno stato di bisogno strutturale ed ha, dunque, natura propriamente alimentare. Tale connotazione conferisce, pertanto, al suddetto credito carattere di indisponibilità ed impignorabilità ed impedisce che lo stesso possa essere oggetto del meccanismo di elisione reciproca dei crediti tipico dell'istituto della compensazione. La maggiore tutela apprestata dall'ordinamento ai figli è volta ad evitare che questi, già in posizione di debolezza nel nucleo familiare, risultino eccessivamente gravati dalle conseguenze che la dissoluzione del rapporto coniugale può loro comportare.

(Tribunale di Modena, sent. 9 febbraio 2022 n. 135)

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Sulla validità del contratto vitalizio di mantenimento.

Il Tribunale di Benevento è stato chiamato a decidere sulla validità di un contratto di mantenimento vitalizio oneroso stipulato dalla de cuius con colei che le aveva prestato assistenza.

Gli attori impugnavano la validità del contratto asserendo la mancanza di aleatorietà e di proporzionalità. 

Il Tribunale respingeva le domande degli attori, in quanto nell'atto si dava atto del credito maturato dalla datrice di cure per via dell'assistenza morale e materiale fornita alla parte cedente per ben quindici anni e per le spese di manutenzione dell'immobile dalla stessa affrontate nell'interesse della cedente. Per il giudice i valori indicati nel rogito non appaiono affatto sproporzionati e in ogni caso rappresentano una libera e ragionevole espressione della libera autonomia negoziale delle parti.

(Tribunale di Benevento 2 febbraio 2022)

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Revocabilità di una donazione per ingratitudine.

L'ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di rispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento.

Cass. Civ., Sez. II, Ord., 29 aprile 2022, n. 13544

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L'apertura della successione non comporta l'acquisto della qualità di erede in favore dei successibili ex lege.

L'apertura della successione non comporta l'acquisto della qualità di erede in favore dei successibili ex lege, ma soltanto l'acquisto della qualità di chiamato alla eredità: solo ove avvenga l'accettazione, anche tacita, il chiamato si considera erede. 

La prova della avvenuta accettazione della eredità compete al creditore interessato. Non costituisce accettazione dell’eredità la mera presentazione della dichiarazione di successione. 

Il chiamato all'eredità, che abbia ad essa rinunciato, non si può considerare erede, neppure per l'arco temporale intercorrente tra l'apertura della successione e la rinuncia, nemmeno se esso risulti nella categoria dei successibili ex lege o abbia presentato denuncia di successione.

(Tribunale di Venezia, 9 febbraio 2022)

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Illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre.

La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha esaminato oggi le questioni di legittimità costituzionale sulle norme che regolano, nell’ordinamento italiano, l’attribuzione del cognome ai figli. In particolare, la Corte si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori. 

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale fa sapere che le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. 

La Corte ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. 

Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale. 

Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. 

In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico.

La Corte ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. 

È compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla presente decisione. 

La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.

(Comunicato della Corte Costituzionale del 26 aprile 2022)

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Il testatore può escludere la successione per rappresentazione.

La successione per rappresentazione consente che determinati soggetti (c.d. rappresentanti) vengano all'eredità subentrando nel luogo e nel grado del loro ascendente (c.d. rappresentato) che non possa o non voglia accettare. La clausola impugnata escludeva l’operatività della rappresentazione in relazione al legato di somma di denaro disposto in favore della sorella del de cuius: in tal modo, il testatore impediva ai nipoti di beneficiare del lascito qualora la legataria non avesse voluto o potuto acquistare il legato (come poi accaduto, per la premorienza della sorella al fratello). Il rispetto dell'autonomia testamentaria prevale su qualsiasi altro aspetto: d’altro canto, questa porta alla prevalenza della sostituzione sulla rappresentazione per il caso che il primo chiamato non venga alla successione (art. 688). Il testatore, dunque, nominando non solo il proprio erede, ma anche la persona del sostituito, impedisce che la devoluzione del suo patrimonio, in mancanza del primo chiamato, avvenga secondo i criteri di legge.

Il testatore può quindi escludere espressamente l’operatività della rappresentazione nei riguardi di eredi non legittimari prevedendo, nel testamento, una clausola di esclusione dell’operatività della rappresentazione, che costituisce così una forma di diseredazione implicita.

Tribunale di Verona, ord. 26 gennaio 2022

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La collazione in caso di mancanza di un relictum.

La collazione (artt. 737 c.c. e ss.) è un istituto giuridico tipico della divisione ereditaria e consiste nell'obbligo che ha ciascun figlio o altro discendente, legittimo o naturale, che concorre alla successione, sia pure con beneficio d’inventario, insieme con i fratelli o con le sorelle e con i loro discendenti, di conferire ai coeredi tutto ciò che ha ricevuto dal donatore per donazione, direttamente o indirettamente. 

L'art. 724 c.c., rubricato "Collazione e imputazione", prevede che "I coeredi tenuti a collazione [747 c.c.], a norma del capo II di questo titolo [737 ss. c.c.], conferiscono tutto ciò che è stato loro donato. Ciascun erede deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto e quelle di cui è debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione". I soggetti tenuti alla collazione sono individuati dall'art. 737 c.c. e sono: I figli e i loro discendenti ed il coniuge (non sono soggetti a collazione le donazioni di modico valore fatte al coniuge). 

Con la morte del testatore, i beni relitti vengono acquistati pro quota dagli eredi, tra i quali si forma una comunione ereditaria soggetta alla disciplina generale di cui agli artt. 1110 e ss c.c. Tale comunione, che potrebbe protrarsi anche a tempo indeterminato, si scioglie, previa domanda da parte di un coerede, con la divisione, atto mediante il quale ciascuno dei condividenti passa dalla titolarità di una “pars quota” alla titolarità di una “pars quanta” di pari valore, ottenendo l’assegnazione di uno o più beni determinati in proprietà esclusiva a fronte della quota di comproprietà vantata sulla massa indistinta. Questione rilevante nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale è quella della compatibilità tra mancanza di relictum e collazione. È discusso cioè se possa avere luogo la collazione anche quando manchi un relictum, vale a dire quando il de cuius abbia esaurito i suoi beni donandoli in vita o legandoli. Sul punto, la Corte di Cassazione (Cass., 6 giugno 1969, n. 1988) riteneva che l’obbligo alla collazione sorgesse automaticamente a seguito dell’apertura della successione e divenisse operante a seguito dell’accettazione dell’eredità, con la conseguenza che i beni donati concorressero alla formazione della massa ereditaria (da dividersi tra i soggetti tenuti alla collazione). Non avrebbe avuto rilevanza l’assenza di un relictum ereditario da dividere, potendo una comunione derivare soltanto dalla collazione delle donazioni. Il coerede donatario sarebbe stato dunque tenuto a conferire quanto ricevuto dal de cuius a prescindere dalla sussistenza di ulteriori beni relitti. 

Oggi tale orientamento sembra essere mutato (Cassazione civile sez. II, 21 dicembre 2021, n. 41132). La Cassazione ritiene che non possa esservi collazione se l’asse ereditario è stato esaurito con donazioni e/o legati. Se viene a mancare un relictum da dividere non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo sempre l’esito dell’eventuale azione di riduzione.

"La collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l’asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, viene meno un “relictum” da dividere, sicché non vi è luogo a divisione e, quindi, a collazione che non potrebbe essere invocata neppure per effetto dell’eventuale azione di riduzione che mira unicamente a far ottenere al legittimario, titolare di un diritto proprio, riconosciutogli dalla legge, l’integrazione della quota di riserva spettantegli e non già la costituzione di una comunione tra coeredi".

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La violazione del diritto alla bigenitorialità da parte di un genitore non comporta la decadenza dalla responsabilità genitoriale.

La violazione del diritto alla bigenitorialità da parte del genitore che ostacoli i rapporti del figlio con l’altro genitore, e la conseguente necessità di garantire l’attuazione di tale diritto, non impongono necessariamente la pronuncia di decadenza del genitore malevolo dalla responsabilità genitoriale e l’allontanamento del minore dalla sua residenza, ma è necessario verificare, nell’interesse del minore, la possibilità che tale rimedio incontri, nel caso concreto, un limite nell’esigenza di evitare un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del figlio, in conseguenza della improvvisa e radicale esclusione di ogni relazione con il genitore con il quale ha sempre vissuto, coltivando i propri interessi di bambino, e della correlata lacerazione di ogni consuetudine di vita. 

(Cassazione civile, sez. I, ordinanza 24 marzo 2022, n. 9691)

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Sì al mantenimento alla madre anche se il figlio va a vivere con il padre.

Secondo la Cassazione, è legittimata la madre che agisce per il mantenimento del figlio, anche se questi vive con il padre e se agisce esecutivamente, in base al titolo formatosi in sede di separazione, il marito obbligato può opporsi in sede di modifica delle condizioni di separazione o divorzio se fa valere il fatto sopravvenuto della convivenza con il figlio.

I fatti sopravvenuti, ovvero il fatto che il figlio sia andato a vivere con il padre, potevano quindi essere fatti valere dal marito per ottenere la modifica delle condizioni della separazione o del divorzio, non in sede di opposizione all'esecuzione, dove si possono far valere solo questioni che riguardano la validità e l'efficacia del titolo e non i fatti sopravvenuti.

(Cassazione n. 37244/2021)

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Sì all’assegno divorzile in Se la sproporzione economico-patrimoniale tra le parti è riconducibile alle scelte di conduzione familiare condivise in costanza di matrimonio.

Se la sproporzione economico-patrimoniale tra le parti è riconducibile alle scelte di conduzione familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio ed ha comportato il sacrificio delle aspettative professionali dell'ex coniuge, a quest’ultimo deve essere riconosciuto l’assegno divorzile.

(Cass. Civ., Sez. VI - 1, Ord., 05 aprile 2022, n. 11044)

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Cassazione: si all'adozione ad opera del coniuge della madre anche se il padre biologico è ancora in vita.

La Corte d’appello di Bologna, identificando nella morte del padre biologico o nella decadenza dalla responsabilità o palese disinteresse dello stesso i presupposti dell’adozione in casi particolari ad opera del coniuge della madre, la nega al richiedente per la persistenza di un valido rapporto tra il padre e la minore e per la non praticabilità di una responsabilità genitoriale divisa tra tre persone. 

L’interessato ricorre, rilevando che la responsabilità genitoriale competerebbe solo alla madre e all’adottante e che il padre biologico conserverebbe una mera funzione di controllo, nonché affermando che il principio sulla base del quale l’adozione deve o meno essere disposta consiste nella realizzazione dell’interesse del minore, che nel caso concreto risulta dagli atti. Infine, afferma la contraddittorietà della motivazione della sentenza oggetto di gravame. 

La Corte di legittimità, ritenuti fondati i motivi, accoglie il ricorso, affermando che l’idea che il minore possa avere una sola famiglia è smentita dalla riforma della filiazione.

(Cassazione civile, sez. I, ordinanza 5 aprile 2022, n. 10989)

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Separazione dei coniugi: Il diritto di difesa in giudizio prevale sulla tutela della privacy

Con la Sentenza n. 4296 del 18.03.2022, la I Sezione Civile del Tribunale di Roma ha pronunciato separazione personale tra una coppia di professionisti con due figli maggiorenni, affrontando numerose tematiche di diritto sostanziale e processuale.

In particolare, in materia di prova dell’infedeltà coniugale ai fini dell’addebito, il Tribunale ricordava che la produzione in giudizio, da parte di un coniuge, di messaggi WhatsApp presenti sul cellulare dell’altro non viola la normativa sulla privacy, poiché essa “non trova applicazione in generale allorquando i dati personali, pur se non concernenti una parte del giudizio, vengano raccolti nell’ambito di un processo, laddove è il diritto di difesa, esercitato in maniera pertinente e non eccedente le sue finalità, a prevalere, con le forme stabilite dal codice di rito (vedi Cass. civ. SU 3034/11, Cass. civ. 18279/10, 7783/14)”.

Sempre in relazione alla prova dell’addebito, il giudice ricorda che: “le riproduzioni fotografiche, informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. (tra cui gli “sms” e le “emails”) formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotte non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (vedi Cass. civ. 11606/2018, 5141/2019) in modo circostanziato e specifico, mediante l’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta (vedi tra le altre Cass. civ. 1250/18, 2117/11, 17526/16)”.

La pronuncia in esame presenta ulteriori questioni interessanti, in materia di onere della prova dell’infedeltà coniugale - con riferimento anche all’attendibilità dei testi – nonché in materia di prova delle condizioni economiche del coniuge economicamente più debole tramite facta concludentia di quello più forte, di raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli maggiorenni e di procedibilità delle domande di risarcimento per danno da illecito endofamiliare (in particolare il cd. per mobbing coniugale).

Pertanto, si invita alla lettura dell’intero provvedimento.

Trib. Roma, Sez. I, Sent. 18.03.2022, n. 4296 (testo completo)

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Il concorso tra la violenza sessuale e la violenza privata.

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 3706 del 2 febbraio 2022), il delitto di violenza privata non concorre con quello di violenza sessuale quando la violenza fisica o morale è del tutto strumentale rispetto al compimento degli atti sessuali e non rappresenta un quid pluris de eccede il compimento dell'attività sessuale coatta. Quando invece, dalla ricostruzione dell'accaduto, la violenza privata risulta del tutto sganciata dalla commissione del delitto di violenza sessuale, i reati possono concorrere: nel caso in cui, infatti, la realizzazione del fatto di violenza privata non sia stata strumentale rispetto al compimento degli atti sessuali ma abbia una propria autonomia fattuale, non è possibile accertare l'assorbimento di tale delitto in quelli ex art. 609-bis c.p.

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L'accordo tra i genitori esclude il mantenimento ai figli? Il giudice non è vincolato.

Anche in presenza di un accordo che non preveda la corresponsione di somme destinate al mantenimento della prole, i giudici di merito, ritenendo tale mancata pattuizione in contrasto con l’interesse dei minori, possono porre a carico del genitore non collocatario l'assegno di mantenimento in favore dei figli.

La tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta quindi all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli e di esercitare, in deroga alle regole generali sull’onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della condizione economica e reddituale delle parti.

(Cassazione civile, sez. VI, sentenza 22 febbraio 2022, n. 5777)

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Obbligare la propria moglie a indossare il velo islamico è reato.

Il Tribunale di Lecce, con la sentenza n. 531 del 23 febbraio 2022, ha statuito su un caso che riguardava un imputato di origini marocchine e di religione musulmana, che si era coniugato con una donna di origini marocchine, ma cittadina italiana in quanto nata e cresciuta in Italia. Immediatamente dopo il matrimonio l'imputato avrebbe manifestato un atteggiamento minaccioso, vessatorio e aggressivo nei confronti della moglie, impedendole di uscire e umiliandola fisicamente e verbalmente. Tra le altre condotte sottoposte al vaglio del Tribunale, l’imputato avrebbe obbligato la donna ad indossare il velo islamico. 

Con la sentenza in parola, il Tribunale condannava l'imputato alla pena di anni 5 di reclusione e al risarcimento del danno pari a 50.000 euro in favore della parte civile, stabilendo che “l'imposizione del velo islamico ad una sposa nata e cresciuta in un paese democratico è maltrattamento” e che l'imputato “non potrà invocare le differenze culturali e religiose per scriminare comportamenti incompatibili con il diritto italiano perché ha scelto di vivere in Italia, dove assume centralità il rispetto della persona umana ai sensi dell'art. 3 Cost., affinché sia consentita l'instaurazione di una società civile multietnica”. Dunque, “il reato in esame non può essere escluso dalla circostanza che il reo sia di religione musulmana e rivendichi, per ciò, particolari potestà quale capo del proprio nucleo familiare, in quanto trattasi di concezioni che si pongono in assoluto contrasto con le norme cardine che informano e stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano”. Rispetto al necessario adeguamento ai valori del Paese ospitante, il Tribunale ricordava come “chi trasferisce la propria residenza in un paese estero con pretese di cittadinanza, magari per affrancarsi da condizioni originarie di povertà o persecuzione, deve sapere che dovrà rispettare la legge del popolo di arrivo e non potrà in nessun modo ipotizzare di comportarsi come le leggi o gli usi e le consuetudini dello Stato di origine consentivano, tantomeno per ragioni religiose in un luogo dove è riconosciuta la libertà di culto”.

La Sentenza in questione è disponibile, in consultazione, al seguente link.


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Revocato mantenimento al figlio maggiorenne non indipendente se ha una borsa di studio

Lorenzo Mariani

Con Ordinanza del 01.03.2022, la Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma ha deciso in merito a una domanda di modifica dei provvedimenti presidenziali di separazione formulata dal marito, il quale chiedeva revocarsi il mantenimento per la moglie e i due figli maggiorenni.

Il giudice non ha ritenuto di poter abbattere l’assegno di mantenimento per la signora, in quanto le dimissioni di due dipendenti dalla azienda di cui era titolare il marito non dimostrano l’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche.

Ha ritenuto però di dover revocare l’assegno di mantenimento per uno dei figli maggiorenni della coppia.
Il giovane, sebbene non economicamente indipendente – come specifica il giudicante stesso – ha comunque una consistente borsa di studio e frequenta l’università all’estero. Non risulta dagli atti che egli abbia esigenze economiche che non possa coprire col suddetto importo e, allo stesso modo, non vi sono spese ulteriori che la madre debba affrontare per lui, circostanza ritenuta dal giudice indispensabile per prevedere l’assegno.

Similmente, il giudice ha ritenuto di dover ridurre il mantenimento per l’altro figlio in quanto assunto con contratto di apprendistato da un’azienda.

 

Per il Tribunale di Roma, dunque, la raggiunta autosufficienza economica del figlio maggiorenne non è una condicio sine qua non per la perdita del diritto all’assegno di mantenimento: la prestazione può essere revocata – quantomeno temporaneamente - anche se il beneficiario percepisce una diversa somma che copra tutte le sue esigenze e, allo stesso tempo, non vi siano spese ulteriori che il genitore convivente debba sostenere per lui.

Quanto al (ridotto) assegno per il fratello, è stata confermata la sua corresponsione nelle mani della madre.

Ciò, in applicazione di un principio consolidato nella giurisprudenza: per quanto il genitore convivente e il figlio maggiorenne siano titolari di diritti autonomi e concorrenti e siano entrambi legittimati a percepire il menzionato assegno, è comunque necessario che sia il figlio stesso a proporre autonoma domanda di mantenimento diretto, poiché la decisione del giudice non può sottrarsi al principio della domanda. (vedi Cass. civ. 34100/2021; Cass. civ. 25300/2013).

Ancora, va notato che il giudice ha espressamente indicato che le nuove statuizioni economiche sono vigenti a far data dal dicembre 2021, a implicita qualificazione delle somme già versate come ripetibili.

Trib. Roma, Sez. I, 01.03.2022 (testo completo)

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I limiti al diritto di controllo del socio della SRL ex art. 2476 c. 2 cc

Il diritto del socio (anche di minoranza) della srl, di ottenere informazioni sugli affari della società e di prendere visione della documentazione societaria, trova alcuni limiti nel necessario contemperamento con altri beni giuridici ugualmente meritevoli di tutela.

Si veda Trib. Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 21.12.2017

Esula dall'ambito garantito dall'art.2476 c. 2, c.c. la reiterata richiesta di informazioni all'organo gestorio tale da ostacolare la gestione corrente degli affari sociali, dovendo prevalere, nel giudizio di contemperamento delle opposte esigenze private, quella di assicurare l'ordinata e serena gestione dell'attività sociale.


E ancora, Trib. Milano, Sez. spec. in materia di imprese, 20.07.2017

Il diritto del socio di s.r.l. di consultare la documentazione sociale, sancito dall'art. 2746, c. 2, c.c., deve essere contemperato con le esigenze della società meritevoli di tutela in ordine alla riservatezza dei dati sociali, alla stregua del principio di buona fede, la cui applicazione al rapporto sociale comporta che l'accesso del socio possa essere limitato ai soli documenti per i quali lo stesso dimostri uno specifico ed attuale interesse alla consultazione.

Cfr. Trib. Bologna, 06.12.2006, per cui l'unico limite al diritto di controllo ex art. 2476 c. 2 cc  è il canone della buona fede.

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No al vaccino anti-covid per i figli minorenni se uno dei due genitori è contrario

Il Tribunale di Pistoia, con il provvedimento del 4 marzo 2022, rigetta il ricorso di una madre che voleva far vaccinare contro il covid i tre figli, due dei quali infradodicenni.
Il giudice accoglie invece l'opposizione del padre, ritenendo che il superiore interesse dei minori, in campo medico, debba essere perseguito anche alla luce del principio di precauzione. 

Per il Tribunale, non risponderebbe al principio di prudenza somministrare un trattamento sanitario di cui non si conoscono gli effetti collaterali a breve e a medio-lungo termine, a fronte di rischi medici da ritenersi remoti per la fascia d’età considerata.

Si tratta di una pronuncia dissonante rispetto alla quasi totalità della giurisprudenza sul punto, per la quale, infatti, è da considerarsi prevalente l'interesse alla salute del minore, da garantire attraverso la vaccinazione anti-covid. In taluni casi, i Tribunali hanno persino autorizzato uno dei genitori alla vaccinazione contro il parere del minore ultradodicenne (cfr. Tribunale di Milano, Sez. IX, 22.11.2021).

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Non coercibile il diritto dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario.

In tema di rapporti con la prole, il diritto dovere di visita del figlio minore spettante al genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione neppure nelle forme indirette previste dall'art. 614 bis c.p.c., trattandosi di un "potere-funzione" che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709 ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio quale esito di autonome scelte che rispondono anche all'interesse superiore del minore ad una crescita sana ed equilibrata. 

(Cassazione civile, sez. I, ordinanza 4 marzo 2022, n. 7262)

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Bonus bebè e assegno di maternità anche agli stranieri regolari.

Con la sentenza n. 54 del 2022, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 31 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 34 CDFUE, così come concretizzato dal diritto europeo secondario, dell’art. 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014, nella formulazione antecedente alle modificazioni introdotte dall’art. 3, comma 4, della legge n. 238 del 2021, e dell’art. 74 del d.lgs. n. 151 del 2001, nel testo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 3, comma 3, lett. a), della legge n. 238 del 2021, nella parte in cui escludono dalla concessione – rispettivamente – dell’assegno di natalità (c.d. bonus bebè) e dell’assegno di maternità i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi nello Stato a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale e i cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002, poiché, nel condizionare il riconoscimento dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità alla titolarità di un permesso di soggiorno in corso di validità da almeno cinque anni, al possesso di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e alla disponibilità di un alloggio idoneo, il legislatore ha fissato requisiti privi di ogni attinenza con lo stato di bisogno che le prestazioni in esame si prefiggono di fronteggiare.

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La legittimazione alla presentazione di proposte concorrenti nell’ambito di procedure di concordato preventivo.

Nel caso in cui un terzo, che non sia operatore finanziario specializzato, proceda all’acquisto a titolo oneroso di crediti, per un ammontare idoneo a consentirgli la formulazione di proposte concorrenti, non può considerarsi violata la riserva di attività finanziaria stabilita dall’art. 106 T.U.B., né può conseguentemente affermarsi la nullità dei relativi contratti di cessione dei crediti.

Nel caso specifico, tutto ha inizio dal deposito, nell’ambito di una procedura concordataria, di una proposta concorrente ex art. 163 l. fall. da parte di (OMISSIS) S.r.l. In relazione a tale proposta concorrente il debitore (OMISSIS) S.r.l. aveva eccepito il difetto di legittimazione per effetto di una asserita nullità virtuale dei quattro contratto di cessione dei crediti conclusi da (OMISSIS) S.r.l. per contrarietà a norma imperativa degli stessi, sul rilievo che la società proponente, attraverso la stipulazione di detti contratti, avrebbe posto in essere una serie di operazioni qualificabili come attività, nei confronti del pubblico, concessione di finanziamento ex art. 2/I lett. e) D.M. 53/2015, cui si sarebbe stato applicabile il disposto dell’art. 106, comma 1, T.U.B. che riserva, in via esclusiva, l’esercizio di simili attività a intermediari autorizzati iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.

In relazione a tale tesi, il Tribunale di Padova confermava la legittimazione di (OMISSIS) S.r.l. alla presentazione di proposte concorrenti ritenendo, quindi, non fondata l’eccezione avversaria sul presupposto che la riserva di attività finanziaria stabilita dall’art. 106 T.U.B. non rilevava nel caso di specie in quanto (i) il creditore proponente (OMISSIS) S.r.l. aveva stipulato contratti di cessione di crediti non verso terzi indifferenziati ma nei confronti di un insieme ben definito di soggetti, e (ii) anche ove si volesse ritenere violata la riserva di cui all’art. 106 T.U.B. e, quindi, nulli i contratti di cessione dei crediti, “nei casi in cui un terzo proceda ad un acquisto a titolo oneroso di crediti per un ammontare idoneo a consentirgli la formulazione di proposte concorrenti, tale interpretazione si porrebbe in insanabile contrasto con il precetto di cui all’art. 163/TV lf (oltre che con la previsione del nuovo C.C.I.) in quanto lo svuoterebbe completamente di significato, a meno di non ritenere che a tale iniziativa siano legittimati esclusivamente le banche e gli intermediari autorizzati, con il risultato tuttavia di limitare irragionevolmente … la platea dei terzi legittimati alla formulazione di proposte concorrenti”.

(Trib. Padova, 2 aprile 2021, Pres. G.G. Amenduni – Rel. M. Sabino)

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Ammonimento e indagine sui conti correnti per la madre sospettata di mal gestire il mantenimento della figlia

Lorenzo Mariani

Con provvedimento del 15.12.2021, comunicato il 22.02.2022, la Sezione Famiglia del Tribunale di Roma ha assunto delle interessanti misure provvisorie in un sub-procedimento per modifica delle condizioni di divorzio, introdotto su istanza dell’ex marito.

L’istanza era volta a condannare la madre, beneficiaria dell’assegno di mantenimento per la figlia minore, a contribuire a una polizza in favore della bambina già stipulata dal padre.

Ancora, il ricorrente chiedeva di ottenere – come supplemento di attività istruttoria nel giudizio di divorzio principale - l’accesso alle banche dati degli istituti di credito dove la resistente risultava avere dei conti correnti non dichiarati, secondo un’indagine effettuata dall’Agenzia delle Entrate.

Il giudice riteneva di non poter imporre alla resistente degli obblighi di contribuzione alla polizza contratta dal ricorrente, in quanto atto di autonomia privata.

Riteneva però di dover ammonire la madreall’utilizzo delle somme ricevute dal sig. C per il mantenimento della figlia per le finalità di cura e tutela della figlia stessa, pena ogni possibile diverso provvedimento in tema di affido e mantenimento della minore e possibile invio degli atti alla Procura (in relazione al contegno della madre, ove violativo degli obblighi di mantenimento e assistenza materiale nei confronti della figlia)”.

Infatti - ricordava il giudicante - nel mantenimento per la minore dovevano rientrare anche le spese per l’appartamento in cui la stessa viveva in locazione con la madre, spese cui “peraltro deve provvedere anche la madre della minore con le risorse attuali o potenziali derivanti dalla sua capacità
di lavoro

E invero risultava incontestato che la signora avesse subìto un pignoramento per canoni locatizi non versati, nonostante l’ingente mantenimento corrispostole dall’ex marito a tale scopo.

Inoltre, viste le apparenti irregolarità riscontrate dall’Agenzia delle Entrate, il giudice autorizzava anche l’indagine suppletiva sulle posizioni bancarie della signora, incaricando il ricorrente stesso di provvedere in tal senso.

Il provvedimento in parola, assunto in seguito a trattazione scritta dell’udienza, rinviava poi ogni altra determinazione a successiva udienza da tenersi in persona.

Trib. Roma, Sez. I, 15.12.2021-22.02.2022 (testo completo)

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Dichiarazione di adottabilità: la Cassazione fornisce ulteriori chiarimenti in proposito.

La Cassazione (con ordinanza n. 3246 del 2 febbraio 2022) si è espressa nuovamente in merito alla dichiarazione di adottabilità, precisando che, da un lato, la dichiarazione di adottabilità del minore si pone come extrema ratio a fronte del prioritario diritto fondamentale del figlio di vivere con i suoi genitori e ad essa si può ricorrere solo nei casi in cui la famiglia di origine non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie; dall’altro, non può essere censurato in sede di legittimità, se non in caso di assenza di motivazione logica ed adeguata, il complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo in relazione al sussistente stato di abbandono morale e materiale che determina l’adottabilità.

(Cass. civ., sez. I, ordinanza 2 febbraio 2022, n. 3246)

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Nella quantificazione dell'assegno divorzile non vanno considerate le elargizioni temporanee e provvisorie dei genitori del coniuge obbligato.

La Suprema Corte ha chiarito che, ai fini della determinazione dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve essere esclusa la rilevanza dell'entità dei patrimoni delle famiglie di appartenenza ovvero del loro apporto economico ai coniugi, in quanto trattasi di ulteriore criterio non previsto dalla L. n. 898 del 1970, articolo 5.

Ai fini della quantificazione dell'assegno di divorzio, nella determinazione delle rispettive condizioni economiche dei coniugi, non devono essere ricompresi le elargizioni temporanee e provvisorie dei genitori del coniuge obbligato.

(Cassazione civile ordinanza n. 6105 2022)

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Revisione dell’assegno di divorzio.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1983 del 24 gennaio 2022, ha nuovamente affrontato il tema della revisione dell’assegno divorzile. Ha chiarito anzitutto che ai sensi del citato art. 9 “il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno” e ha poi aggiunto che non può costituire un elemento di fatto valorizzabile ai fini della revisione un sopravvenuto mutamento giurisprudenziale.

Per la Corte, infatti, attribuire alla formula dei “giustificati motivi” un significato che includa anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avvallata dal diritto vivente giurisprudenziale è un’operazione esegetica non percorribile. I giustificati motivi sopravvenuti possono consistere, pertanto, soltanto in oggettivi mutamenti delle situazioni patrimoniali delle parti.

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Azienda facente parte del patrimonio ereditario e lo sfruttamento diretto da parte degli eredi.

Lo sfruttamento da parte di uno o più eredi dell'azienda facente parte del compendio ereditario, stante il fine lucrativo dell'attività imprenditoriale, non costituisce mera amministrazione dei beni ereditari, ma esercizio dell'impresa in forma individuale o societaria (anche di fatto) con conseguente da parte degli eredi della responsabilità relativa ai debiti contratti nell'esercizio dell'attività, senza che rilevi la qualità successoria o trovino applicazione le correlate limitazioni di responsabilità.

(Cass. civ., sez. lav., 2 novembre 2020, n. 24197)

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Imposta di successione e il trust.

L'istituzione di un trust ed il conferimento in esso di beni che ne costituiscono la dotazione sono atti fiscalmente neutri: non danno luogo infatti ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza, ad un incremento del patrimonio del trustee, che acquista solo formalmente la titolarità dei beni per poi trasferirla al beneficiario finale. Pertanto non sono soggetti all'imposta sulle successioni e donazioni, che sarà dovuta, invece, al momento del trasferimento dei beni o diritti dal trustee al beneficiario.
(Cass. civ., sez. V, 24 dicembre 2020, n. 29507)

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Non è inadempiente il coniuge che pignora il conto corrente su cui versa l'assegno di mantenimento all'altro

Col decreto del 27.01.2022, comunicato il 01.02.2022, la Sezione I del Tribunale di Roma si è pronunciata sull'ammissione dei mezzi istruttori proposti dalle parti in un giudizio di divorzio, risolvendo alcune interessanti questioni giuridiche.

Per il Tribunale, la domanda del coniuge beneficiario del mantenimento di disporre in via d’urgenza una trattenuta sullo stipendio del coniuge onerato, pari al valore della sommatoria degli assegni di mantenimento, con decorrenza da un periodo antecedente alla domanda, è inammissibile, atteso che, per come formulata, esula dai poteri del GI (apparendo finalizzata al recupero coatto di mensilità pregresse e non al versamento diretto di quelle future) e, ove riferita agli assegni futuri da corrispondere, difetta del presupposto dell’inadempimento, il quale non può ritenersi integrato solo perché il conto corrente del beneficiario, su cui l'onerato bonifica l’assegno, è sottoposto a pignoramento presso terzi.

Inoltre, è ammissibile l'audizione del figlio maggiorenne (beneficiario dell’assegno, perciò da ritenersi allo stato economicamente non autosufficiente con conseguente parifica, dal punto di vista economico, al minore), in merito alle attività lavorative dallo stesso svolte e ai relativi redditi ritratti nonché al suo percorso scolastico.

Mentre è ultronea e inammissibile l'audizione del figlio nonché, in subordine, l’escussione dello stesso a testimone in merito alla sua “disponibilità” a ricevere il versamento diretto dell’assegno, atteso che la relativa statuizione, in difetto di accordo delle parti, richiede una espressa domanda del figlio mediante l’intervento dello stesso in giudizio, a tal fine consentitogli.

Trib. Roma, Sez. I, 01.02.2022 (testo completo) 

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L'assegno divorzile e il contributo fornito dall’ex coniuge nella realizzazione della vita familiare

All'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

(Cass. Civ., Sez. VI - 1, Ord., 17 gennaio 2022, n. 1201)


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La pendenza di un procedimento per ordini di protezione contro gli abusi familiari non sospende quello per reintegrazione del possesso sulla casa coniugale

Con Ordinanza del 12.01.2022, pubblicata il 13.01.2022, la VII Sezione Civile del Tribunale di Roma ha definito un procedimento di reintegrazione del possesso ex artt. 1168 cc e 703 cpc, relativo a un immobile adibito a casa coniugale, azionato dal marito avverso la moglie.

Preliminarmente, in merito all’eccezione di sospensione per pregiudizialità ex art 295 cpc sollevata dalla donna sulla base della pendenza di un procedimento per ordini di protezione contro gli abusi familiari a carico del marito, il giudice ha chiarito che: “non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità necessaria tra il presente giudizio e quello promosso dalla resistente ex artt. 342 bis e ter c.c.; differenti sono i presupposti, come non vi è necessaria coincidenza nel contenuto delle statuizioni invocate, considerato, vieppiù, che la decisione del presente procedimento non pregiudica l’altro”.

Nel merito, il Tribunale ha specificato che il ricorrente ha diritto a rientrare in possesso dell’immobile indipendentemente dal fatto che sia stato cacciato dalla moglie (come da lui sostenuto) ovvero si sia allontanato volontariamente (come asserito dalla moglie convenuta in giudizio).

Ciò in quanto risultava pacifico che egli volesse fare ritorno nella casa e la resistente vi si fosse opposta, avendo cambiato la serratura di ingresso all’immobile inteso sostituire al compossesso del ricorrente un proprio esclusivo possesso.

È poi irrilevante il fatto che, all’anagrafe, l’uomo risulti residente in un altro luogo: l’immobile di cui è stato spossessato è pacificamente adibito a casa coniugale, secondo il concetto di “residenza della famiglia”. Quest’ultimo non coincide con quello di “residenza anagrafica” ma costituisce il luogo in cui le parti hanno fissato la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa, come dispone l’art. 143 del Codice Civile.

In definitiva, la moglie va condannata a reintegrare il marito nel possesso dell’appartamento in esame, avendovi entrambi i coniugi esercitato una forma di compossesso che ha trovato titolo nel vincolo matrimoniale e che si è estrinsecata con la coabitazione presso l’appartamento medesimo.

Trib.Roma, Sez. VII, ord. 13.01.2022 (testo completo)


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Decorrenza dell'assegno di mantenimento in caso di separazione consensuale.

L'assegno di mantenimento a favore del coniuge, fissato in sede di separazione personale consensuale in omologa di accordo che non ne preveda la decorrenza, è dovuto, sia pure a condizione che l'omologa intervenga e non disponga diversamente, fin dal momento del deposito del ricorso per separazione e non solo dalla data di pronuncia dell'omologa.

(Cassazione civile sentenza n. 41232/2021)

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Se il figlio maggiorenne non riesce a reperire un'occupazione stabile non può continuare a fare affidamento a vita sull'aiuto dei genitori.

Per la Cassazione, se il figlio maggiorenne non riesce a reperire un'occupazione stabile, che gli consente di essere economicamente indipendente, spendendo il titolo professionale conseguito, non può continuare a contare sul mantenimento dei genitori, ma deve fare affidamento ad altri strumenti sociali di ausilio e di sostegno al reddito, fermo restando l'obbligo alimentare da azionare in ambito familiare per soddisfare le primarie necessità di vita.

(Cassazione n. 38366/2021)

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Accordi relativi alla frequentazione dei figli e la facoltà del giudice di discostarsi dalla volontà dei genitori.

A norma dell’art. 337 ter, comma 1 c.c., i provvedimenti relativi alla prole sono adottati dal Giudice “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. In continuità con tale regola, è previsto che lo stesso giudice prenda atto degli accordi intervenuti tra i genitori “se non contrari agli interessi dei figli”. 

Con riferimento all'interesse della prole e alla conseguente facoltà del giudice di discostarsi dalla volontà dei genitori, specificamente riconosciuta con riguardo agli accordi tra questi intercorsi, il Giudice ben può disattendere le concordi conclusioni rassegnate dai genitori quando le stesse veicolino soluzioni - quanto alle frequentazioni dei figli - che risultino non rispettose delle esigenze dei minori.

(Cass. Civ., Sez. VI-1, ord. 1 dicembre 2021, n. 37790)

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Affidamento dei figli minori: la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito sono discrezionali.

In materia di affidamento dei figli minori, il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio primario dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando il genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. 

La scelta va operata sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riferimento alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore. 

La valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito è quindi discrezionale e la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità.

(Cass. Civ., Sez. I, ord. 26 novembre 2021 n. 36989)

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Tribunale di Roma: decadenza della responsabilità genitoriale e divieto di avvicinamento per il genitore che si disinteressa completamente del figlio

Lorenzo Mariani 

Con il Decreto del 12.11.2021, pubblicato il 24.11.2021, la Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma ha deciso su un ricorso per l’affido dei minori nati fuori dal matrimonio con contestuale richiesta di ordine di protezione.

Il ricorso veniva presentato da una donna che aveva avuto un figlio con un uomo di origine straniera, conosciuto presso uno SPRAR dove la stessa lavorava come mediatrice socio-culturale. Nel corso della relazione, l’uomo aveva avuto condotte estremamente violente contro la ricorrente, anche alla presenza del figlio minore del bambino, oltre ad essersi allontanato dal nucleo familiare a più riprese per recarsi all’estero, dove aveva anche subìto una condanna per tentato omicidio.    
Il Tribunale disponeva immediatamente e inaudita altera parte la sospensione di tutti gli incontri tra padre e figlio e il divieto di avvicinamento entro 300 metri.
Questo provvedimento veniva poi confermato dal PM e mantenuto nelle more del procedimento, dove il resistente rimaneva contumace.
Il Tribunale disponeva in corso di causa l’affido super-esclusivo del minore alla madre e veniva aperto un sub-procedimento per l’assunzione di provvedimenti de potestate.

Il giudizio si è concluso con il Decreto in parola, che ha confermato le disposizioni di allontanamento e divieto di incontri, pronunciando altresì la decadenza della responsabilità genitoriale del padre.

Al di là delle violenze di cui ai provvedimenti cautelari, la decadenza della responsabilità genitoriale è stata motivata sulla base del disinteresse sistematico e totale del padre verso il figlio.

Infatti:
merita di essere accolta la domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale [del padre] sul figlio minore, stante il contegno di sistematico, reiterato e protratto disinteresse dallo stesso serbato nei confronti dei bisogni materiali, affettivi, educativi e relazionali del figlio minore al cui mantenimento, peraltro, non ha mai contribuito.

Dalla relazione del Servizio Sociale che è riuscito a contattare telefonicamente il resistente emerge che lo stesso (il quale riferisce di vivere e lavorare a Trieste) nel corso del colloquio telefonico con l’assistente sociale non ha mai parlato né chiesto del bambino, limitandosi ad affermare che il presente procedimento “è sbagliato e non vale per lui” e la madre di suo figlio non vuole dare i documenti per rinnovare il suo permesso di soggiorno; che, inoltre, lui è in possesso solo del recapito telefonico di servizio della [madre] e si rifiuta di chiamarla a quel numero. 
Dalla medesima relazione emergono, di contro, il buon rapporto madre-figlio, recentemente trasferitisi in un’abitazione di più ampie dimensioni, ma soprattutto la serenità e tranquillità [del minore], tanto che lo stesso Servizio ha concluso evidenziando che non sono necessari interventi di sostegno a favore
del nucleo madre-figlio e ha proposto l’avvio di incontri protetti padre-figlio
solo ove il padre ne faccia espressa richiesta.

Trib. Roma, Sez. I, 24.11.2021 (testo completo) 


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Primo via libera al suicidio assistito per un malato italiano

Mario (nome di fantasia), 43 anni, ex camionista tetraplegico da dieci anni in seguito un incidente, è il primo malato in Italia a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito.
Il comitato etico dell'Asl delle Marche (Asur) ha infatti attestato che Mario  possiede i requisiti per l'accesso legale a tale opzione.

Si tratta del primo caso in Italia dopo la Sentenza della Corte Costituzionale 25 settembre - 22 novembre 2019, n. 242,  cd.  "Sentenza Cappato-Dj Fabo", che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 580 cp ( Istigazione o aiuto al suicidio) "nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) - ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione -, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente".

Il parere del comitato etico era, appunto, l'ultimo requisito necessario al quarantatreenne per ottenere il via libera al suicidio assistito, che avverrà attraverso l'assunzione di un farmaco. 

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Divorzio e mantenimento dei figli: le spese di valore inferiore ai 50 euro vanno considerate spese ordinarie

Giudice di Pace di Roma, Sez. I, Sent. n. 23618 del 10.11.2021

"In relazione alla natura di spesa straordinaria, occorre precisare che, secondo il suo comune significato, deve trattarsi di spesa non ordinaria e di una entità economicamente rilevante al fine di poter essere considerata tale; in tal senso devono considerarsi spese ordinarie, ricompresi negli obblighi di mantenimento e comunque qualificabili come donazioni manuali (laddove il mantenimento fosse a carico dell'altro coniuge), tutte le spese per somme inferiori a 50 euro. "



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Dichiarazione di adottabilità di un figlio minore: consentita solo in presenza di fatti gravi.

Il ricorso alla dichiarazione di adottabilità di un figlio minore, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 15, è consentito solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, a norma dell'art. 8 della stessa legge, che devono essere specificamente dimostrati in concreto, e dei quali il giudice di merito deve dare conto nella decisione, senza possibilità di dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale, seppure formulati da esperti della materia, non basati su precisi elementi fattuali; in forza della normativa espressa dall'art. 7 della Carta di Nizza, art. 8 della CEDU e art. 18 della Convenzione di Istanbul, e delle pronunce della Corte EDU in materia, una pronuncia di stato di abbandono di un minore, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, non può essere in alcun caso fondata sullo stato di sudditanza e di assoggettamento fisico e psicologico in cui versi uno dei genitori, per effetto delle reiterate e gravi violenze subite dall'altro.

(Cass. Civ., Sez. Unite, sent., 17 novembre 2021, n. 35110)

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Risvolti economici dell'assegnazione della casa coniugale.

L'assegnazione della casa familiare è provvedimento distinto da quelli strettamente economici e viene disposta in considerazione delle esigenze della prole. Tuttavia, è innegabile che essa possieda anche precisi risvolti di carattere economico, laddove incide sulla disponibilità di un cespite suscettibile di essere utilizzato direttamente, con risparmio di risorse, o di generare un reddito attraverso atti di disposizione negoziale. 

Per tali motivi, la Corte di Cassazione accolto il ricorso presentato da un padre: la Corte d’appello avrebbe dovuto infatti, d’ufficio, procedere alla rivalutazione del contributo di mantenimento a carico del padre fissato in primo grado, perché l’assegnazione della casa ha precisi risvolti economici.

(Cass. Civ., Sez. I, ord. 11 novembre 2021 n. 33606)

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Maestra condannata per maltrattamenti.

Una maestra in una scuola per l'infanzia è stata ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 572 c.p. per aver maltrattato i propri alunni, di età tra i tre e i cinque anni, in un arco temporale compreso tra il mese di ottobre 2014 ed il mese di marzo 2016, con atti sistematici e reiterati di violenza fisica e psicologica, tali da determinare sofferenze pregiudizievoli per il loro equilibrio psicofisico. 

La Suprema Corte ha ricordato che l'elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall'agente, in quanto l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è in nessun caso consentito. In alcuni arresti, specificamente riferiti ad insegnanti di piccoli allievi, si è puntualizzato che il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, che però in via ordinaria devono essere consentiti, individuabili, in via esemplificativa, nella esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, nella imposizione come obbligo di condotte riparatorie o nel ricorso assai mortificante a forme di rimprovero non riservate (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 11777 e Cass. Pen., Sez. III, 6 novembre 2018, n. 17810).

(Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 16 novembre 2021, n. 41745)

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Affidamento paritetico e mantenimento diretto.

Con provvedimento del 1° settembre 2021, il Tribunale di Perugia ha affermato che in conseguenza della collocazione paritetica del figlio minore presso ciascuno dei genitori è giustificata la previsione del mantenimento "in forma diretta" e, quindi, va revocato il contributo previsto a carico del padre ed in favore della madre.

(Tribunale di Perugia, 1° settembre 2021)

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Maltrattamenti in famiglia: è reato anche se gli atti lesivi si alternano con periodi di normalità.

Il concetto di maltrattamenti, pure non definito dalla legge, è integrato da una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell'integrità, della libertà, dell'onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima. Risultano, dunque, esclusi dalla nozione di maltrattamenti, in quanto non connotati da abitualità, soltanto gli atti episodici, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, che non siano riconducibili nell'ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, che conservano eventualmente, se ne ricorrono i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona (ingiurie, percosse, lesioni), già di per sé sanzionati dall'ordinamento giuridico. Né è necessario, ai fini della sussistenza del reato, un comportamento vessatorio continuo e ininterrotto giacché è ben possibile che gli atti lesivi si alternino con periodi di normalità nei rapporti di convivenza o familiari poiché l'intervallo di tempo tra una serie e l'altra di episodi offensivi non fa venir meno l'esistenza del delitto, venendo escluso l'elemento oggettivo del reato solo qualora, dal quadro probatorio, emerga la episodicità ed occasionalità degli atti di maltrattamento.

(Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 11 novembre 2021, n. 41053)

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Se il fatidico "si" non viene mai pronunciato, cosa succede ai doni fatti in vista del matrimonio?

Recentemente la Corte di Cassazione (con ordinanza n. 29980 del 25.10.2021) si è espressa sui cosiddetti agli immobili donati in vista di un matrimonio poi non celebrato.

Capita spesso che, in vista del futuro matrimonio, persone vicine ai fidanzati (o anche a uno di essi), come per esempio i genitori, acquistino o ristrutturino immobili da destinare alla famiglia che nascerà, così come è abbastanza comune che uno dei nubendi impieghi somme per acquistare o ristrutturare l'appartamento dell'altro, in vista del matrimonio. Tali donazioni prenuziali rientrano nel campo applicativo dell'art. 80 cc permettendo la restituzione del bene (o la revoca dell’atto) nei casi di rottura del fidanzamento. Proprio il mancato verificarsi del matrimonio rende restituibili tutti i beni donati dalle parti durante il fidanzamento, perché la causa di tale donazione (cioè il futuro matrimonio) non si è poi verificata. 

Ma che succede in caso di stipula di preliminare di vendita o un di un contratto definitivo di vendita? Secondo la Corte, nel primo caso, pur essendo parti formali del contratto preliminare il promittente venditore e uno dei due fidanzati, è in realtà un terzo (l’altro fidanzato/a oppure un parente) che, in vista del matrimonio, si obbliga a versare la somma per il bene da trasferire, donandolo così ad uno dei fidanzati. Venuto meno il matrimonio, quindi, il contratto preliminare non perde efficacia, ma il donante diverrà automaticamente parte del contratto quale promissario acquirente. 

Nel caso di stipula di un contratto definitivo, la Cassazione ribadisce l’inefficacia solo nel rapporto interno che lega il donante al donatario (cioè uno dei fidanzati), non anche invece in quello tra il venditore e l’acquirente sostanziale del bene. In pratica la restituzione dovrà essere attuata mediante retrocessione dell’immobile in capo al donante, in quanto acquirente in senso sostanziale. 

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Trasferimento all'estero al seguito del genitore collocatario: occorre operare un bilanciamento tra gli interessi coinvolti.

Nelle controversie nelle quali si discute del diritto del genitore affidatario di trasferire la residenza propria e del figlio all’estero, occorre operare un bilanciamento tra il suddetto diritto con il diritto del minore a conservare la bi-genitorialità, impegnando ciascun genitore a garantire la presenza dell’altro nella vita del figlio, salde relazioni affettive e una stabile consuetudine di vita. 

(Cassazione civile, sez. I, sentenza 11 novembre 2021, n. 33608)

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Formazione della massa ereditaria.

Nella formazione della massa ai sensi dell’art. 556 c.c., si detrae dal valore dei beni compresi nel relictum solo il valore dei debiti del defunto aventi esistenza attuale e certa nel patrimonio ereditario, fatta salva la reintegrazione della legittima, previa rettifica del calcolo, se il debito, inizialmente non detratto, sia venuto ad esistenza in un secondo momento. Pertanto, il debito derivante da fideiussione prestata dal de cuius è detraibile se e nella misura in cui sia dimostrata l'insolvibilità del debitore garantito o l'impossibilità di esercitare l'azione di regresso.

(Cass. Civ., Sez. II, Sent., 09 novembre 2021, n. 32804)

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Gli effetti della mancata audizione del genitore nel giudizio di primo grado relativo alla dichiarazione di adottabilità del minore.

La comparizione e audizione del genitore è un elemento ineludibile ed improcrastinabile del giudizio di primo grado innanzi al Tribunale per i Minorenni volto ad accertare le condizioni per la dichiarazione di adottabilità del minore, così come è necessaria l'integrazione del contraddittorio.

La mancanza di uno di questi elementi determina una lesione del diritto di difesa del genitore e conduce all'invalidità dell'intero giudizio.

(Cass. Civ., Sez. I, Ord. 9 novembre 2021 n. 32661)

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Comportamenti prepotenti ed aggressivi del padre: no all'affido condiviso.

Una spiccata conflittualità tra i genitori, accompagnata da comportamenti prepotenti ed aggressivi del padre e da una oggettiva difficoltà della madre, impedisce di optare per il regime di affidamento condiviso in quanto non rispondente all'interesse del figlio minore.

(Cass. Civ., Sez. VI-1, Ord. 8 novembre 2021 n. 32404)

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Se la ex convive con un altro non perde automaticamente il diritto all’assegno divorzile.

Secondo la Corte di Cassazione, l’instaurazione della convivenza non comporta l’automatica perdita del diritto all’assegno. L'assegno ha una duplice funzione: assistenziale e compensativa. Con l’instaurazione di una stabile convivenza viene meno la funzione assistenziale, perché «il nuovo legame, sotto il profilo della tutela assistenziale, si sostituisce al precedente», ma non la funzione compensativa, volta al riconoscimento del contributo fornito dal coniuge più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge, purché il beneficiario fornisca la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della rinuncia alle occasioni lavorative e dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. 

In definitiva, l’instaurazione di una stabile convivenza non influisce in alcun modo sulla corresponsione dell’assegno. Infatti, la creazione di una nuova famiglia può incidere sul riconoscimento del diritto all’assegno, sulla sua revisione e quantificazione, ma non ne determina la perdita automatica ed integrale. 

(Cass. S.U. 32198/2021)

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La Corte di Strasburgo condanna l'Italia per l'eccessivo formalismo richiesto dalla Cassazione.

La Corte di Strasburgo, con la sentenza del 28 ottobre 2021, ha condannato l'Italia a risarcire un cittadino che si è visto rigettare un ricorso in Cassazione per difetti di forma. Secondo la Corte di Strasburgo, la Corte ben poteva comprendere l'oggetto, lo svolgimento della controversia in sede di merito e tutto quanto occorreva per giungere a una decisione e, pertanto, la declaratoria d'inammissibilità pronunciata dalla Cassazione ha violato i principi del giusto processo sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo. 

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Revoca dell’ammissione dell’imputato minorenne alla messa alla prova e la sospensione del processo.

È inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso l’ordinanza che dispone la revoca dell’ammissione dell’imputato minorenne alla messa alla prova e la sospensione del processo, potendo detto provvedimento essere impugnato soltanto unitamente alla sentenza conclusiva del giudizio.

Il predetto art. 28 consente infatti il ricorso per cassazione soltanto nei confronti del provvedimento di ammissione e, a differenza di quanto disposto dall’art. 464-octies cod. proc. pen. per il procedimento a carico dei maggiorenni, prevede l’immediata ripresa del processo una volta venuta meno l’ordinanza di ammissione alla messa alla prova, senza esigere che la revoca sia divenuta definitiva.

(Cass. pen., sez. I, 6 novembre 2020, n. 31027)

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Successioni ereditarie: l'azione di riduzione.

In tema di azione di riduzione, l’omessa allegazione nell’atto introduttivo di beni costituenti il "relictum" e di donazioni poste in essere in vita dal "de cuius", ove la loro esistenza emerga dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione, dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l’attività di allegazione e di prova. 

Ne consegue che, ove il silenzio serbato in citazione sull’esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni sia dovuto al convincimento della parte dell’inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro della lesione della quota di riserva, il giudice non può solo per questo addivenire al rigetto della domanda, che è invece consentito se, all’esito dell’istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l’esistenza della dedotta lesione.

(Cass. civ., sez. II, 2 settembre 2020, n. 18199)

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Adempimento di crediti appartenenti al de cuius e l'azione di petizione di eredità.

In tema di divisione dell’asse ereditario, qualora l’erede convenuto, in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del "de cuius", chieda l’adempimento dei diritti di credito da questo vantati nei confronti di altro coerede, può esperire l’azione di petizione dell’eredità che, ai sensi dell’art. 533 c.c., consente di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore, assumendo natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria.

(Cass. civ., sez. VI, 24 settembre 2020, n. 20024)

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Minore straniero non accompagnato e la protezione internazionale.

Il diritto del minore straniero non accompagnato alla più incisiva protezione internazionale non può proiettarsi oltre il compimento della maggiore età. Ne consegue, sul piano processuale, che se da un canto è sufficiente che la minore età, quale condizione dell’azione, sussista al momento della decisione, è necessario, d’altro canto, che essa persista sino al momento della stessa.

(Cass. civ., sez. II, 13 agosto 2020, n. 17115)

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Presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è necessaria una valutazione comparativa tra la situazione del richiedente, riferita al Paese di origine, e l’integrazione dal medesimo raggiunta nel Paese di accoglienza e, poiché la comparazione investe una situazione (quella in cui il cittadino straniero verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio) che deve essere segnata dal rischio della lesione di diritti fondamentali, il richiedente è tenuto ad allegare quantomeno i fatti che sottendono tale rischio, senza che possa ritenersi sufficiente il richiamo alla mancanza "di alcun riferimento affettivo e familiare nel suo paese di origine", trattandosi di espressione che, nella sua vaghezza, non è idonea a definire una vera e propria situazione di privazione dei diritti umani.

(Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2020, n. 18808)

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permesso di soggiorno per ragioni umanitarie e stato di gravidanza della richiedente.

In tema di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, lo stato di gravidanza della richiedente e quello di madre single con figlio minore deve essere valutato ai fini dell’individuazione di una situazione di vulnerabilità, considerato che l’art. 19, comma 2, lett. d), del d.l.vo n. 286 del 1998 prevede il divieto di espulsione per le donne in gravidanza e nei sei mesi successivi al parto e che l’art. 2, comma 11, lett. h) bis, del d.l.vo n. 25 del 2008, include tra le persone vulnerabili anche le donne in stato di gravidanza ed i genitori singoli con figli minori.

(Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2020, n. 22052)

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Concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Ai fini della concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, nell’effettuare il giudizio di comparazione tra la situazione del richiedente in Italia e la condizione in cui questi verrebbe a trovarsi nel paese di provenienza ove rimpatriato, il giudice, al fine di dare concreta attuazione al diritto alla vita privata e familiare, protetto dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, deve tener conto anche dell’esistenza e della consistenza dei legami familiari del richiedente in Italia, effettuando un bilanciamento tra il pericolo di danno alla vita familiare e l’interesse statale al controllo dell’immigrazione.

(Cass. civ., sez. I, 28 ottobre 2020, n. 23720)

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Condizioni per l'assegnazione di una porzione della casa familiare al genitore non collocatario dei figli.

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, l’assegnazione di una porzione della casa familiare al genitore non collocatario dei figli può disporsi solo nel caso in cui l’unità abitativa sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia o sia comunque agevolmente divisibile.

(Cass. civ., sez. VI, 15 ottobre 2020, n. 22266)

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Acquisto di un bene in regime di separazione.

I coniugi in regime di comunione legale, al fine di effettuare l’acquisto anche di un solo bene in regime di separazione, sono tenuti a stipulare previamente una convenzione matrimoniale derogatoria del loro regime ordinario, sottoponendola alla specifica pubblicità per essa prevista, non essendo sufficiente una esplicita indicazione contenuta nell’atto di acquisto.
 
(Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n. 17175)

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Delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio: l'eccezione va proposta dal convenuto nella comparsa di risposta.

La convivenza triennale "come coniugi", quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, all’adempimento di doveri ed all’assunzione di responsabilità di natura personalissima, che in quanto tali non possono che essere dedotti esclusivamente dalla parte interessata.

L'eccezione deve essere proposta dal convenuto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, da depositarsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza fissata nell’atto di citazione. Qualora tale udienza sia rinviata d’ufficio ai sensi dell’art. 168 bis, comma 4, c.p.c., il differimento non determina la riapertura dei termini per il tempestivo deposito della comparsa di risposta e la proposizione dell’eccezione.

(Cassazione Civile, Sez. I, Ord. 5 maggio 2021, n. 11791)

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Anche i dispositivi di rilevamento della velocità con modalità dinamica vanno obbligatoriamente segnalati.

Anche i dispositivi di rilevamento della velocità con modalità dinamica, come il c.d. "Scout Speed", sono sottoposti all'obbligo di presegnalazione della postazione di controllo stabilito dal Codice della Strada.

Secondo gli Ermellini, il disposto di cui all'art. 142, comma 6-bis, C.d.S., rimette al decreto ministeriale la "mera" individuazione delle modalità di impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi al fine di presegnalare la postazione di controllo, senza alcuna possibilità di derogare alla generale previsione dell'obbligo di preventiva segnalazione, né da parte del regolamento di esecuzione né, a maggior ragione, da parte del decreto ministeriale stesso. 

(Cassazione Civile ordinanza n. 29595/2021)

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Quando l'SMS diventa reato.

I messaggi WhatsApp e gli sms reiterati nel tempo, inviati anche in orari serali e notturni, pur in difetto di una risposta da parte di chi li riceve, sono in grado di provocargli uno stato di non trascurabile turbamento della vita e della serenità. Ciò che rileva, infatti, è l’invasività del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita ed avvertita come tale, ovvero di prevenire la reiterazione, escludendo il contatto o l’utenza sgradita senza il nocumento della propria libertà di comunicazione.

(Cass. Pen., Sez. I, Sent., 22 ottobre 2021, n. 37974)

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Assegno divorzile indebitamente corrisposto? Deve essere restituita ogni singola mensilità a partire dal primo versamento.

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 28646 del 18 ottobre 2021)se giudizialmente riconosciuta la non debenza di un assegno divorzile precedentemente attribuito, sull’ex coniuge che ne è stato beneficiario grava l’obbligo di integrale restituzione dello stesso. Ciò significa che debbono essere restituite non solo le mensilità riscosse successivamente alla riforma della sentenza che ha riconosciuto all’ex coniuge il diritto all’assegno, ma ogni singola mensilità, a partire dal momento del primo versamento.

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Pensione di reversibilità e unione civile.

Con sentenza n. 24694 depositata il 14 settembre 2021, la Corte di Cassazione ha stabilito che la reversibilità rientra nel nucleo dei diritti/doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia e, quindi, dei diritti fondamentali che l'art. 2 Cost. tutela e garantisce all'interno delle formazioni sociali, nel cui novero va inclusa l'unione omosessuale intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso formalmente riconosciuta dalla L. n. 76/2016. 

Tuttavia, la pensione di reversibilità non può essere riconosciuta alle convivenze tra persone dello stesso sesso svoltesi in precedenza all'entrata in vigore della L. n. 76/2016 dato che il testo di questa normativa è chiaro, non lascia dubbi interpretativi né margini di discrezionalità tali da consentire un'estensione del diritto a beneficiare della pensione di reversibilità anche ai conviventi di fatto in precedenza alla formalizzazione della loro unione. 

(Cass. Civ., sez. VI, sent. 14 settembre 2021, n. 24694)

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L’abbandono del figlio in tenera età integra la fattispecie del danno endofamiliare.

L’abbandono del figlio in tenera età protrattosi negli anni integra la fattispecie del danno endofamiliare risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c., anche se la frequentazione con il padre è stata breve, dovendo il giudice accertare gli effetti della privazione della figura paterna sullo sviluppo psicofisico nella fase evolutiva del minore.

Per la Corte "il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli artt. 2 e 30 Cost., – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicchè tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 c.c., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole (Cass., n. 3079/15)". La stessa Cassazione ha specificato che l’illecito endofamiliare commesso in violazione dei doveri genitoriali può essere istantaneo – nel caso di singoli comportamenti (con violazione delle norme ordinarie relative agli obblighi genitoriali) – o permanente, se il genitore si estranea completamente per un periodo significativo dalla vita dei figli. In quest'ultimo caso è la considerevole protrazione temporale a portare al livello di disvalore costituzionale la condotta illecita ed è necessario valutare qualsivoglia conseguenza dannosa cagionata dalla condotta genitore nei confronti del figlio, sia circa il cd. danno morale subiettivo (la sofferenza ingiusta, ovvero il turbamento interiore, arrecata al minore perché privato della figura del padre), sia in ordine all’evoluzione fisio-psichica del figlio, anche considerando l’intensità dell’elemento soggettivo dell’illecito.

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Assegno divorzile: la Cassazione torna ad esprimersi in materia.

Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa (art. 5, comma 6, L. n. 898/1970), richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali rappresentano il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. 

(Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 10 agosto 2021, n. 22602)

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affidamento paritetico e mantenimento diretto del minore senza alcun assegno a carico.

Con un innovativo provvedimento (reso infatti in un giudizio contenzioso e non consensuale), il Tribunale di Perugia (in data  1.9.2021) ha disposto l'affido paritetico di un minore in tenera età tra entrambi i genitori e il mantenimento diretto. Dunque, accertata la volontà del bambino di trascorrere più tempo a casa con il padre e la pressoché omogeneità dei redditi dei genitori, il Tribunale ha disposto il collocamento del minore presso il padre e la madre secondo tempistiche paritarie, stabilendo altresì che ciascun genitore, nel periodo di permanenza del bambino presso di sé, provveda a tutto l'occorrente senza pagare nessun assegno all'altro.


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Validi i i trasferimenti immobiliari in caso di divorzio congiunto.

Con sentenza n. 21761, depositata il 29 luglio 2021, le Sezioni Unite hanno stabilito che in tema di divorzio sono valide le clausole dell'accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento. 

(Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 11 maggio 2021) 29 luglio 2021, n. 21761)

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Integrazione e rimodulazione del progetto di intervento ai fini dell'ammissione al beneficio della messa alla prova.

La presentazione di un progetto di intervento, elaborato dai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, rappresenta una condizione imprescindibile ai fini dell'ammissione al beneficio della messa alla prova. Il progetto può essere integrato o rimodulato durante la sospensione del provvedimento, avuto riguardo alle esigenze del beneficiario, previa valutazione delle modifiche nel contraddittorio delle parti; ciò avviene a fortiori nell'ipotesi in cui, nell'ipotesi in cui, a causa dell'emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus, l'USSM non abbia potuto individuare, oltre a quanto già previsto nel progetto ritenuto idoneo dal Collegio, l'attività di volontariato e si sia riservata di integrare detto progetto avuto riguardo all'evoluzione della situazione sanitaria.

(Tribunale Penale di Caltanissetta, Sez. Min., Ord. 25 novembre 2020)

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Convocazione dell'assemblea via mail? La delibera è annullabile.

Secondo il Tribunale di Roma, sentenza 23 luglio 2021 n. 12727, è da ritenersi annullabile la delibera dell'assemblea se i condomini sono stati convocati via mail e non tramite PEC, perché quest'ultima genera un codice univoco registrato che produce effetti di una vera a propria raccomandata mentre la mail è uno strumento che non conferisce certezza della comunicazione.

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Criterio del tenore di vita: nella separazione coniugale è ancora rilevante.

La Cassazione, con la decisione n. 21504 depositata il 27 luglio 2021, ha stabilito che nella separazione coniugale è ancora rilevante il criterio del tenore di vita. Nella separazione personale, infatti, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, permane il vincolo coniugale, sicché i "redditi adeguati" cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale. 

(Cass. civ. Sez. VI-1 Ord., 27 luglio 2021, n. 21504)

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Colpa medica e coefficiente di salvezza.

La Cassazione fa chiarezza circa gli elementi che possono incidere sul coefficiente salvifico di probabilità statistica idoneo a ricondurre causalmente l'evento al comportamento omissivo del medico.

La Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n. 30229/2021, si si è soffermata su quanto stabilito dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 38343/2014, circa l'accertamento della causalità omissiva e i limiti che incontra il sindacato di legittimità nel censire la valutazione argomentativa espressa in sede di merito, ribadendo che "nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto". In particolare, si è sottolineato che, nella verifica dell'imputazione causale dell'evento, occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l'agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta.

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Gravi sofferenze provocate alla partner: per la Cassazione scatta il reato di tortura.

La Cassazione (Terza Sezione Penale) ha riconosciuto il reato di tortura a seguito delle gravi sofferenze, fisiche e psichiche, provocate alla vittima e che superano la soglia prevista per i maltrattamenti.

Più precisamente, con sentenza n. 32380/2021 ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 613-bis c.p. commesso in concorso con il delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p. e di violenza sessuale ex art. 609-bis del codice penale, ritenendo provato che l'imputato ha commesso il reato di tortura privata, provocando alla vittima acute sofferenze fisiche, riportando lesioni a causa delle percosse subite, e cagionando un trauma psichico. 

La Corte precisa inoltre che, ai fini della configurabilità del reato di tortura, dovranno necessariamente considerarsi solo fatti che costituiscano di per sé reato (a seconda dei casi, minaccia, percosse, lesioni, violenza privata) e che si caratterizzino per la loro gravità e per la loro idoneità a produrre acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico. Di conseguenza, "ciascuno dei singoli atti che concorrono ad integrare la fattispecie di tortura deve necessariamente superare una soglia minima di gravità che non è richiesta, invece, per i maltrattamenti".

Infine, nella sentenza si legge: "consistendo la tortura nell'inflizione brutale di sofferenze corporali, essa determina un grave e prolungato patimento fisico e morale dell'essere umano che la patisce, cosicché la sua particolarità risiede nella conclamata e terribile attitudine che la stessa possiede e cioè quella di assoggettare completamente la persona la quale, in balia dell'arbitrio altrui, è trasformata da essere umano in cosa, ossia in una res oggetto di accanimento".

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Lo specialista in ospedale deve anche prescrivere la terapia.

La Cassazione penale (sentenza n. 24895/2021), richiamando quanto affermato nella sentenza n. 24068/2018, con riguardo alla posizione di garanzia del medico che sia stato interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico, ha affermato che questi, "qualora accerti l'esistenza di una patologia ad elevato e immediato rischio di aggravamento, ha l'obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso d'impossibilità di intervento, è tenuto ad adoperarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravità e urgenza del caso ovvero, nel caso di indisponibilità di posti letto nel reparto specialistico, richiedendo che l'assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale". 

La Sentenza è disponibile al seguente link: 

https://mega.nz/file/C2In3IBL#FzZEfT-j7u57zZkNSZM9lB-VwrMIuKkLypFPzPlcyKo


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Validi i trasferimenti immobiliari nell’ambito degli accordi di separazione e divorzio.

Le S.U., intervenendo sulla validità dei trasferimenti immobiliari nell’ambito degli accordi di separazione e divorzio. ribadiscono l’orientamento favorevole all’ammissibilità di tali trasferimenti e precisano che gli incombenti previsti dalla Legge n. 52 del 1985, art. 29 ben possono essere eseguiti dall'ausiliario del giudice, sulla base della documentazione che le parti saranno tenute a produrre.

(Cassazione civile, SS.UU., 29 luglio 2021, n. 21761)


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La fusione per incorporazione comporta l'estinzione della società incorporata.

La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, avendo facoltà della società incorporante di spiegare intervento in corso di causa, ai sensi dell'art. 105 cpc, nel rispetto delle regole che lo disciplinano.

(Cassazione Civile, Sez. Unite, 30 luglio 2021, n. 21970)

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L'addebito della separazione non determina automaticamente il riconoscimento dell'assegno di mantenimento a favore dell'altro coniuge.

L'addebito della separazione non determina automaticamente il riconoscimento dell'assegno di mantenimento a favore dell'altro coniuge, ma devono concorrere, nello stesso momento, anche gli altri presupposti previsti dall'art. 156 del c.c., secondo il quale "Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato".

Il diritto al mantenimento consiste quindi in una prestazione economica comprensiva di tutto ciò che risulti necessario alla conservazione del tenore di vita goduto dai coniugi prima della separazione e che prescinde da uno stato di bisogno. La condizione per l'ottenimento dell'assegno è determinata dalla non addebitabilità al beneficiario della separazione e dalla disparità economica tra le condizioni patrimoniali dei due coniugi.

La Suprema Corte, con l'ordinanza 11 agosto 2021, n. 22704, ha ribadito l'esclusione del riconoscimento automatico dell'assegno di mantenimento per la sola addebitabilità della separazione, essendo necessario anche il concorso di altri elementi quali la mancanza di redditi propri e il divario economico-patrimoniale valutato nel suo complesso. 

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Assegno divorzile: l'ultimo orientamento della Cassazione.

In tema di assegno divorzile, la Corte di Cassazione chiarisce che il giudice è tenuto a decidere sull'assegno previo accertamento della misura del contributo apportato dall'ex coniuge alla formazione del patrimonio comune o a quello del consorte nel corso del matrimonio. Difatti l'ultimo orientamento della Corte di Cassazione sancisce che l'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge ha natura assistenziale, ma anche perequativo-compensativa, discendente direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, che conduce al riconoscimento di un contributo volto non a conseguire l'autosufficienza economica del richiedente sulla base di un parametro astratto, bensì "un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella vita familiare in concreto, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate, fermo restando che la funzione equilibratrice non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi" (Cass. n. 11790/2021).

La natura assistenziale e perequativo - compensativa, ai sensi dell'art 5 della legge sul divorzio, richiede "l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive" (Cass. Civ., n. 11472/2021). 

Superando il precedente e consolidato orientamento, quindi, la Corte riconosce, oggi, la corresponsione dell'assegno divorzile commisurando e valutando il contributo che il coniuge richiedente ha apportato alla vita familiare ed anche alla carriera professionale del coniuge obbligato. 

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Opponibilità erga omnes della sentenza di disconoscimento di paternità.

Con ordinanza n. 19956, depositata il 13 luglio 2021, la Corte di Cassazione ha stabilito che la sentenza che accolga la domanda di disconoscimento della paternità, in quanto pronunciata nei confronti del P.M. e di tutti gli altri contraddittori necessari, assume autorità di cosa giudicata "erga omnes", essendo inerente allo "status" della persona. Pertanto, ne colui che è indicato come padre naturale, ne i suoi eredi, sono legittimati passivi nel relativo giudizio e la sentenza che accolga la domanda di disconoscimento è a loro opponibile, anche se non hanno partecipato al relativo giudizio. 

(Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., (ud. 13 maggio 2021) 13 luglio 2021, n. 19956)

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Padre si oppone alla vaccinazione anticovid 19 del figlio minore: madre autorizzata alla somministrazione.

Come stabilito dal Tribunale di Monza con Decreto del 22 luglio 2021, in caso di rifiuto opposto dal padre alla vaccinazione anticovid 19 del figlio minore, il conflitto genitoriale va risolto autorizzando la somministrazione del vaccino e attribuendo alla madre la facoltà di condurre il minore in un centro vaccinale e sottoscrivere il relativo consenso informato, anche in assenza del consenso dell’altro genitore.

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Se l'ex coniuge riceve una cospicua eredità si può chiedere la modifica dell'assegno di mantenimento.

Ove la fotografia della situazione economico-patrimoniale comparativa riferita agli ex coniugi muti per un'attribuzione patrimoniale che il giudice del merito, senza automatismi, accerti, in concreto, come rilevante in favore dell'avente diritto, il novum può essere posto a base di una domanda di revisione dell'assegno di mantenimento.

(Cassazione, Ordinanza del 2 luglio 2021 n. 18777)

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Sì alla parziale sospensione in appello della sentenza di separazione se gli arretrati del mantenimento sono molto alti, anche senza valutazioni sulla loro adeguatezza

Con l’Ordinanza del 27.07.2021 la Corte di Appello di Roma, decidendo su un’istanza inibitoria ex artt. 283 e 351 cpc avverso una sentenza di separazione, ha stabilito che è possibile sospendere il titolo esecutivo solo in relazione al mantenimento per il coniuge e il figlio minore dovuto per il periodo tra la data della domanda in primo grado a quella della pubblicazione della sentenza. Tale sospensione parziale può basarsi anche sul solo grave pericolo di non poter recuperare gli ingenti importi versati in seguito a una eventuale riforma favorevole all’appellante, pur senza una valutazione della fondatezza dei motivi di appello in fase inibitoria.

Nel caso concreto, Il Tribunale di Roma aveva condannato un uomo a corrispondere alla coniuge l’assegno mensile complessivo di 5000,00 €, per lei (2000 €) e per la figlia (3000 €), con decorrenza dalla domanda (giugno 2016), ripartendo tra i coniugi al 50% le spese straordinarie da sostenere per la figlia. 

Contestualmente all’appello proposto il 26/3/2021 anche sulle statuizioni economiche, il marito chiedeva la sospensione dell’efficacia della sentenza e depositava il 6/4/2021 istanza di trattazione anticipata ai sensi dell’art. 351 c.p.c., ponendo a fondamento della richiesta i motivi di contestazione nel merito della decisione impugnata nonché il grave pregiudizio conseguente alla probabile insolvenza della controparte, poiché non titolare di immobili, in caso di accoglimento dell’appello, stante l’elevato ammontare del credito per arretrati scaturito dalla decisione del primo giudice che egli assumeva erronea. 

L’appellata, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto dell’istanza di sospensione; il Procuratore Generale chiedeva di procedere ad istruttoria sulle effettive capacità economiche delle parti al fine di valutare l’adeguatezza delle statuizioni.

La Corte accoglieva parzialmente la domanda dell’appellante, solo in relazione alle somme a titolo di mantenimento dal deposito della domanda alla pubblicazione del provvedimento di primo grado, ritenendo in primo luogo che:   
l’adeguatezza dell’entità dell’assegno richiede una valutazione di merito non anticipabile né possibile sulla base della cognizione sommaria di questa fase, dal momento che la stessa Corte, con il decreto presidenziale di fissazione dei termini di trattazione del giudizio, ha richiesto un’attività di integrazione istruttoria sulle risorse dei coniugi

E che, al contrario:
appare invece evidente il requisito del pregiudizio economico irreparabile derivante all’appellante per l’esecuzione della sentenza e per la verosimile difficoltà di restituzione da parte dell’appellata in caso di positiva definizione dell’appello, in relazione all’elevata somma per arretrati scaturente dalla significativa differenza tra le statuizioni provvisorie emesse nella fase presidenziale e quelle definitive intervenute a distanza di circa cinque anni, ciò traendosi dalle rispettive situazioni economiche delle parti poste a fondamento della decisione: una capacità di reddito presuntivamente superiore a quella documentata quanto all’appellante e il solo reddito da lavoro dipendente di 23000,00 euro lordi annui quanto all’appellata”.

Al fine di legittimare la sospensione parziale del titolo in assenza di una valutazione dei presupposti di appello, la Corte fa un distinguo tra le somme dovute in arretrato e quelle periodiche successive alla pubblicazione della sentenza, nell’ottica dell’idoneità a garantire le “primarie esigenze di vita” del coniuge e della figlia. Infatti:
“la destinazione della somma dovuta per arretrati di mantenimento (circa 200.000 €) non è invero individuabile in primarie esigenze di vita della coniuge e della minore che non possono essere differite né “sospese”, poiché queste devono ritenersi garantite dall’assegno di mantenimento vigente a far data dalla sentenza di primo grado, di ammontare tale da escludere la necessità di ricorso a somme ulteriori”.

Sì dunque alla sospensione parziale del titolo esecutivo sulla base del solo periculum in mora, venendo posticipata la valutazione della giustezza della somma (dunque della probabilità di accoglimento dell’appello) alla successiva fase di merito.

Corte di Appello di Roma, Ord. 27.07.2021 (testo integrale)

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Responsabilità dei genitori: necessaria la nomina del curatore speciale.

Nei giudizi relativi alla responsabilità dei genitori nei quali si discuta dell'affidamento della prole ai servizi sociali, la previsione di cui all'art. 336 , comma 4, c.c., così come modificato dall'art. 37, comma 3, della L. n. 149 del 2001, postula la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., sussistendo un conflitto di interessi del minore con entrambi i genitori.

In caso di mancata nomina del curatore speciale il procedimento deve ritenersi nullo ex art. 354, comma 1, c.p.c. con conseguente rimessione della causa al primo giudice per integrazione del contraddittorio.

(Corte di Cassazione Civile, Sez. I, Ord. 26 marzo 2021, n. 8627)

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Permesso di soggiorno per motivi familiari.

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari (D.L.vo n. 30/2007) non implica il requisito della convivenza effettiva tra i coniugi e, tantomeno, quello del pregresso regolare soggiorno del richiedente, salve le conseguenze dell'accertamento di un matrimonio fittizio o di una convivenza ai sensi dell'art. 30, comma 1-bis, D.L.vo n. 286 del 1998.

(Corte di Cassazione Civile, Sez. I, Ord. 10 marzo 2021, n. 6747)

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Cassazione: la casa coniugale può essere assegnata al coniuge che vive col figlio psicologicamente molto fragile

Con l’Ordinanza 19561 dell’8 luglio 2021 la Cassazione ha respinto il ricorso di una madre che chiedeva l’assegnazione della casa familiare per sé.

Gli Ermellini hanno dato risalto al fatto che presso la casa familiare vivessero il padre con uno dei due figli, psicologicamente molto fragile poiché provato dalla forte conflittualità tra i genitori e da un rapporto pessimo con la madre.

La sorella, invece, si era rifiutata di vivere col padre perché coinvolto in un’inchiesta relativa a reati di natura sessuale.

Il Supremo Collegio ha riconosciuto che la casa dovesse essere assegnata al padre in quanto la scelta del Giudice di merito di favorire l’interesse di uno dei figli è insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivata. Nel caso di specie, l’interesse a favorire il ragazzo già convivente col padre derivava proprio dalle sue condizioni piscologiche precarie.

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Irrevocabile il consenso al divorzio congiunto da un solo coniuge.

Quando una coppia decide di proporre un ricorso di divorzio congiunto manifesta una volontà comune e paritetica, per cui, per la Cassazione, non è consentito (in seguito) a uno dei due coniugi di avere un ripensamento e revocare il consenso prestato.

(Cass. Civ., Ord. n. 19348/2021)

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Affido condiviso anche se il padre in passato ha tenuto una condotta contraria all'interesse del figlio.

Con l'Ordinanza n.18603/2021, la Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte di Appello, che nel disporre l'affido esclusivo alla madre aveva valorizzato esclusivamente la condotta passata del padre.

Secondo la Corte, infatti, il giudice che opta per l'affido esclusivo del minore alla madre, perché il padre in passato ha tenuto una condotta contraria all'interesse del figlio, deve procedere a una valutazione anche delle sue "attuali" capacità genitoriali. 

(Cass. Civ., Ord. n. 18603/2021)

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Costituisce sottrazione internazionale la violazione di un accordo tra genitori sul diritto di custodia del figlio

Con la Sentenza n. 18620 del 30.06.2021 la Corte di Cassazione ha ritenuto integrato l’illecito della sottrazione internazionale nella condotta di una madre che, in violazione di un accordo tra la stessa e l’ex marito relativamente alla custodia e all’affido della figlia, ha trasferito la residenza della minore in Italia senza più fare ritorno in Belgio.

L’accordo, sottoscritto dai due genitori davanti a un Tribunale belga, prevedeva che entrambi esercitassero la responsabilità genitoriale sulla bambina e individuava il Belgio come residenza abituale della stessa.

Il Tribunale di Milano non aveva valorizzato tale accordo, ritenendolo in contrasto con le domande giudiziali proposte dalla donna presso il Tribunale di Monza, e altresì aveva negato l’ordine di rimpatrio sul presupposto che non fosse determinabile una residenza abituale della minore, stante anche la sua tenera età.

La Cassazione, invece, ha ritenuto irrilevante la pendenza delle domande giudiziali presso il Tribunale di Monza, anche perché l’accordo non era stato soggetto a revisioni.

Ancora, gli Ermellini hanno argomentato che: “ l’illecito della sottrazione internazionale, Convenzione dell'Aja del 1980, resa esecutiva in Italia nel 1994, mira a tutelare il minore contro gli effetti nocivi del suo illecito trasferimento o mancato rientro nel luogo ove egli svolge la sua abituale vita quotidiana, sul presupposto della tutela del superiore interesse dello stesso alla conservazione delle relazioni interpersonali che fanno parte del suo mondo e costituiscono la sua identità (Corte Cost. 231/2001).”

A tal fine, l’individuazione della residenza abituale a cui il minore deve fare ritorno può basarsi anche su un accordo tra genitori. Una volta accertata la titolarità dell’esercizio della responsabilità genitoriale e l’identità della residenza abituale, solo alcune ragioni possono essere ostative dell’immediato rientro dei minori, previste dall’art. 13 della Convenzione in parola:
a) che la persona, l'istituzione o l'ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno; o b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile".

Non essendo riscontrabili tali eventualità nel caso di specie (comunque rimesse alla valutazione discrezionale del Giudice di merito), e stabilendo l’accordo tra le parti sia l’affido condiviso che la residenza abituale in Belgio, gli Ermellini hanno ritenuto integrato l’illecito della sottrazione internazionale.  

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È incostituzionale la sospensione della prescrizione per rinvio dovuto a necessità organizzative da pandemia COVID-19

Con la Sentenza n. 140/2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell’articolo 83, comma 9, del decreto legge n. 18 del 2020, nella parte in cui prevede la sospensione del corso della prescrizione "per il tempo in cui i procedimenti penali sono rinviati ai sensi del precedente comma 7, lettera g), e in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020".

Pertanto, contrastano con la Costituzione (in particolare col principio di legalità ex art. 25) i provvedimenti di rinvio delle udienze penali adottati dal capo dell'ufficio giudiziario nell'ambito delle disposizioni per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19.

Infatti, le norme sulla prescrizione hanno natura di diritto sostanziale  e ricadono nell'ambito di applicazione del principio di legalità poiché determinano un allungamento del termine di estinzione del reato. Pertanto, si impone la necessità che la fattispecie estintiva sia determinata nei suoi elementi costitutivi in modo da assicurare un sufficiente grado di conoscenza o di conoscibilità.

La disposizione caducata dalla sentenza, invece, prevedeva una regola processuale definita integralmente dalle disposizioni autonomamente adottate dal capo dell'ufficio, comportando così "un radicale deficit di determinatezza, per legge, della fattispecie, con conseguente lesione del principio di legalità limitatamente alla ricaduta di tale regola sul decorso della prescrizione".

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Il concetto di “indispensabilità” della prova nuova in appello nell'attuale formulazione dell’art. 345, comma 3 c.p.c.

La Cassazione ribadisce il principio secondo il quale, nell’attuale formulazione dell’art. 345, comma 3 c.p.c., nessun ruolo gioca la deduzione e la dimostrazione dell’indispensabilità del mezzo di prova proposto per la prima volta in appello, il quale potrà dunque essere ammesso nella sola ipotesi in cui la parte dimostri di non aver potuto proporlo nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

Ha affermato quindi il seguente principio di diritto: "Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell'art. 345 cpc, comma 3, quale risulta dalla novella di cui al DL n. 83 del 2012, convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 in poi, pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, a prescindere dalla circostanza che questi abbiano o meno quel carattere di "indispensabilità" che, invece, costituiva criterio selettivo nella versione precedente della medesima norma, fatto comunque salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile".

(Cass., sez. VI., 21 gennaio 2021, n. 1109)

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Sentenza di divorzio successiva alla morte di uno dei coniugi: ammesso l'appello per cessata materia del contendere.

Avverso la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, intervenuta successivamente alla morte di una delle parti, è ammissibile l'appello della parte superstite al fine di ottenere una pronuncia di cessazione della materia del contendere, essendo gli effetti civili del matrimonio già venuti meno per la morte di uno dei due coniugi.

Legittimati processuali nel giudizio di impugnazione sono anche gli eredi della parte deceduta.

(Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 21 gennaio 2021, n. 1079)

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Lo scioglimento della comunione dei beni dei coniugi separati e la sua ricostituzione in seguito a riconciliazione

Con l'Ordinanza n. 6820 del 11.03.2021, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire i principi che regolamentano la comunione legale dei beni nel caso di separazione personale dei coniugi.

Gli Ermellini hanno infatti stabilito che: “”in materia di comunione legale tra i coniugi, la separazione personale costituisce causa di scioglimento della comunione, che è rimossa dalla riconciliazione dei coniugi medesimi, cui segue il ripristino automatico del regime di comunione originariamente adottato, con la sola esclusione degli acquisti effettuati durante il periodo di separazione e fatta salva l’invocabilità, “ratione temporis”, dell’effetto pubblicitario derivante dalla novella di cui all’art. 69 del Dpr 396 del 2000, che ha previsto l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio delle dichiarazioni rivelatrici della volontà conciliativa”.

La pronuncia in parola, pertanto, delinea il funzionamento della comunione legale al momento della riconciliazione dei coniugi in seguito a separazione: essa si applica per quei beni che verranno acquistati successivamente alla riconciliazione e torna ad estendersi retroattivamente ai beni acquistati prima dello scioglimento. Tale applicazione retroattiva non si estende però agli acquisti effettuati in costanza di separazione, creando così un intervallo temporale tra i due periodi di vigenza della comunione.

Si ricorda che la comunione legale (artt. 177 ss cc) è il regime patrimoniale predefinito in assenza di diverso accordo tra i coniugi.  Essa è caratterizzata dall’assenza di una individuazione di quote specifiche di proprietà. Quando la comunione legale si scioglie, i beni che ne erano soggetti cadono in comunione ordinaria. Quest’ultima, a differenza della prima, è divisa in quote. Pertanto, ogni coniuge diventa titolare della quota del bene compreso nella comunione legale e può liberamente disporne. (Sul punto, si veda Cass. 28.12.2018 n. 33546).

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L'affido super esclusivo

L’affido super esclusivo (o esclusivo rafforzato) è un istituto di costruzione giurisprudenziale nato da una particolare interpretazione dell’art. 337-quater del Codice Civile. Il terzo comma dell’articolo in parola così recita: “Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

La figura qui analizzata è, appunto, ricondotta all’inciso “Salvo che non sia diversamente stabilito” e si qualifica pertanto come una terza via tra l’affido condiviso e quello esclusivo, posta al livello più alto di “gravità” nella limitazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale.

Infatti, mentre l’affido esclusivo prevede comunque che le decisioni di maggiore interesse vengano prese di comune accordo trai genitori, l’affido super esclusivo riserva al solo genitore affidatario il compito di adottare tutte le scelte che riguardino il minore, senza il previo consenso o avvertimento dell’altro.

Nei fatti, l’istituto in esame esautora il genitore non affidatario, in maniera simile a un provvedimento limitativo o estintivo della responsabilità genitoriale.

La differenza sostanziale con questi ultimi provvedimenti sta nel fatto che, giuridicamente, con l’affido esclusivo rafforzato la titolarità della responsabilità genitoriale non viene intaccata: è il suo esercizio che viene marginalizzato al punto da limitarsi al solo diritto/dovere per il genitore non affidatario di vigilare sull’istruzione ed educazione della prole e ricorrere al giudice in caso ritenga siano state prese decisioni pregiudizievoli per il minore, come da dettato del predetto art. 337-quater cc.

L’affido esclusivo rafforzato, con tutta evidenza, è uno strumento molto potente e può trovare applicazione solo in casi di grave incapacità del genitore di crescere il minore in accordo con le sue inclinazioni e necessità, specie quando la condotta del genitore risulti dannosa o pregiudizievole per il figlio.

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Il riparto delle competenze in materia di famiglia tra giudice tutelare, giudice della separazione e tribunale per i minorenni

Trib. Roma, Sez. IX, 09.06.2021


Con riguardo ai provvedimenti adottati in sede di separazione dei coniugi, il potere di vigilanza attribuito dall'articolo 337 cod. civ. al giudice tutelare concerne l'attuazione delle condizioni stabilite dal tribunale ordinario per l'affidamento della prole in sede di separazione tra i coniugi, di talché il suo esercizio presuppone l'interpretazione delle condizioni della separazione ma non si estende all'attribuzione di poteri decisori, che non siano meramente applicativi delle condizioni medesime.

Di conseguenza, resta esclusa ogni statuizione modificativa di dette condizioni, che spetta invece al tribunale ordinario, ovvero, quando si tratti di incidere in via ablativa o limitativa della potestà genitoriale, al tribunale per i minorenni.

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Google Earth utilizzabile come prova per dimostrare gli abusi edilizi.

la Suprema Corte con la sentenza penale n. 37611/2020 ha dato asilo, nel processo penale, ai fotogrammi di Google Earth proprio per dimostrare gli abusi edilizi. 

La giurisprudenza penale ha sottolineato come i fotogrammi scaricati dal sito internet "Google Earth", in quanto rappresentano fatti, persone o cose, costituiscono prove documentali pienamente utilizzabili ai sensi dell'art. 234 c.p.p., o dell'art. 189 c.p.p. Ben diversa, poi, è la questione relativa alla valutazione del loro contenuto e alla corrispondenza al vero di quanto in essi rappresentato.

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I genitori sono responsabili per le lesioni provocate dalla inadeguatezza dell'educazione impartita ai figli minorenni.

L'inadeguatezza dell'educazione impartita dai genitori, quale fondamento, ex art. 2048 c.c., della responsabilità dei medesimi per il fatto illecito commesso dal figlio minore, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore (Nel caso di specie, uno studente minorenne, prossimo alla maggiore età, nel corso dell'anno scolastico, durante le lezioni e, comunque, all'interno dell'istituto scolastico, in quattro diverse occasioni, offendeva verbalmente il docente, lo molestava impedendogli di tenere lezione, lo minacciava e spintonava).

(Tribunale Sondrio Sez. Unica, 03/03/2021)

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L’ergastolo è in contrasto con la Costituzione.

Con ordinanza numero 18518/2020, la Corte di Cassazione aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 27 e 117 della Costituzione, degli artt. 4-bis comma 1 e 58-ter della legge n. 354 del 1975, e dell’art. 2 d. I. n. 152 del 1991, convertito, con modificazioni, nella legge n. 203 del 1991, «nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale». 

La Corte ha anzitutto rilevato che la vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro. Ha quindi osservato che tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tuttavia, secondo la Corte Costituzionale, l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata. Perciò ha stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi.

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Riconoscimento degli effetti di un provvedimento di adozione straniero da parte di coppia omosessuale maschile.

Non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare del figlio minore adottivo sia omogenitoriale ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione.

(Cassazione Sez. Un. Civili, 31 Marzo 2021, n. 9006)

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Il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso e il giudicato della sentenza non definitiva sullo status.

Secondo la Cassazione, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili (sentenza non definitiva sullo status) ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di divorzio, che può dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile.

(Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 01/12/2020) 31-03-2021, n. 9004)

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Niente assegno di divorzio al coniuge giovane e poco intraprendente nella ricerca di una nuova occupazione.

L'ex coniuge di età ancora giovanile, che abbia intrapreso una convivenza more uxorio dopo l'avvenuto divorzio e, seppur goda di buona salute, si dimostri poco intraprendente nella ricerca di una nuova occupazione, non ha diritto all'assegno divorzile.

(Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 04/02/2021, n. 2653)

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Assegno divorzile: lo status di "coniuge debole" va verificato concretamente accertandosi se è il frutto di una scelta o se è indipendente dalla volontà dell'interessata.

Con la decisione n. 452/2021, la Corte di Cassazione ha stabilito che ai fini della valutazione dell'assegno divorzile, il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante nell'ambiente familiare non va dato per presupposto, ma verificato concretamente.

Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale si è limitata a dare atto dell'indisponibilità di redditi da parte della ex moglie, del suo stato di disoccupazione, senza neppure riferire se siffatto stato fosse il risultato di una scelta ovvero di condizioni indipendenti dalla volontà dell'interessata. In altri termini, la moglie è stata qualificata come "coniuge debole" senza alcuna indagine rispetto alle condizioni reali della suddetta.

(Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 13/01/2021, n. 452)

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Elevata conflittualità tra i genitori e decadenza dalla responsabilità genitoriale.

Il Tribunale di Milano, sez. IX , con sentenza n. 1145 del 11 febbraio 2021, ha stabilito che, ove venga accertata una conflittualità tra i genitori tale comportare notevoli pregiudizi per la crescita dei figli minori, vada sospesa la loro responsabilità genitoriale e disposto l’affidamento dei figli ad un soggetto extrafamiliare.

In particolare, il Tribunale, dopo aver accertato l'inadeguatezza dei genitori ad assicurare una sana e serena crescita dei figli, ma ritenendo di non dover pronunciare la decadenza dei medesimi dalla responsabilità genitoriale, esistendo dei margini di recupero della capacità genitoriale da parte dei coniugi ove avessero seguito un percorso psicoterapeutico, ha ritenuto più opportuno adottare un provvedimento di limitazione della responsabilità predetta ai sensi dell’art. 333 c.c., con affidamento dei minori al Comune di Milano e con collocamento alternato tra i genitori.

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Tribunale di Santa Maria Caupa Vetere: la donna può impiantare l'embrione crioconservato anche se il marito non è d'accordo

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con Ordinanza del 27.01.2021, ha stabilito che la donna può impiantare gli  embrioni creati e crioconservati nonostante l'opposizione del marito e  l'intervenuta separazione dei coniugi.
Nella sua decisione, il Tribunale ha dato peso al principio di autoresponsabilità, per cui la donna aveva ormai un legittimo affidamento verso il consenso validamente prestato dal marito alla fecondazione.
Ancora, i Giudici hanno evidenziato la tutela che l'ordinamento garantisce ai figli anche nel caso di conflitto di coppia.

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Il canone di locazione agevolato va determinata in riferimento alle zone OMI in vigore al momento della stipula del contratto di locazione.

La misura del canone di locazione agevolato nei contratti concordati va determinata in riferimento alle zone OMI in vigore al momento della stipula del contratto di locazione e non a quelle vigenti al momento della sottoscrizione dell'accordo definito in sede locale tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative.

(Trib. Roma, sentenza, 25 novembre 2020, n. 18927)

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Sulla natura di atto recettizio dell'avviso di convocazione all'assemblea dei condomini.

Ogni condomino ha il diritto di intervenire all'assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione, previsto dall'art. 66, comma 3, disp. att. c.c. nel testo vigente "ratione temporis", quale atto unilaterale recettizio, sia, non solo, inviato, ma anche ricevuto nel termine ivi stabilito di almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza, avendo riguardo alla riunione dell'assemblea in prima convocazione.

(Cass. Civ., Sez. 2 - , Ordinanza n. 24041 del 30/10/2020)

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Il provvedimento adottato dal tribunale su ricorso del coniuge che chieda la revisione dell'assegno di mantenimento a favore del figlio ha efficacia immediatamente esecutiva.

La Procura Generale della Corte di Cassazione, in data 17.11.2020, in relazione all'efficacia immediatamente esecutiva del provvedimento con il quale viene disposta la revisione dell'assegno di mantenimento in favore del figlio, ha così statuito: "in considerazione l’insegnamento di Cass. civ., sez. Un., 26 aprile 2013, n. 10064, secondo cui "in materia di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere a seguito dello scioglimento e della cessazione degli effetti del matrimonio, a norma della L. n. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 e successive modificazioni, il decreto pronunciato dal tribunale è immediatamente esecutivo, in conformità di una regola più generale, desumibile dall'art. 4 della citata legge regolativa della materia e incompatibile con l'art. 741 c.p.c., che subordina l'efficacia esecutiva al decorso del termine utile per la proposizione del reclamo", cui aderiscono sia la successiva pronuncia resa da Cass. civ., sez. VI, 22 gennaio 2015, n. 1164, nonché numerose pronunce rese dai giudici di merito. Al proposito va rimarcato che ulteriore conferma di tale principio di diritto si può rinvenire nella l. n. 219 del 2012, all’articolo 3, che ha stabilito che nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 ss., cod. proc. civ., quindi il procedimento camerale, stabilendo espressamente che il Tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio e che i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente".

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Sulla decorrenza dell'obbligo di mantenimento del figlio.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione (con l’ordinanza n. 8816/2020), dopo aver ribadito il collegamento dell’obbligazione di mantenimento ex art. 148 del c.c. allo status genitoriale e, conseguentemente, la decorrenza dell'obbligazione in parola dalla nascita del figlio, ha aggiunto che, come dalla stessa Corte già affermato in passato, nel caso di successiva cessazione della convivenza tra i genitori l’obbligo del genitore non affidatario o collocatario non decorre dalla proposizione della domanda giudiziale, bensì dall’effettiva cessazione della coabitazione (cfr. Cass. Civ., n. 3302/2017).

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Provvedimenti ablativi o limitativi della potestà genitoriale: l’effetto attrattivo della competenza in favore del giudice della separazione/divorzio.

Nel caso in cui sia già in corso un giudizio di separazione ovvero di divorzio di fronte al giudice ordinario nel momento della proposizione di un un successivo provvedimento ablativo o limitativo della potestà genitoriale ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. da parte del giudice minorile si verifica l’effetto attrattivo (c.d. “vis actractiva”) della competenza in favore del giudice di fronte al quale è in corso il suddetto giudizio, nell’ottica (rispettosa della volontà del legislatore del 2012) di concentrazione delle tutele in capo ad uno stesso giudice per le questioni attinenti al rapporto genitori-figli minori, garantendo così l’armonia tra i provvedimenti e scongiurando una loro frammentazione provocata da possibili contrasti.

(Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., (ud. 15/12/2020) 11-02-2021, n. 3490)

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Assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne che studia fuori sede.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 29977/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla possibilità per il genitore collocatario di chiedere l'aumento dell'assegno di mantenimento del figlio, studente fuori sede.

Con l'occasione ha chiarito che:

a) l'obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia ancora dipendente dai genitori;

b) poiché, di norma, è il genitore con il quale il figlio abita a provvedere materialmente ai bisogni ed alle necessità del figlio stesso, la coabitazione si configura, nelle ipotesi che più frequentemente ricorrono, come un parametro fattuale di rilevanza indiziaria, idoneo a giustificare la deroga alla regola generale della corresponsione diretta della somma a titolo di contributo al mantenimento al figlio maggiorenne;

c) in altre parole, non può darsi dirimente rilevanza al solo dato temporale della permanenza del figlio presso l'abitazione del genitore già collocatario: mentre il rapporto coniugale è connotato di regola da una quotidiana coabitazione e dalla unicità di interessi familiari, quello di filiazione può essere più spesso caratterizzato, in presenza di peculiari e personali interessi del figlio, specie se maggiorenne, da una sua presenza solo saltuaria per la necessità di assentarsi con frequenza per motivi di studio o di lavoro anche per non brevi periodi;

d) una frequentazione solo saltuaria della casa da parte del figlio non è, infatti, incompatibile con la persistenza di un più intenso legame di comunanza di vita con uno solo dei genitori, tale che sia quest'ultimo a restare la figura di riferimento per il corrente sostentamento del figlio e a provvedere materialmente alle sue esigenze, anticipando ogni esborso necessario;

e) nel concorso di dette circostanze, trova quindi giustificazione la legittimazione iure proprio di cui si sta trattando, sempre che sia mancata la richiesta in via giudiziale, da parte del figlio maggiorenne, di corresponsione diretta dell'assegno di mantenimento.

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Sulla posizione di parti sostanziali dei minori nel giudizi che li riguardano.

In generale i minori, nei procedimenti giudiziari che li riguardano, non possono essere considerati parti formali del giudizio, perché la legittimazione processuale non risulta attribuita loro da alcuna disposizione di legge; essi sono, tuttavia, parti sostanziali, in quanto portatori di interessi comunque diversi, quando non contrapposti, rispetto ai loro genitori. La tutela del minore, in questi giudizi, si realizza mediante la previsione che deve essere ascoltato, e costituisce pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il suo mancato ascolto, quando non sia sorretto da un'espressa motivazione sull'assenza di discernimento, tale da giustificarne l'omissione.

(Cass. civ. Sez. I Ord., 30/07/2020, n. 16410)

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Lesione della quota di riserva: integrale esaurimento del patrimonio del "de cuius" mediante donazioni e onere della prova a carico del legittimario leso.

Il principio secondo cui il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, e in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva, non può essere applicato qualora il "de cuius" abbia integralmente esaurito in vita il suo patrimonio con donazioni. 

In questo caso, infatti, il legittimario non ha altra via, per reintegrare la quota riservata, se non quella di agire in riduzione contro i donatari, essendo quindi la compiuta denuncia della lesione già implicita nella deduzione della manifesta insufficienza del "relictum".

(Cass. civ. Sez. II Sent., 31-07-2020, n. 16535 (rv. 658294-02))

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La comunicazione dell'ordinanza presidenziale da parte della cancelleria del Tribunale non fa decorrere il termine breve per il reclamo ex art. 708 c. 4 cc.

Con Ordinanza del 05.02.2021 la Corte di Appello di Napoli ha statuito che non è tardivo il reclamo ex art. 708 cpc proposto avverso l’Ordinanza Presidenziale del Tribunale oltre i 10 giorni dalla comunicazione di tale provvedimento da parte della cancelleria.
Infatti, la signora convenuta nel giudizio di reclamo aveva eccepito la tardività dello stesso, sulla base del disposto dell’ultimo comma dell’art. 708 c. 4 cpc a mente del quale:

“Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento “

In poche parole, la reclamata equiparava la comunicazione del provvedimento da parte della cancelleria alla notifica menzionata nell’articolo, ritenendo quindi che fosse decorso il succitato termine di 10 giorni prima della presentazione in Corte di Appello del reclamo.

La Corte, diversamente opinando, ha ritenuto invece che il termine breve di 10 giorni ex art. 708 cpc decorra solo dal momento della notifica del provvedimento presidenziale effettuato da una delle parti del giudizio di separazione o divorzio. Al contrario, la comunicazione da parte della cancelleria fa decorrere il termine ordinario di sei mesi.

Si tratta di una pronuncia piuttosto interessante poiché, a differenza di quanto si possa pensare, non è pacifico che il termine “notifica” utilizzato dall’articolo in parola si riferisca solo all’impulso di parte.
Infatti, pur essendo largamente maggioritaria l’opinione di cui all’ordinanza in commento, non mancano voci dissonanti che qualificano come notificazione (idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione) anche i biglietti di cancelleria che contengano copia integrale di un provvedimento. Si veda ad esempio: Circolare 27 giugno 2014 del Ministero della Giustizia; Tribunale di Modena, sentenza n. 1799 del 2 dicembre 2009; Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 224 del 3/3/2014

Non va dimenticato, infatti, che l’art. 16 del D.L. 179/2012 ha imposto alle cancellerie l’obbligo di recapitare via PEC gli atti dell’Ufficio Giudiziario e che l’art. 133 c. 2 cpc prevede esplicitamente solo per la sentenza che la comunicazione da parte della cancelleria non possa far decorrere il termine breve per l’impugnazione.

Inoltre, anche tra chi ritiene che il termine breve ex art. 708 cpc decorra solo con la notifica di parte, non vi è concordia sulla durata del termine lungo in caso di sola comunicazione di cancelleria. Infatti, mancando un esplicito dato normativo, alcuni ritengono che il termine coincida con l’udienza davanti al G.I. (C.D.A. Napoli, ord. 26.6.2007).

La pronuncia qui esaminata offre anche spunti interessanti in relazioni ad altri aspetti del procedimento per reclamo ex art. 708 c. 4 cpc, come le sue condizioni di ammissibilità e il suo rapporto con gli altri mezzi a disposizione della parte per chiedere la modifica delle statuizioni presidenziali.

Corte di Appello di Napoli, ord. 05.02.2021 (testo completo)

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Cognome dei figli: l'ordinanza della Corte Costituzionale.

Con l'ordinanza n. 18 del 2021 la Corte Costituzionale ha disposto la rimessione davanti a sé delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, poiché lo stesso meccanismo consensuale – che il rimettente vorrebbe estendere all’opzione del solo cognome materno – non porrebbe rimedio allo squilibrio e alla disparità tra i genitori.

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Sull'assegnazione della casa familiare al genitore non collocatario.

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, l'assegnazione di una porzione della casa familiare al genitore non collocatario dei figli può disporsi solo nel caso in cui l'unità abitativa sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia o sia comunque agevolmente divisibile.

(Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 15/10/2020, n. 22266 (rv. 659413-01))



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Assegno di mantenimento: si alla compensazione del credito.

La Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla possibilità, per l’ex marito, obbligato a corrispondere alla ex un assegno di mantenimento, di opporre in compensazione a quest’ultima, che agisca esecutivamente, il mutuo stipulato da entrambi ma pagato in via esclusiva da lui.

Secondo gli Ermellini, con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. il debitore esecutato può opporre in compensazione al creditore procedente un controcredito certo (cioè, definitivamente verificato giudizialmente o incontestato) oppure un credito illiquido di importo certamente superiore (la cui entità possa essere accertata, senza dilazioni nella procedura esecutiva, nel merito del giudizio di opposizione) anche nell'ipotesi di espropriazione forzata promossa per il credito inerente al mantenimento del coniuge separato, non trovando applicazione, in difetto di un "credito alimentare", l'art. 447, comma 2, c.c.

(Cass. civ. Sez. III Sent., 26/05/2020, n. 9686 (rv. 657716-01))

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La ex partner della madre del minore non ha diritto di visita nei confronti del bambino, se ciò è contrario al suo best interest.

Nel decidere se l'ex convivente della madre ha diritto di visita nei confronti del bambino, gli Stati membri godono di un ampio margine di apprezzamento, in cui le autorità pubbliche devono trovare un equilibrio tra interessi privati e interessi pubblici o tra i diversi diritti protetti dalla Convenzione. In siffatte circostanze in gioco non vi era il solo diritto al rispetto della vita familiare della ricorrente, ma anche il principio dell'interesse superiore del bambino ai sensi dell'art. 8 della Convenzione.

Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo nella decisione Honner contro Francia, pubblicata il 12 novembre 2020. Specifica la Corte dei diritti umani che la Corte dei diritti umani ha notato i giudici francesi avevano ritenuto gli incontri tra il minore e la ricorrente fossero traumatici per il bambino e che quindi non fosse nell'interesse del minore proseguirli. Tale decisione, dunque, si fondava sulla tutela del superiore interesse del minore, dato che G. era un bambino fragile, trovatosi in una situazione traumatizzante e al centro di un conflitto tra la ricorrente e la sua madre biologica, che non erano in grado di comunicare tra loro senza essere aggressive. Altresì aveva anche notato che non ci fosse stato un passaggio regolare del minore tra le due ex partner e che G. era stato riluttante nell'andare a casa della richiedente. Pertanto, la Corte di Strasburgo non ha potuto mettere in discussione la conclusione che la Corte d'appello era giunto da questi risultati, vale a dire che non era nell'interesse del bambino continuare incontrare il richiedente.

(Corte europea diritti dell'uomo, 12/11/2020)

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Con il patto di famiglia, la quota di legittima è, per legge, convertita in un diritto di credito immediatamente esigibile.

Con sentenza n. 29506/2020, depositata il 24 dicembre 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che all'atto della stipula del patto di famiglia sorge un diritto di credito dei futuri legittimari, cui corrisponde, specularmente, l'obbligo del discendente beneficiario di provvedervi subito (senza aspettare l'apertura della successione). I contraenti possono anche prevedere che tale liquidazione avvenga in tutto o in parte in natura, tant'è l'art. 768-quater, comma 3, precisa che, come il denaro, anche i beni assegnati ai partecipanti al patto, che non siano gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali, sono imputati, secondo il valore attribuito in contratto, alle quote di legittima spettanti a questi ultimi.

Dal punto di vista funzionale, il patto di famiglia si colloca nell'ambito dei patti successori non tanto perchè con esso vengono trasferiti per spirito di liberalità determinati beni dell'imprenditore prima dell'apertura della successione (in vista del passaggio generazionale nella gestione dell'impresa), ma perchè, affianco a tale attribuzione, la legge prevede necessariamente la soddisfazione dei legittimari non assegnatari, mediante liquidazione di un conguaglio (anche in natura) da parte del beneficiario dell'attribuzione, anticipando gli effetti dell'apertura della successione tra legittimari ed anche della divisone ereditaria, limitatamente ai beni oggetto di trasferimento, tenendo conto delle quote di legittima, e rafforzando la definitività delle attribuzioni tutte con l'esclusione dalla collazione e dalla riduzione.

(Cass. civ. Sez. V, 24/12/2020, n. 29506)

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Le Sezioni Unite sull'ammissibilità dei danni punitivi: dalla natura compensativa a quella punitiva-sanzionatoria.

Con la sentenza 5 luglio 2017 n. 16601, le Sezioni Unite della Suprema Corte pongono fine all’annosa questione relativa all’ammissibilità e al conseguente riconoscimento dei danni punitivi all’interno dell’ordinamento nazionale, previa individuazione della natura della responsabilità civile.

Innanzitutto, occorre muovere dalla esposizione dei filoni giurisprudenziali formatisi in merito alla questione de qua.

L’orientamento prevalso in seno alla Suprema Corte di Cassazione era granitico nel ritenere con fermezza l’incompatibilità della responsabilità civile con la funzione sanzionatoria, essendo demandata a tale responsabilità la sola funzione di restaurare la sfera del soggetto danneggiante.

In altri termini, alla luce della suddetta tesi, la finalità punitiva era pura prerogativa esclusiva della responsabilità penale,  il cui paradigma è da rinvenirsi nel principio di legalità e nei suoi corollari, di cui costituiscono espressione gli artt. 25 co. 2 Cost. (divieto di retroattività della legge penale), 27 co. 1 (principio di personalità della responsabilità penale e divieto di responsabilità per fatto altrui) e 27 co. 3 (nella misura in cui esprime lo scopo di rieducazione insito nella pena inflitta).

Il filone giurisprudenziale testè richiamato ha costituito oggetto di profonda revisione critica ad opera della dottrina; revisione critica mutuata dagli orientamenti giurisprudenziali successivi e posta alla base delle motivazioni della sentenza delle Sezioni Unite oggetto del presente commento.

Invero, con la pronuncia in esame il Supremo Consesso ha messo in evidenza che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è incompatibile con il sistema della responsabilità civile, pur necessitando di un’apposita previsione legislativa che esprima in modo chiaro lo scopo punitivo della disposizione medesima.

D’altronde, come efficacemente esposto ed argomentato dai Giudici di legittimità, il panorama normativo offre numerosi esempi paradigmatici dell’abbandono della esclusiva funzione compensativo-riparatoria della responsabilità civile, in favore dell’accoglimento altresì della finalità punitivo-sanzionatoria impressa dalla stessa.

Si pensi, ad esempio, al novellato art. 96 co. 3 c.p.c., che consente la condanna della parte soccombente al pagamento di una somma “equitativamente determinata” in funzione sanzionatoria dell’abuso del processo (diposizione, tra l’altro, mutuata anche dall’art. 26 del Codice del processo amministrativo, introdotto dal d. lgs.n. 104/2010). Occorre precisare che sulla natura dell’art. 96 co. 3 c.p.c. si è di recente espressa la Corte costituzionale, interrogata circa la questione di legittimità costituzionale della previsione de qua. Ebbene, la Corte - con la pronuncia n. 152/2016 - ha sancito con granitica certezza la natura altresì sanzionatoria con finalità deflattiva della suddetta disposizione.

Costituisce ulteriore esempio chiarificatore della funzione sanzionatoria della responsabilità civile il decreto legislativo di nuovo conio n. 7/2016, i cui artt. 3-5 hanno abrogato le fattispecie di reato previste a tutela della fede pubblica, onore e patrimonio, prevedendo altresì - in caso di natura dolosa del reato - una sanzione afflittiva pecuniaria da cumulare al risarcimento del danno in favore del danneggiato.

I due esempi appena fatti, che si incardinano in un ben più ampio novero di fattispecie espressive della suesposta finalità della responsabilità civile e che non si intendono qui oggetto di elencazione per chiare finalità di sintesi, confermano il riscontro della cittadinanza nel nostro ordinamento della natura polifunzionale della responsabilità civile.

Pertanto, superato positivamente l’ostacolo dell’ammissibilità della funzione sanzionatoria della responsabilità civile, occorre ora comprendere in che misura possa essere importata nell’ordinamento nazionale una sentenza di condanna per danni punitivi emessa da uno Stato estero, previa verifica della compatibilità di tale trasposizione con l’ordine pubblico.

Preso atto che la nozione di “ordine pubblico” include un ampio sistema di tutele in favore dei cives approntate a livello sovraordinato rispetto alla legislazione primaria, le Sezioni Unite chiariscono che il principio di legalità vigente nell’odierno ordinamento postula che la sentenza straniera di condanna sia emessa nel rispetto di adeguate basi normative, che garantiscano i principi di tipicità e prevedibilità della sanzione.

Alla luce delle suddette argomentazioni, i Giudici di legittimità hanno concluso che alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, essendo interne al sistema sia la funzione di deterrenza che quella sanzionatoria del responsabile civile.

Pertanto, non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense del risarcimento di danni di natura punitiva.

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Delibazione di sentenza ecclesiastica e indissolubilità del matrimonio.

Perché sia dichiarata l'efficacia civile delle nullità matrimoniali pronunciate dai Tribunali della Chiesa Cattolica, occorre che la Corte d'Appello accerti "che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere" (lett. c). Il rinvio è, come già detto, agli artt. 796 e 797 del codice di procedura civile. Orbene l'ultimo punto dell'art. 797 c.p.c. richiede che la sentenza da delibare, nel caso di specie la pronuncia canonica di nullità matrimoniale, non contenga "disposizioni contrarie all'ordine pubblico italiano". La Corte costituzionale nella citata sentenza n. 18 del 1982 ha definito l'ordine pubblico come l'insieme delle "regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l'ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all'evoluzione della società". Orbene non potranno essere delibate sentenze che dichiarino l'invalidità del vincolo per impedimenti tipicamente confessionali, in cui la nullità deriva dall'esistenza di situazioni del tutto peculiari che non trovano alcun riscontro nell'ordinamento civile, quali la disparità di religione, l'ordine sacro e il voto pubblico di castità. La giurisprudenza di legittimità inoltre, a partire dalla sentenza 1° ottobre 1982 n. 5026, pronunciata a sezioni unite, con orientamento ormai consolidato, ascrive la buona fede nel novero dei principi di ordine pubblico la cui tutela è imprescindibile e inderogabile in materia matrimoniale (Nel caso di specie, la nullità è pronunciata perché la parte non aderisce ad una delle condizioni richieste per la validità del matrimonio cattolico vi è la necessità della conoscenza o conoscibilità dell'apposizione di tale elemento accidentale da parte dell'altro nubendo. Appare, quindi, in contrasto assoluto con il nostro ordine pubblico interno la rilevanza, data in sede canonica, alla nullità del matrimonio, perché l'odierno ricorrente lo riteneva non indissolubile, sul presupposto della necessità di tutelare l'affidamento che l'altra parte, ignara delle altrui intenzioni escludenti, abbia riposto sulla validità del vincolo coniugale).

(Corte d'Appello Napoli Sez. minori, 24/11/2020)

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È possibile, per l'erede del legatario premorto all'accettazione, rinunciare al legato in sostituzione di legittima

Con l’Ordinanza del 27.08.2020 n. 17861, la VI Sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito che, ove il legato in sostituzione di legittima abbia ad oggetto il diritto di usufrutto ma il legatario muoia prima di poterlo accettare, la facoltà di rinuncia si trasmette all’erede del legatario nonostante egli non possa subentrare nel diritto già acquisito dal proprio dante causa. Infatti, in tale condizione l’erede del legatario diviene iure hereditatis titolare dell’azione di riduzione e può scegliere di assumere su di sé obblighi ed eventuali diritti nascenti dall’estinzione dell’usufrutto ovvero di rinunciarvi, assolvendo così all’onere cui è subordinata l’azione di riduzione stessa.

La Corte, sul punto osservava che: “In dottrina è comune l’osservazione che il fatto che l'acquisto del legato avvenga automaticamente non vuol dire che l'accettazione sia inutile o irrilevante. Con l'accettazione, infatti, il legatario fa definitivamente proprio il beneficio del legato e ciò si traduce nella definitività giuridica dell'acquisto, che non è più rinunziabile. Consegue da quanto sopra che se il legatario muore senza avere accettato, la facoltà di rinunziare, quale potere inerente al rapporto successorio in atto non esauritosi col definitivo conseguimento del legato, passa all'erede. L'applicazione di tale regola al legato sostitutivo comporta che l'erede del legittimario si trova, sotto questo aspetto, nella stessa condizione del legittimario proprio dante causa. Se il dante causa era ancora nella condizione di poter rinunciare al legato, e assolvere all'onere richiesto per poter domandare la riduzione delle disposizioni testamentarie, nella medesima condizione si troverà il suo erede, divenuto titolare iure hereditatis dell'azione di riduzione (art. 557 c.c.).

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L’esistenza di un patto successorio istitutivo può essere dimostrata con ogni mezzo

Con Sentenza n. 18197 del 02.09.2020, la 2° Sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito che l’esistenza di un patto successorio istitutivo non deve risultare necessariamente da l testamento o da un atto scritto. Al contrario, essa può venir dimostrata con qualunque mezzo, essendo il patto successorio considerato illecito dalla legge.
Infatti, gli Ermellini così si esprimevano: “Questa Corte condivide la soluzione, proposta dalla più accreditata dottrina, secondo cui non è necessario che l’esistenza del patto successorio istitutivo risulti dal testamento, quale motivo determinante della disposizione (art. 626 c.c.), o da atto scritto, ma è sempre ammissibile qualunque mezzo di prova, perché si tratta di provare un accordo che la legge considera come illecito.  È utile operare un parallelo con quanto prescrive l’art. 1417 c.c., in materia di prova della simulazione, che può essere liberamente provata dalle parti quando l’azione diretta ad accertare la illiceità del contratto dissimulato.

Nella sua decisione, la Corte ha anche ricordato la differenza tra testamenti simultanei validi e patto successorio istitutivo. 

          
I primi si hanno quando due disposizioni testamentarie, sia pure reciproche, costituiscano due atti perfettamente distinti, quantunque scritti sullo stesso foglio.   
Il secondo, vietato dall’art. 458 cc, si ha invece quando le disposizioni testamentarie redatte da più persone, pur essendo contenute in schede formalmente distinte, danno luogo a un accordo con il quale ciascuno dei testatori provvede alla sua successione in un determinato modo, in determinante correlazione con la concordata disposizione dei propri beni da parte degli altri.

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Nel procedimento di affidamento, l’ascolto del minore è un adempimento necessario.

Secondo la Cassazione, l’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardano ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003, nonché dell’art. 315-bis c.c. (introdotto dalla L. n. 219 del 2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c.c. (inseriti dal D.Lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l’art. 155-sexies c.c.). 

L’ascolto del minore di almeno 12 anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce, pertanto, una modalità tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse. Costituisce, pertanto, violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto che non sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale (Cass. sez. Unite, 21/10/2009, n. 22238; Cass. 26/03/2015, n. 6129; Cass. 07/05/2019, n. 12018; Cass. 30/07/2020, n. 16410). 

Conseguentemente, in tutti i procedimenti previsti dall’art. 337 bis c.c., laddove si assumano provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infra dodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto. Ciò vale, secondo la Suprema Corte, non solo se il giudice ritenga il minore infra dodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico. 

(Cassazione civile, sez. I, ordinanza 25 gennaio 2021 n. 1474)

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Assegno di mantenimento alla moglie che si occupa del lavoro domestico per seguire il marito negli traslochi professionali.

La circostanza che il marito, prima della separazione personale tra coniugi, si spostasse frequentemente per opportunità lavorative giustifica l’assegno di mantenimento in favore della moglie, la quale si è sempre occupata del lavoro domestico per seguire il coniuge nei traslochi professionali. Il Collegio della VI Sezione Civile (Ordinanza 31 dicembre 2020, n. 30014) ha evidenziato che la potenziale idoneità della donna a produrre reddito, per l’effetto, risultava “limitatissima” per i pregressi accordi e le vicende familiari connotate dai plurimi trasferimenti.

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Il giudice non può escludere il "pernotto" della figlia presso l'abitazione del genitore senza una specifica motivazione.

Con ordinanza n. 28883 depositata il 17 dicembre 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che pur dovendosi riconoscere all'autorità giudiziaria ampia libertà in materia di diritto di affidamento di un figlio di età minore, è comunque necessario un rigoroso controllo sulle "restrizioni supplementari", ovvero quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, comprese quelle relative alla possibilità della figlia minore di dormire presso il domicilio del genitore non affidatario, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, onde scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori. 

(Cass. civ. Sez. VI-1, Ord., (ud. 12 novembre 2020) 17 dicembre 2020, n. 28883)

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Covid-19 e cognome dei figli nati fuori dal matrimonio: padre positivo deve fare domanda ex art. 262 cc

Si segnala un recente Decreto del Tribunale di Roma (n. 1846 del 01.02.2021) che, pur non presentando novità giuridiche, dimostra l’impatto dell’emergenza sanitaria da COVID-19 anche sul versante più “burocratico” del diritto.

Un uomo risultava positivo al virus Sars-Cov-2 e veniva posto dalla ASL in isolamento fiduciario.

Durante questo periodo, la compagna dava alla luce una bambina.
Non potendo il padre procedere al riconoscimento, per cui era necessaria la sua presenza, la piccola veniva riconosciuta dalla madre, assumendone il cognome.

Una volta negativizzato, l’uomo procedeva al riconoscimento, ma per attribuire il suo cognome alla minore si rendeva necessario depositare domanda giudiziale ex art. 262 cc, incardinando così un procedimento per Volontaria Giurisdizione presso il Tribunale di Roma.

Con Decreto del 01.02.2021, la Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma accoglieva la domanda.


Questa vicenda ci dà lo spunto per affrontare il tema del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio.


L’entrata in vigore della nuova Legge n. 219 del 10 dicembre 2012, "Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, ha sancito il superamento di ogni ineguaglianza normativa tra figli legittimi e figli naturali in virtù del principio dell'unicità dello status di figlio.

Si specifica però che il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio deve essere effettuato da entrambi i genitori, anche disgiuntamente.

L’art. 250 del Codice Civile, infatti, prevede che:
“Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.”
Per quanto riguarda il cognome, l’art. 262 cc, rubricato “Cognome del figlio nato fuori del matrimonio” prevede che:
1. Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre.
2. Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre.
3. Se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all'attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente articolo; il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi.
4. Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l'assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.”
Quest’ultimo comma riguarda, appunto, la domanda giudiziale di modifica o aggiunta del cognome del minore nato fuori dal matrimonio.

Essa va presentata al Tribunale competente e instaura un procedimento camerale per volontaria giurisdizione che si conclude con un decreto collegiale. È prevista la fissazione di un’udienza camerale solo in caso di opposizione di uno dei genitori o di presentazione della domanda da parte di uno solo degli stessi. 

È importante sottolineare che, secondo la Cassazione, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, la scelta del giudice è ampiamente discrezionale. Infatti, i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, e la scelta del giudice deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento, non potendo essere condizionata dall’esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall’art. 262 c.c., che presiedono all’attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio (Cass Civ. Ord.  n. 18161 del 05-07-2019; cfr. Cass. civ. sez. I n. 12640 del 18.06.2015).

Trib. Roma sez. I civ. Decr. 1846 del 01.02.2021 (testo completo)             

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Sul controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.

Ai fini dell'operatività del divieto di utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori previsto dall'art. 4 della legge n. 300 del 1970, è necessario che il controllo riguardi, direttamente o indirettamente, l'attività lavorativa, mentre devono ritenersi certamente fuori dall'ambito di applicazione della norma sopra citata i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (c.d. controlli difensivi), quali, ad esempio, i sistemi di controllo dell'accesso ad aule riservate o gli apparecchi di rilevazione di telefonate ingiustificate.

(Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 18/12/2020, n. 29115)

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Definirsi single su Facebook può comportare l'addebito della separazione.

Per il Tribunale di Palmi (Sentenza del 07/01/2021), definirsi single su Facebook può comportare l'addebito della separazione. In particolare: "Le indicazioni contenute sul profilo facebook di R.F. pur non essendo, ovviamente, prova di un rapporto extraconiugale costituiscono, tuttavia, un atteggiamento lesivo della dignità del partner proprio nella misura in cui, pubblicamente e sin troppo palesemente, rappresentano ai terzi estranei un modo di essere o uno stato d'animo incompatibile con un leale rapporto di coniugio".

(Tribunale Palmi, Sent., 07/01/2021)

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Matrimonio nullo se la condizione d'infermità mentale che ha determinato l'interdizione già esisteva al momento del matrimonio.

Con ordinanza n. 27564, depositata il 2 dicembre 2020, la Corte di Cassazione ha affermato che la chiara ed univoca formulazione testuale dell'art. 119 c.c. stabilisce l'ininfluenza del giudicato preventivo se venga accertata - con giudizio insindacabile perché attinente al merito della decisione - che la condizione d'infermità mentale che ha determinato l'interdizione già esisteva al momento del matrimonio. 

(Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 2 dicembre 2020, n. 27564)


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Non è reato non consentire gli incontri tra la figlia e il padre violento.

Secondo la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 12976/2020, non commette reato la madre che non consenta gli incontri tra la figlia e il padre violento, dopo che gli stessi siano stati sospesi su richiesta dei servizi sociali. 

La Suprema Corte ha infatti evidenziato come, secondo le Sezioni Unite, il concetto di elusione di un provvedimento del giudice relativo all’affidamento di minori, ai sensi del art. 388 del c.p., “non può equipararsi puramente e semplicemente a quello di inadempimento, occorrendo, affinché possa concretarsi il reato, che il genitore affidatario si sottragga, con atti fraudolenti o simulati, all’adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole, appunto, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile ad una mera inosservanza dell’obbligo” (Cass. Pen., SS.UU., n. 36692/2007).

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L'affidamento super esclusivo.

Secondo la Cassazione, quando un genitore vìola o trascura i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio, il giudice ha la possibilità di non pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 330 c.c., potendo graduare le misure applicabili come previsto dall’art. 333 c.c. Quando emerge una condotta pregiudizievole per il figlio, ben possono adottarsi provvedimenti convenienti come anche disporre l’allontanamento del minore dalla residenza familiare, ovvero l’allontanamento del genitore convivente che maltratta o abusa del minore. L’istituto dell’affido può essere declinato secondo la modalità più pertinente ai sensi dell’art. 337 quater c.c. e quindi anche nella forma dell’affidamento esclusivo rafforzato, se questo risponde all’interesse del minore.

(Cassazione civile, sez. VI-1, ordinanza 31 dicembre 2020, n. 29999)

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Assegnazione della casa familiare e morosità condominiale: si può configurare una responsabilità solidale con l'ex coniuge?

In tema di assegnazione della casa familiare e di responsabilità solidale con l'ex coniuge in merito ai debiti condominiali pregressi maturati, il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 56 del gennaio 2021, ha precisato che l'azione di recupero del credito è azionabile esclusivamente verso colui che riveste la qualità di condomino. 

Pertanto, l'assegnatario della casa familiare, nel caso in cui la proprietà permanga in capo all'altro coniuge, non può essere destinatario del decreto ingiuntivo azionato dal condominio.

(Tribunale Roma Sez. V, 04/01/2021)

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La pubblicazione di post canzonatori ed irridenti su Facebook non integra la condotta degli atti persecutori.

In tema di stalking, la pubblicazione di post meramente canzonatori ed irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque non integra la condotta degli atti persecutori di cui all'art. 612 bis cod. pen., mancando il requisito della invasività inevitabile connessa all'invio di messaggi 'privati' (mediante SMS, Whatsapp, e telefonate), e, se rientra nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica, è legittima.

(Cass. pen. Sez. V, 03/11/2020, n. 34512)

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Madre “riferimento” per le esigenze del figlio: può chiedere all’ex l’aumento.

Anche se il figlio frequenta un ateneo fuori sede e fa ritorno alla casa della madre solo per le ferie e le festività, la donna risulta comunque legittimata a richiedere l’aumento dell’assegno all’ex marito, qualora il ragazzo faccia riferimento alla stessa per le proprie esigenze. 

(Cassazione civile, sez. I, sentenza 31 dicembre 2020, n. 29977)


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo - Presidente -

Dott. MELONI Marina - Consigliere -

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -

Dott. PARISE Clotilde - rel. Consigliere -

Dott. CARADONNA Lunella - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1634/2016 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Eritrea n. 36, presso lo studio dell'avvocato Zanchi Guido, rappresentato e difeso dall'avvocato Zanchi Italo, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

V.M., elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie n. 34, presso lo studio dell'avvocato Renzi Maria Rosaria, rappresentata e difesa dall'avvocato Rossi Maria Gabriella, giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso il decreto della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositato il 19/11/2015;

nonché sul ricorso 20675/2016 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Eritrea n. 36, presso lo studio dell'avvocato Zanchi Guido, rappresentato e difeso dall'avvocato Zanchi Italo, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

V.M., elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie n. 34, presso lo studio dell'avvocato Renzi Maria Rosaria, rappresentata e difesa dall'avvocato Rossi Maria Gabriella, giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 675/2016 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 27/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca che ha concluso per il rigetto dei ricorsi, riportandosi alle conclusioni scritte nella requisitoria già depositata in atti;

udito, per il ricorrente, l'Avvocato Zanchi Italo che si riporta e chiede l'accoglimento dei ricorsi;

udito, per la controricorrente, l'Avvocato Rossi Maria Gabriella che si riporta e chiede il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con ricorso ex art. 337 quinquies c.c., V.M. chiedeva al Tribunale di Lecce l'aumento, da Euro 200 a Euro 450, dell'assegno di mantenimento a carico del padre B.G. per il figlio maggiorenne L., studente iscritto all'Università di (OMISSIS). Il Tribunale, con Decreto 28 gennaio 2015, rigettava la domanda rilevando che la coabitazione del figlio maggiorenne con la madre già affidataria era cessata e che il figlio, in ragione della frequenza dei corsi universitari a (OMISSIS), faceva rientro presso l'abitazione materna solo in occasione delle festività natalizie e pasquali e durante le vacanze estive.

2. Il reclamo proposto dalla V. avverso il citato decreto è stato accolto dalla Corte d'appello di Lecce con Decreto n. 139 del 2015, pubblicato il 19-11-2015 e notificato 27-11-15. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la legittimazione iure proprio e concorrente della madre a chiedere l'aumento del contributo di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, il quale "fa sempre capo al genitore con cui coabita per reperire le risorse necessarie per soddisfare le sue esigenze, a cui non può provvedere autonomamente". La Corte d'appello ha, pertanto, disatteso l'orientamento richiamato dal Tribunale, non attribuendo rilevanza, nel caso di specie, al criterio del tempo, prevalente o sporadico, trascorso dal figlio maggiorenne presso l'abitazione del genitore già collocatario, essendo giustificato da ragioni di studio l'allontanamento, per parte prevalente dell'anno, del figlio stesso dalla suddetta abitazione. La Corte territoriale ha, inoltre, accolto la richiesta di aumento del contributo di mantenimento a carico del padre, quantificato in Euro 450,00 mensili, importo ritenuto congruo in considerazione delle spese che notoriamente deve affrontare uno studente universitario fuori sede.

3. Avverso questo provvedimento B.G. propone ricorso per cassazione (R.G.N. 1634/2016), affidato a due motivi, di cui il primo articolato in cinque punti, nei confronti di V.M., che resiste con controricorso.

4. Avverso lo stesso Decreto n. 139 del 2015, B.G. ha proposto, ai sensi dell'art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, ricorso per revocazione, che è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d'appello di Lecce con sentenza n. 675/2016 pubblicata il 27-6-2016. La Corte territoriale ha ritenuto insussistente il denunciato errore di fatto, rilevando che con il decreto impugnato era stato valutato l'aspetto della maggiore o minore permanenza del figlio presso la casa materna, presso quella paterna e presso la sede universitaria e se ne era esclusa la rilevanza, attribuita, invece, alla circostanza che il figlio, nonostante la coabitazione sporadica con la madre, faceva capo alla stessa "per reperire le risorse necessarie per soddisfare le sue esigenze, a cui non può provvedere autonomamente".

5. Avverso la citata sentenza n. 675/2016 della Corte d'appello di Lecce B.G. propone ricorso per cassazione (R.G.N. 20675/2016), affidato a sette motivi, nei confronti di V.M., che resiste con controricorso.

6. La prima causa, inizialmente assegnata alla Sesta Sezione di questa Corte, è stata rimessa alla pubblica udienza, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., u.c., per l'eventuale riunione dell'altra causa ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

La Procura Generale ha depositato requisitoria e le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso di cui al n. 1634/2016 R.G. il ricorrente lamenta: (i) l'erronea valutazione da parte della Corte d'appello del fatto che il figlio ormai maggiorenne non coabita più con la madre e del fatto che a questa si sarebbe dovuto rivolgere per le proprie esigenze economiche, rimarcando che nei gradi di merito la stessa madre aveva riferito che il figlio abitava a (OMISSIS) e nei periodi in cui rientrava a (OMISSIS) si tratteneva anche presso la casa paterna, nonchéassumendo come pacifica la contribuzione del padre alle spese universitarie, specie quelle concordate con il figlio (pag. 4 ricorso), il quale, dunque, non faceva solo riferimento alla madre per tali spese; (ii) la violazione del disposto dell'art. 337 septies c.c., che prevede il versamento dell'assegno periodico di mantenimento per il figlio, maggiorenne ma non indipendente economicamente, direttamente a questi, e non la regola opposta indicata nel decreto impugnato, ossia la responsabilità economica esclusiva di un solo genitore, benché collocatario, verso il figlio maggiorenne; (iii) la mancanza di motivazione specifica in ordine alle circostanze di fatto giustificative della decisione di disporre il versamento dell'assegno di mantenimento non al figlio ma alla madre, la cui legittimazione concorrente sussiste solo se permane la convivenza; (iv) la mancata considerazione da parte del giudice di merito della cessata coabitazione tra il figlio maggiorenne, che si gestisce del tutto autonomamente, e la madre, in violazione e falsa applicazione degli artt. 337 ter e 337 septies c.c.; (v) l'erronea valutazione delle circostanze di fatto (maggiore età del figlio, suo trasferimento a (OMISSIS), rientro in (OMISSIS) in alcuni periodi di vacanza con alloggio alternato presso entrambi i genitori, versamento dell'assegno di mantenimento sul conto corrente intestato al figlio), nonché la violazione del principio dettato dall'art. 337 septies c.c., secondo il quale, ad avviso del ricorrente, il figlio maggiorenne che non coabita con i genitori "è legittimato in via esclusiva alla fissazione dell'ammontare degli assegni di mantenimento", considerato che, nella specie, gli assegni di mantenimento pagati dal padre venivano versati dalla madre sul conto corrente bancario intestato al figlio, il quale si gestiva in autonomia, come risultava dal contenuto della nota di WhatsApp prodotta e inviata nel (OMISSIS).

1.2. Con il secondo motivo del medesimo ricorso (n. 1634/2016 R.G.) il ricorrente si duole dell'omessa valutazione delle sue deduzioni nel merito della suddivisione dell'onere di mantenimento del figlio tra gli ex coniugi, stante la dedotta sua limitata disponibilità economica, quale libero professionista, come assume documentato in causa in relazione ai redditi dello stesso degli anni 2013 e 2014, rispetto a quella della madre, dirigente ASL con cospicuo stipendio e proprietaria di immobili. Denuncia altresì il vizio di omessa motivazione, avendo la Corte territoriale valutato soltanto le necessità dello studente universitario e non le possibilità di ciascun genitore al fine della distribuzione dell'onere contributivo.

2. Con il secondo ricorso (n. 20675/2016 R.G.) il ricorrente lamenta: (i) con il primo motivo il vizio di illogicità logica e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la corte territoriale escluso la rilevanza della coabitazione, salvo, di seguito, affermarla, seppure con la connotazione di sporadicità, al fine di giustificare la legittimazione della madre alla domanda di cui trattasi, rimarcando la contraddittorietà nell'utilizzo del termine coabitazione, che non può essere sporadica, oppure, diversamente opinando, dovendosi attribuire rilevanza anche alla coabitazione con il padre, parimenti sporadica; (ii) con i motivi secondo, terzo e quinto la violazione dell'art. 337 ter e septies c.c., per avere la Corte d'appello attribuito rilevanza alla coabitazione, e non alla convivenza, in contrasto con i principi affermati da questa Corte nelle pronunce che richiama (Cass. n. 18869/2014 e n. 4555/2012) e per avere il giudice d'appello ritenuto s